Parte civile ammessa al patrocinio a spese dello stato e problematiche relative alla competenza del giudice che dovrà provvedere per il giudizio di cassazione
02 Marzo 2020
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L'articolo è stato scritto con il contributo del Dott. Alessio Gaudieri e della Dott.ssa Mariachiara Parescandolo
L'art. 535 c.p.p. pone a carico del condannato il pagamento delle spese processuali a seguito della sentenza di condanna. Il successivo art. 541 c.p.p. prevede che con la sentenza di accoglimento della domanda di restituzione o di risarcimento del danno, l'imputato e il responsabile civile sono condannati in solido al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, salvo che il giudice non ritenga di disporne la compensazione totale o parziale per giustificati motivi. La disciplina del patrocinio a spese dello Stato, invece, è contenuta nel d.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Tale normativa è applicazione di principi e valori sanciti in Costituzione in quanto quest'ultima nell'individuare, tra i compiti della Repubblica, la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana, sancisce espressamente all'art. 24d.P.R. 115/2002 che debbano essere assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione, dovendosi garantire a tutti la facoltà di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Il patrocinio a spese dello Stato assicura nel processo penale la difesa non solo del sottoposto alle indagini preliminari e dell'imputato, ma anche della persona offesa dal reato, del danneggiato che intenda costituirsi parte civile, del responsabile civile ovvero del civilmente obbligato per la pena pecuniaria. La liquidazione del compenso professionale del difensore del non abbiente ammesso al patrocinio a spese dello Stato avviene secondo le modalità disciplinate dagli artt. 82 e 83, d.P.R. 115/2002. Competente a liquidare l'onorario e le spese spettanti al difensore è l'autorità giudiziaria che ha proceduto, con decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale. La ratio della norma risponde all'evidente esigenza secondo cui il provvedimento sia devoluto all'organo che ha avuto una diretta ed immediata percezione dell'attività svolta dal difensore, dovendo egli esprimere un compiuto apprezzamento sulla quantificazione del compenso (Cfr. Cass. pen., Sez. III, 15 dicembre 2016, n. 41525, in Mass. Uff., 271339-1; Cass. pen., Sez. IV, 2 maggio 2005, n. 41526, in Mass. Uff., 232488; Cass. pen., Sez. I, 16 gennaio 2004, n. 3944, in Mass. Uff., 226963). In ogni caso, l'onorario e le spese non devono risultare superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità, tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della parte nel procedimento. La liquidazione viene effettuata al termine di ogni fase o grado del processo e, comunque, all'atto della cessazione dell'incarico. Diversi sono i profili relativi alla descritta disciplina con riferimento al giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, siccome in tale ipotesi, alla liquidazione mediante decreto procede il giudice del rinvio in caso di sentenza con la quale la Suprema Corte disponga l'annullamento con rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza poi passata in giudicato in caso di rigetto del ricorso. Recentemente, il legislatore ha aggiunto il nuovo comma 3-bis all'art. 83, d.P.R. n. 115/2002 mediante la l. 208/2015. Secondo il nuovo comma, il decreto di liquidazione deve essere emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta. Per cui, non sembra ammissibile una cesura tra la conclusione del giudizio e il provvedimento giudiziale che liquida i compensi, il quale dovrà essere emesso contestualmente alla pronuncia del provvedimento definitorio della fase di riferimento. Dunque, il difensore dovrà presentare istanza di liquidazione dei compensi al termine della fase del procedimento mentre il giudice dovrà emettere il decreto di liquidazione dell'onorario unitamente all'emissione del provvedimento finale. Il decreto di liquidazione, però, assume comunque la forma di provvedimento separato e distinto dal provvedimento definitorio della fase processuale, costituente un autonomo titolo di pagamento. Disciplina differente sembra essere prevista per i giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione. L'art. 83 del T.U. 115/2002, nel disporre che la liquidazione avvenga ad opera del giudice del rinvio, ovvero di quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, pare affermare che la parte civile ricorrente in Cassazione non possa ottenere la rifusione delle spese processuali all'esito del giudizio di legittimità che si concluda con rinvio, ma può far valere le proprie pretese nel corso del giudizio in cui il giudice di merito