Esonero dalla responsabilità civile e risarcimento del danno biologico differenziale

21 Gennaio 2019

Il lavoratore tecno-patico ha diritto al risarcimento del danno biologico differenziale, qualora la malattia professionale sia la conseguenza della violazione dell'art. 2087, c.c., sufficiente per superare la regola del parziale esonero di cui all'art. 10, d.P.R. n. 1124 del 1965.
Massima

Il lavoratore tecno-patico ha diritto al risarcimento del danno biologico differenziale, qualora la malattia professionale sia la conseguenza della violazione dell'art. 2087, c.c., sufficiente per superare la regola del parziale esonero di cui all'art. 10, d.P.R. n. 1124 del 1965.

Il caso

In conseguenza della prolungata esposizione professionale alle polveri di amianto, un lavoratore riportava un mesotelioma pleurico, indennizzato dall'Inail anche con la costituzione della rendita per il danno biologico, trattandosi di patologia insorta dopo l'entrata in vigore del d.lg. n. 38 del 2000.

Successivamente il lavoratore tecnopatico agiva in giudizio nei confronti del datore di lavoro per ottenerne la condanna al risarcimento del danno subito, anche di quello biologico, poi in effetti liquidato dal Tribunale adito, che respingeva l'eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalla difesa del responsabile civile, che impugnava tempestivamente la sentenza, chiedendone la riforma.

La Corte di appello respingeva l'impugnazione, negando il difetto di legittimazione passiva, a causa dell'intervento dell'assicuratore sociale, del datore di lavoro sulla domanda di risarcimento del danno biologico, trattandosi di danno ben superiore a quello indennizzato dall'istituto assicuratore ed essendo stata detratta la rendita Inail dall'importo liquidato.

Con ricorso per cassazione il datore di lavoro ha chiesto l'annullamento della sentenza per avere la corte territoriale omesso di procedere all'accertamento del fatto-reato ai fini dell'esonero dalla responsabilità civile, non avendo il danneggiato assolto gli oneri di allegazione e prova della responsabilità datoriale in termini di configurabilità di reato perseguibile d'ufficio.

La questione

La questione esaminata dalla Corte di cassazione è la seguente:

Al fine del superamento della regola del parziale esonero è sufficiente la violazione da parte del datore di lavoro dell'art. 2087, c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico, anche per ottenere il risarcimento del danno biologico differenziale?

La soluzione giuridica

La Suprema Corte respinge la censura proposta, reputandola infondata, poiché il giudice di merito aveva ritenuto sussistente un inadempimento e la colpa della società datrice di lavoro, scaturita dalla violazione dell'art. 2087, c.c., sufficiente per superare la regola del parziale esonero di cui all'art. 10, d.P.R. n. 1124 del 1965.

All'uopo la Corte si avvale del consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, maturatosi prima della socializzazione del danno biologico, in base al quale “l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dal d.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10, e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano casualmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087, c.c., che come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato” (Cass. n. 8204 del 2003; Cass. n. 20142 del 2010).

Principio che viene applicato anche per giustificare il risarcimento del danno biologico differenziale, che va necessariamente liquidato oltre la rendita già costituita dall'Istituto.

Osservazioni

Si tratta di una motivazione corretta, sebbene sintetica, laddove non affronta la questione se il meccanismo presuntivo della colpa di cui all'art. 2087, c.c. sia idoneo a superare la regola del parziale esonero dalla responsabilità civile.

Non aiuta in tal senso, anzi si rivela fuorviante, l'orientamento giurisprudenziale di legittimità, richiamato in sentenza, in base al quale la regola dell'esonero si applica solo al risarcimento dei pregiudizi oggetto della tutela sociale, dovendosi applicare l'art. 2087, c.c., solo ai pregiudizi ad essa estranei, proprio perché nel caso di specie il danno biologico era stato oggetto della tutela sociale e, dunque, la massima citata non giustificherebbe l'applicazione della responsabilità presuntiva ex art. 2087, c.c., trattandosi di evento divenuto oggetto della protezione sociale.