dovrà accertare la sussistenza dell'obbligo della rifusione delle spese giudiziali a carico dell'imputato, secondo il principio della soccombenza, con riferimento all'esito del gravame (Cass. pen, Sez. II, 18 luglio 2003, n. 32440, in Mass. Uff., 226260; Cass. pen., Sez. III, 26 giugno 2003, n. 35298). Tale orientamento sembra valere anche quando il giudizio di Cassazione si concluda con il rigetto del ricorso, in quanto la sentenza passata in giudicato è evidentemente, nel caso di specie, quella di condanna emessa dal giudice di merito, ai sensi dell'art. 648, comma 2, c.p.p. La Suprema Corte ha inoltre chiarito che la mancata condanna dell'imputato, nella sentenza di annullamento con rinvio, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte civile vittoriosa non esonera il giudice del rinvio dall'obbligo di disporla, in base al principio di soccombenza, con riferimento all'esito del gravame (Cass. pen., Sez. I, 9 giugno 2010, n. 25116, in Mass. Uff., 247711). Ciò a sostegno della tesi secondo cui sia sempre il giudice del rinvio o della sentenza passata in giudicato a dover emettere il decreto di liquidazione. L'art. 110 del d.P.R. 115/2002, nel riprendere la disciplina dettata negli artt. 427, 541 e 542 c.p.p., in tema di spese giudiziali, disciplina il pagamento in favore dello Stato del querelante, della parte civile e dell'imputato non ammesso al patrocinio dello Stato soccombenti attribuendo allo Stato il diritto al recupero delle spese sostenute, attraverso il riconoscimento della facoltà di subentrare ai soggetti ammessi al beneficio i quali avrebbero diritto al pagamento delle spese da parte degli indicati soccombenti. Mediante tale previsione, nei casi in cui il soggetto ammesso al patrocinio risulti vittorioso e vi sia una controparte da condannare, lo Stato recupererà il corrispettivo tenuto a versare proprio a seguito della disposizione del giudice di pagamento a favore dello Stato. In particolare, nell'ultimo comma di tale articolo si contempla il pagamento in favore dello Stato nell'ipotesi in cui, dopo aver accolto la domanda della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il magistrato condanni l'imputato non ammesso al patrocinio alla rifusione delle spese. Il problema è comprendere quale sia l'effettivo rapporto tra il provvedimento del giudice penale alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato e la determinazione degli onorari e delle spese da liquidarsi al difensore della parte civile anche al fine di determinare la regola per l'individuazione del giudice competente a dette determinazioni e liquidazioni con particolare riferimento proprio al giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione. In pratica con riguardo a tale ultimo giudizio il problema è relativo alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 541 c.p.p. e 110 TU 115/2002, e alla emissione, sempre per il giudizio di legittimità, del decreto di liquidazione degli onorari e delle spese al difensore della parte civile ammessa al suddetto patrocinio, ai sensi dell'art. 83, comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Secondo un primo orientamento, alla base vi sarebbero due rapporti distinti e tra loro autonomi. Il primo viene ad instaurarsi tra l'imputato e la parte civile. Questo è regolato dall'art. 541 c.p.p., e nel casus specie dall'art. 110 del d.P.R. 115/2002, che si qualifica quale norma speciale rispetto alla norma presente nel codice di rito, prevedendo che “con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il magistrato, se condanna l'imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio, ne dispone il pagamento in favore dello Stato”; il secondo rapporto, invece, intercorre tra lo Stato e il difensore che abbia prestato la propria opera professionale in favore del soggetto ammesso al patrocinio gratuito, regolato dagli artt. 82, 83 e ss. del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Con le sentenze n. 26663 e 42844 del 2008, la Quarta Sezione della Suprema Corte di Cassazione ha aderito alla tesi dell'autonomia dei due rapporti, quale scelta necessaria ai fini di un'interpretazione logico-sistematica, osservando che nel nostro ordinamento non è presente nessuna disposizione tesa a vincolare la liquidazione in favore del difensore alla misura fissata dal giudice penale nella sentenza di condanna. Piuttosto deve evidenziarsi l'esistenza di una norma di segno opposto, quale appunto l'art. 82 del D.P.R. n. 115/2002, che limita la liquidazione dell'onorario e delle spese in favore del difensore della parte ammessa al patrocinio dello Stato ai valori medi tariffari, al termine di ciascuna fase o grado del processo ex art. 83 comma 2 del d.P.R. n. 115/2002. Seguendo tale impostazione qualora la liquidazione effettuata ai sensi dell'art. 110 del TU 115/02 e art. 541 c.p.p. dal giudice penale superasse i valori medi, la stessa non influirebbe sulla liquidazione del compenso dovuto al difensore ai sensi degli artt. 82 e seguenti del TU 115/02 che dovrebbe comunque essere effettuata con il rispetto dei parametri indicati in tale ultima disposizione di legge. Con riguardo poi alla individuazione del giudice competente a provvedere alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, per il giudizio di Cassazione, nonché ad emettere il decreto di liquidazione degli onorari e delle spese al difensore della parte civile ammessa al suddetto patrocinio detta ricostruzione autonomistica determinerebbe l'applicazione letterale dell'art. 83 comma 2 D.P.R. 115/2002, il quale dispone che: “La liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all'atto della cessazione dell'incarico, dall'autorità giudiziaria che ha proceduto; per il giudizio di Cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato” che appare ostativa all'ipotizzabilità di una competenza della Corte di Cassazione in materia di liquidazione delle spese in favore del difensore della parte civile ammessa al gratuito patrocinio La recente circolare del Ministero della Giustizia del 10 gennaio 2018 ha ulteriormente sostenuto il c.d. principio della autonomia statuendo che “il decreto di pagamento deve essere un atto separato dal provvedimento che definisce il giudizio, in modo da contrastare la prassi invalsa presso alcuni uffici di inserire il provvedimento di liquidazione nella sentenza, con conseguente difficoltà per il personale di cancelleria a procedere al pagamento delle spettanze”. Anche la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha escluso la possibilità di incardinare in capo ai giudici della Suprema Corte la competenza in ordine alla liquidazione dei compensi relativi all'attività difensiva svolta nel giudizio di legittimità statuendo che detta competenza “è del giudice di merito che ha emesso il provvedimento impugnato, posto che la Corte di Cassazione può accedere agli atti esclusivamente ai fini della rilevazione di eventuali vizi processuali verificatisi nel corso del giudizio e, pertanto, non ha la piena disponibilità materiale e giuridica degli stessi; è quindi al giudice del merito che devono essere restituiti, con pienezza di accesso, una volta definito il giudizio di legittimità” i relativi atti a tali fini (Cass. pen., Sez. III, sentenza del 15 dicembre 2016, n. 41525). Diverso orientamento, però, si è generato con la sentenza della Sesta Sezione n. 46537 dell'8 novembre 2011 e la più recente sentenza n. 20552 del 6 marzo 2019. Queste pronunce hanno costruito la diversa teoria della necessaria corrispondenza degli importi dei due rapporti (artt. 82 e 110 T.U. 115/2002, 541 c.p.p.), i quali dunque non potrebbero essere separati, con la conseguente unicità del giudice che dovrà liquidare i due corrispettivi cristallizzandoli nella medesima somma, ritenendo assorbente la circostanza secondo cui quando la parte civile è ammessa al patrocinio a spese dello Stato non residua alcun rapporto diretto tra l'imputato soccombente e la parte civile, perché l'unico rapporto della parte civile e del suo difensore, viene ad instaurarsi con lo Stato. Ciò perché l'art. 110 del d.P.R. 115/2002 inciderebbe direttamente sulle norme del codice di procedura penale in tema di spese sostenute dall'imputato nei confronti della parte civile, poiché norma speciale. Di conseguenza sia il pagamento delle spese processuali di cui all'art. 541 c.p.p. e 110 del T.U. 115/2002 sia la determinazione di onorari e spese di cui all'art. 82 del TU 115/2002 dovrebbero corrispondere riguardando un rapporto unico tra parte ammessa al gratuito patrocinio e lo Stato. La particolare problematica attiene soprattutto a quella che potrebbe essere la diversa quantificazione dei due importi, atteso che l'intervento di giudici diversi potrebbe confluire in una diversa quantificazione dell'emolumento del difensore, con eventuale difformità rispetto al limite posto dall'art. 82 d.P.R. 115/2002 che impone l'osservanza delle tariffe professionali senza però superare i valori medi delle stesse. Si svilupperebbero, così, due casi: nel caso in cui si debba disporre la compensazione delle spese o l'assoluzione, siccome nulla è dovuto allo Stato da parte dell'imputato, e siccome il difensore della parte civile ammessa al gratuito patrocinio mantiene il diritto verso lo Stato alla liquidazione dei compensi, la disciplina contenuta nel codice di procedura penale resterebbe autonoma rispetto a quella contenuta nel d.P.R. 115/2002. Ciò perché “la difesa tecnica della parte danneggiata nel processo penale ha presupposti, contenuti e disciplina distinti, rispetto a quella del soggetto non abbiente