Tuttavia, l'esito finale appare condivisibile, in quanto l'utilizzo in chiave penalistica dell'art. 2087, c.c., che impone al datore di lavoro di salvaguardare l'integrità fisica e morale dei propri dipendenti, la cui violazione comporta che le lesioni personali colpose gravi o gravissime divengano perseguibili d'ufficio (art. 590, c.p.), è idoneo a superare la regola dell'esonero.

Nel caso di specie, la Corte ha accertato che il giudice di merito avesse ritenuto sussistente sia l'inadempimento sia la colpa del datore di lavoro, che aveva esposto il proprio lavoratore alle polveri di amianto, così come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 9 giugno 2017, n. 14468; Cass. 27 febbraio 2017, n. 4970; Cass. 15 giugno 2016, n. 12347; Cass. 28 agosto 2013, n. 19826; Cass. 11 aprile 2013, n. 8855; Cass. 27 giugno 2011, n. 14107; Cass. 14 ottobre 2010, n. 21203; Cass. 19 luglio 2007, n. 16003).

In altri casi la magistratura superiore ha ammesso la prova del fatto reato perseguibile d'ufficio, necessario per superare l'esonero, mediante i meccanismi presuntivi della colpa, di norma applicati solo nella responsabilità civile, rendendo più agevole la sua dimostrazione, configurabile ogni volta che il datore di lavoro non riesce a dare la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218, c.c. (Cass. 24 febbraio 2006, n. 4184; Cass. 10 gennaio 2007, n. 238, in Riv. it. dir. lav., 2007, II, p. 670, con nota di Simeoli; Cass. 8 maggio 2007, n. 10441, ivi, 2008, II, p. 571).

La Corte di cassazione, pertanto, partendo dal presupposto che l'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087, c.c. diviene per legge (art. 1374, c.c.) parte integrante del contratto individuale di lavoro, ha imposto al lavoratore infortunato, al fine di ottenere il risarcimento nei limiti del danno differenziale, soltanto di allegare e provare “l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno e del nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione di lavoro”, spettando, invece, al datore di lavoro la prova di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza (Cass. 28 ottobre 2016, n. 21882; Cass. 28 ottobre 2014 n. 22827; Cass. 3 giugno 2014, n. 12358; Cass. 25 novembre 2013 n. 26293; Cass. 18 luglio 2013, n. 17585; Cass. 19 settembre 2012, n. 15715; Cass. 22 dicembre 2011, n. 28205; Cass. 26 giugno 2009, n. 15078; Cass. 13 agosto 2008, n. 21590; Cass. 23 aprile 2008, n. 10529; Cass. 14 aprile 2008, n. 9817; Cass. 21 dicembre 1998, n. 12763).

Una volta che il meccanismo presuntivo dell'art. 2087 c.c. sia considerato sufficiente a fondare la responsabilità penale e/o civile del datore di lavoro, si è detto, si svuota di senso “il mantenimento della regola dell'esonero come scolpita” ai sensi dell'art. 10, d.P.R. n. 1124 del 1965 (D. Poletti, Il danno non patrimoniale e il sistema previdenziale, in E. Navarretta (a cura di), I danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, Milano, 2004, 208), sancendone di fatto il suo superamento (S. Giubboni – A. Rossi, Infortuni sul lavoro e risarcimento del danno, Milano, 2012, 27 e ss).

I più recenti arresti giurisprudenziali, però, subordinano ancora il superamento della regola dell'esonero alla dimostrazione del reato perseguibile d'ufficio, indagine conducibile anche in ambito civile (Cass. 10 aprile 2017, n. 9166; Cass. 31 maggio 2017, n. 13819), nonostante appaia di dubbia legittimità subordinare l'accesso alla tutela risarcitoria delle lesioni di diritti della persona costituzionalmente protetti alla astratta ricorrenza di un reato perseguibile d'ufficio.

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