che agisca nel processo civile, […] il difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato ha comunque diritto alla liquidazione del compenso anche nel caso di mancato accoglimento delle domande civilistiche” (Cass. pen., Sez. IV, sent. n. 42508/2009). Diversamente, in seconda ipotesi, se la sentenza penale dovesse riconoscere la responsabilità dell'imputato anche ai fini civili e vi fosse la condanna alla rifusione delle spese legali, si applicherebbe solo la disciplina contenuta all'art.110 del d. P.R. n. 115/2002, in quanto norma successiva, specifica e speciale, in ossequio al principio di specialità tra diverse discipline che riguardino la medesima fattispecie. La Sesta Sezione ha utilizzato a supporto “l'operare sinergico sia del generale principio di divieto dell'ingiustificato arricchimento sia di quello altrettanto generale dell'evitare ingiustificati danni erariali”, atteso che lo Stato non potrebbe ricevere per la prestazione del difensore di parte civile più di quanto sia tenuto a corrispondere al professionista e, a contrario, ricevere dall'imputato una somma inferiore a quella che deve corrispondere al difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato. La teoria dei provvedimenti distinti ed entrambi necessari non è condivisa da tale orientamento sull'assunto che il provvedimento emesso ai sensi dell'art. 541 c.p.p. sarebbe inutiliter data, poiché, dopo aver ottenuto l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non sussisterebbe più alcun rapporto diretto tra imputato e parte civile in ordine alla disciplina delle spese legali, ma solo l'unico rapporto costituito dalla parte civile, il suo difensore e lo Stato. Pertanto, l'adesione alla tesi della necessaria corrispondenza – a parere di tale Sezione – riterrebbe sussistente un errore di diritto ed un vizio di violazione di legge qualora fosse riconosciuto un rapporto non più esistente tra imputato e parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato qualora si onerasse l'imputato della liquidazione. È possibile ricavare due principi di diritto: quando il giudice del processo penale condanna l'imputato alla rifusione integrale delle spese legali sostenute dalla parte civile ammessa al beneficio del patrocinio alle spese pubbliche, nel dispositivo deve contestualmente sia disporre che il pagamento avvenga in favore dello Stato sia procedere alla liquidazione a favore del difensore; la somma che l'imputato deve rifondere a favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore. Per cui, il difensore è onerato di presentare la nota spese già conforme all'art. 82 del d.P.R. n. 115/2002 alle conclusioni della relativa fase. Va chiarito, però, che tale sentenza non approfondisce il tema relativo alla liquidazione delle spese al difensore della parte civile ammessa al patrocinio per non abbienti con esplicito riferimento al giudizio di Cassazione, ma solo ai gradi precedenti. Pertanto, sembra che si riferisca solo all'applicazione del primo periodo del comma 2 dell'art.83 del d.P.R. n. 115/2002, omettendo di interpretare la parte in cui si dispone che per il giudizio di Cassazione alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. Ulteriore questione viene esaminata con la successiva sentenza della Sesta Sezione n. 3885 del 2012 (Cass. pen., Sez. VII, sent. n. 3885 del 18 gennaio 2012). Con tale pronuncia i giudici della Suprema Corte si limitano a riprendere quelli che sono i contenuti ed il principio di diritto enucleato dalla sentenza del 2011 precisando però che, nonostante il disposto dell'art. 83, comma 2,d.P.R. 115/2002 preveda la competenza del giudice del rinvio ovvero di quello della sentenza passata in giudicato, qualora «nel giudizio di impugnazione l'imputato ricorrente venga condannato a rifondere le spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al gratuito patrocinio troverà applicazione il generale obbligo di liquidazione ex artt. 541 e 592 c.p.p., disciplinato dall'art. 110 d.P.R. 115/2002 con la previsione della ricordata necessità della coincidenza tra le due somme. Pertanto, anche la Corte di Cassazione potrebbe in questo peculiare caso procedere alla liquidazione», individuandolo quale giudice competente alla liquidazione, alla stregua degli altri giudici di grado inferiore. Viene però individuato quale presupposto indispensabile la presentazione da parte del difensore della parte civile ammessa al gratuito patrocinio di una nota spese conforme, nella indicazione delle voci e nei limiti quantitativi, alle prescrizioni dettate dall'art. 82 del su citato d.P.R., con la conseguenza che nel caso in cui la nota spese fosse generica, la competenza sulla liquidazione relativamente al “quantum” tornerebbe in capo al giudice di merito ai sensi dell'art. 83 comma 2 T.U. 2.
Il descritto contrasto giurisprudenziale, attesa la necessità di uniformare l'orientamento in tema di competenza del giudice che dovrà provvedere, per il giudizio di Cassazione, in ordine alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., nonché ad emettere, sempre per il giudizio di legittimità, il decreto di liquidazione degli onorari e delle spese al difensore della parte civile ammessa al suddetto patrocinio, ai sensi dell'art. 83, comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, al fine di evitare disparità di trattamento, e considerando altresì quelli che sono i plurimi interessi sottesi all'istituto del gratuito patrocinio è stato rimesso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con ordinanza n. 22819 del 28 marzo 2019. 3.
Il principio di diritto sulla questione controversa rimessa alle S.U. «Se, nel giudizio di legittimità, la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a carico dello Stato, ai sensi dell'art. 541 cod. proc. pen., ed alla emissione del decreto di liquidazione degli onorari e delle spese a beneficio del difensore della predetta parte civile, ai sensi dell'art. 83, comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, spetti alla Corte di cassazione ovvero al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato» sarà noto all'esito dell'udienza fissata per il giorno 26 settembre 2019. 4.
All'udienza del 26 settembre 2019, le Sezioni Unite penali, chiamate a decidere sulla questione controversa loro rimessa «se, nel giudizio di legittimità, la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a carico dello Stato, ai sensi dell'art. 541 cod. proc. pen., ed alla emissione del decreto di liquidazione degli onorari e delle spese a beneficio del difensore della predetta parte civile, ai sensi dell'art. 83, comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, spetti alla Corte di cassazione ovvero al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato», hanno affermato il seguente principio di diritto: «nel giudizio di legittimità spetta alla corte di Cassazione, provvedere, ai sensi dell'art. 541 cod. proc. pen., alla condanna generica dell'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrociinio a spese dello Stato, spetta al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002». 5.
Il 12 febbraio 2020 è stata depositata la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione relativa alla liquidazione nel giudizio di legittimità delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato. La questione rimessa alle Sezioni Unite era la seguente: Se, nel giudizio di legittimità, la competenza a provvedere in ordine alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a carico dello Stato, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., ed alla emissione del decreto di liquidazione degli onorari e delle spese a beneficio del difensore della predetta parte civile, ai sensi dell'art. 83, comma 2, d.P.R. 20 maggio 2002, n. 115, spetti alla Corte di cassazione ovvero al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. Come anticipato in precedenza, con l'ordinanza 28 marzo 2019, n. 22819, la Prima Sezione rimetteva alle Sezioni Unite una questione di diritto relativa alla competenza funzionale del giudice che deve provvedere, per il giudizio di Cassazione, alla liquidazione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nonché ad emettere il decreto di liquidazione degli onorari e delle spese al difensore della parte civile ammessa al patrocinio.
La decisione della Corte. La correzione di errore materiale. Con la sentenza 12 febbraio 2020, n. 5464, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto: Nel giudizio di legittimità spetta alla Corte di Cassazione provvedere, ai sensi dell'art. 541 c.p.p., alla condanna generica dell'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; spetta al giudice del rinvio o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato la liquidazione di tali spese mediante l'emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002. Sulla scorta di tale principio, ha provveduto alla correzione di errore materiale della sentenza emessa dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione, la quale aveva condannato l'imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili, disponendone il pagamento allo Stato. Oltre ciò, aveva però, anche determinato l'ammontare di tali spese, liquidandone la relativa somma indicata. La correzione di errore materiale si rendeva necessaria alla luce del principio individuato dalle Sezioni Unite, poiché la Corte non avrebbe dovuto procedere alla liquidazione delle somme, risultando a ciò competente il giudice del merito. Ed invero, la giurisprudenza ha sancito che, laddove il giudice abbia omesso di condannare l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, può farsi ricorso alla procedura dell'errore materiale, sempre che non emergano specifiche circostanze idonee a giustificare l'esercizio della facoltà di compensazione, totale o parziale, delle stesse (Cass. pen., Sez. Un., 31 gennaio 2008, n. 7945). In particolare, vanno ricondotte alla nozione di “errore materiale”: l'ipotesi di divergenza manifesta e casuale tra la volontà del giudice e il correlativo mezzo di espressione, quali l'errore linguistico e l'errore evidenziabile immediatamente dal contesto interno dell'atto; gli analoghi errori emergenti sulla base di atti diversi da quello da correggere; l'errore omissivo nei quali la divergenza è tra l'espressione usata dal giudice e quanto egli, pur nell'assenza di dirette risultanze della sua volontà in tal senso, avrebbe comunque dovuto univocamente esprimere in forza di un obbligo normativo. Così statuendo, le Sezioni Unite di fatto hanno evidenziato che «il dato peculiare è che quello che si “ricostruisce” non è la volontà “soggettiva” del giudice emergente dallo stesso atto (o da atti allo stesso collegati), bensì la sua volontà “oggettiva”, da considerarsi (necessariamente) immanente nell'atto per dettato ordinamentale». Per cui è stata ritenuta ammissibile nel caso di specie la correzione di errore materiale, perché con la rimozione dell'errore non si determina una modifica essenziale all'atto.
La motivazione. Opportunamente, la Corte opera una preliminare ricostruzione delle disposizioni di maggiore attinenza. Innanzitutto, l'art. 541, comma 1, c.p.p. dispone che, con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il giudice condanna l'imputato e il responsabile civile in solido al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, salva la possibilità di compensarle, ove ricorrano giusti motivi. La previsione è completata da quella dell'art. 153 disp. att. c.p.p., a mente del quale “agli effetti dell'art. 541, comma 1, del codice, le spese sono liquidate dal giudice sulla base della nota che la parte civile presenta al più tardi insieme alle conclusioni”. La condanna prevista dall'art. 541 c.p.p. attiene al rapporto imputato-parte civile, regolato dal criterio della soccombenza (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 4, 15 ottobre 1999, n. 4497; Sez. 6, 22 maggio 2003, n. 31744) ed ha ad oggetto le “spese processuali”, le quali comprendono i compensi che la parte deve al proprio difensore, oltre alle spese documentate, alle spese quantificate in modo forfettario e alle indennità e alle spese di trasferta. Per il pagamento non è richiesto un ulteriore provvedimento giudiziale, seguendo alla statuizione l'apposizione della formula esecutiva da parte del funzionario di cancelleria. Diversamente, gli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002 prevedono che il compenso del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato venga liquidato dal giudice con apposito decreto di pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative ad onorari, diritti ed indennità (art. 82, comma 1). Tale compenso deve essere ridotto di un terzo (art. 106-bis). La liquidazione è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all'atto della cessazione dell'incarico, dall'autorità giudiziaria che ha proceduto. Per il giudizio di Cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. In ogni caso, il giudice competente può provvedere anche alla liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione al patrocinio è intervenuto dopo la loro definizione (art. 83, comma 2). Ciò posto, va preliminarmente rilevato come nessuno degli orientamenti in campo ponga in dubbio che la condanna dell'imputato alla rifusione alla parte civile delle spese del giudizio di legittimità, prevista dall'art. 541 c.p.p., debba essere pronunciata dalla Corte di Cassazione. È ormai consolidata la tesi che le norme che disciplinano la condanna dell'imputato soccombente alle spese in favore della parte civile sono estensibili al giudizio di cassazione in virtù del rinvio disposto dall'art. 168 disp. att. c.p.p. (Cass. pen., Sez. V, 31 gennaio 1995, n. 1693; Cass. pen., Sez. Unite, 28 gennaio 2004, n. 5466). La questione, quindi, non attiene all'an debeatur, ma più propriamente all'individuazione del giudice competente ad emettere il decreto di liquidazione in favore del difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato a favore della quale l'imputato sia stato condannato al pagamento delle spese per il giudizio di legittimità, con pagamento in favore dello Stato. Secondo l'indirizzo maggioritario la Corte di cassazione non è competente a provvedere alla liquidazione del compenso del difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Il fondamento di tale affermazione viene rinvenuto nell'esplicita previsione dell'art. 83, comma 2 (Cass. pen., Sez. V, 18 gennaio 2018, n. 8218; Cass. pen., Sez. II, 21 ottobre 2015, n. 43356; Cass. pen., Sez. V, 20 ottobre 2016, n. 4143). All'orientamento maggioritario possono essere associate anche quelle decisioni che assegnano alla condanna ex art. 541 c.p.p. un contenuto limitato all'an, ritenendo che il quantum debba essere determinato dal giudice del rinvio o da quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato con il decreto previsto dagli artt. 82 e 83 del d.P.R. 115/2002. In casi analoghi, in passato, la Suprema Corte, seguendo tale indirizzo, ha affermato che alla liquidazione provvede, per il giudizio di Cassazione, ai sensi dell'art. 83, comma 2, d.P.R. 115/2002 il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, con separato decreto; ha rimarcato che nel processo penale, con la sentenza che accoglie la domanda di restituzione o di risarcimento del danno, il magistrato, se condanna l'imputato non ammesso al beneficio al pagamento delle spese in favore della parte civile ammessa al beneficio, ne dispone il pagamento in favore dello Stato (art. 110, comma 3, d.P.R. n. 115 cit.); ha, infine, ritenuto erronea la diretta liquidazione delle spese in favore della parte civile. Pertanto, ha disposto la correzione dell'errore materiale del dispositivo della sentenza, condannando l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile nella misura che successivamente sarà separatamente liquidata dal giudice del merito. Ha poi disposto il pagamento in favore dello Stato. Altro indirizzo, basato sulla teoria della necessaria corrispondenza degli importi dei due rapporti (i quali non potrebbero mai essere separati) insiste sull'unicità del giudice che dovrà liquidare i due corrispettivi cristallizzandoli nella medesima somma, ritenendo assorbente la circostanza secondo cui quando la parte civile è ammessa al patrocinio a spese dello Stato non residua alcun rapporto diretto tra l'imputato soccombente e la parte civile, perché l'unico rapporto della parte civile e del suo difensore, viene ad instaurarsi con lo Stato. Sulla scorta di questa teoria, tale orientamento afferma la competenza del giudice di legittimità attraverso un percorso argomentativo articolato. Siffatta lettura è frutto di una interpretazione sistematica nonché conseguenza immediata dell'applicazione concreta della disciplina speciale prevista dall'art. 110 d.P.R. n. 115/2002 rispetto all'art. 541 c.p.p. sul punto della sola quantificazione. L'an debeatur resta, invece, pienamente regolato dal solo art. 541 c.p.p. Secondo tale orientamento – generato dalla sentenza Cass. pen., Sez. VI, 8 novembre 2011, n. 46537 – il dispositivo della sentenza deve contenere sia la condanna dell'imputato alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, disponendone il pagamento in favore di quest'ultimo, sia la liquidazione a beneficio del difensore della parte civile (in tal senso, anche, Cass. pen., Sez. VI, 20 marzo 2014, n. 15435). Quando ciò non accada, ovvero si registri «il mancato inserimento di tale seconda statuizione in seno al dispositivo ...» si ritiene ricorra «... un mero errore materiale, appunto in ragione del carattere obbligato della statuizione omessa, direttamente correlata - e vincolata - al provvedimento adottato, di liquidazione delle spese processuali a favore dello Stato anticipatario, nel rispetto del disposto dell'art. 110, comma 3, d.P.R. 115/2002» (Cass. pen., Sez. VI, 6 marzo 2019, n. 20552). Inserendosi nel solco di tale orientamento, la sentenza Cass. pen., Sez. VI, 18 gennaio 2012, n. 3885, precisa la competenza del giudice, applicando il principio della necessaria coincidenza e contestualità delle statuizioni: quando nel giudizio di impugnazione l'imputato ricorrente viene condannato a rifondere le spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, trova applicazione il generale obbligo di liquidazione previsto dagli artt. 541 e 592 c.p.p., quale però disciplinato con norma speciale dall'art. 110 d.P.R. 115/2002, con la previsione della necessità della coincidenza tra le due somme (imputato-Stato; Stato-difensore della parte civile ammessa). In tale caso, anche la Corte di Cassazione potrebbe procedere alla liquidazione. Dunque, perché possa procedere alla liquidazione della somma il giudice di legittimità, bisogna che sussistano le seguenti condizioni: l'imputato ricorrente debba essere condannato a rifondere le spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato; debba sussistere una coincidenza tra le somme previste per il rapporto imputato – Stato e Stato – difensore della parte civile ammessa; debba esservi preventiva presentazione di una puntuale nota spese, che risponda ai principi dell'art. 82 d.P.R. n. 115/2002. Partendo dall'interpretazione letterale delle norme che disciplinano la materia, in applicazione del dettato previsto dall'art. 12 delle disposizioni preliminari alla legge, le Sezioni Unite aderiscono alla tesi dell'autonomia dei due rapporti, quale scelta necessaria ai fini di una interpretazione logico-sistematica, osservando che nel nostro ordinamento non è presente nessuna disposizione tesa a vincolare la liquidazione in favore del difensore alla misura fissata dal giudice penale nella sentenza di condanna. Piuttosto, deve evidenziarsi l'esistenza di una norma di segno opposto, quale appunto l'art. 82 del d.P.R. n. 115/2002, che limita la liquidazione dell'onorario e delle spese in favore del difensore della parte ammessa al patrocinio dello Stato ai valori medi tariffari, al termine di ciascuna fase o grado del processo ex art. 83 comma 2 del d.P.R. n. 115/2002. Ed invero, il significato dell'art. 83, comma 2, d.P.R. 115/2002 è univoco nel sottrarre alla Corte di Cassazione il compito di provvedere alla liquidazione, in piena coerenza con le caratteristiche del giudizio di legittimità. La tesi dell'autonomia delle due liquidazioni non comporta, però, l'integrale indipendenza delle due liquidazioni. Infatti, l'autonomia delle due liquidazioni trova espressione anche attraverso l'adozione di due distinti provvedimenti. Ed infatti, come ribadito dalla Circolare del Ministero della Giustizia del 10 gennaio 2018, il decreto di liquidazione deve essere adottato con un provvedimento separato rispetto a quello definitivo, poiché sono previste regole diverse quanto alla competenza del giudice, all'oggetto e al regime impugnatorio. L'autonomia non presuppone l'indipendenza, e viceversa. Ciò è chiaro perché sussiste la necessità di coordinare le diverse previsioni, al fine di evitare indebite patologie generate da una interpretazione fortemente ripiegata solo su se stessa. Si pensi, ad esempio, ad una condanna dell'imputato a una somma maggiore di quella liquidata al difensore della parte civile ammessa: lo Stato si arricchirebbe ingiustificatamente. A contrario, si pensi ad una eventuale condanna dell'imputato al pagamento di una somma minore rispetto a quella liquidata al difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, che determinerebbe un indebito depauperamento dell'erario. Le due liquidazioni, però, non sono neanche perfettamente coincidenti, poiché le spese processuali gravanti sulla parte civile non si esauriscono unicamente nell'onorario e nelle spese dovute al difensore. Dunque, nella determinazione dei due importi, non può sostenersi che le due liquidazioni debbano coincidere. La Corte, dunque, ha ravvisato la necessità di coordinare le previsioni normative sul tema, seguendo l'orientamento secondo cui: il giudice di legittimità pronuncia la condanna nell'an, affermando il diritto della parte civile a vedersi ristorate le spese processuali; il giudice del merito determina il quantum in seguito, tenuto conto della liquidazione dell'onorario e delle spese spettanti al difensore. Così facendo, si evitano paralisi procedimentali, non si sacrifica alcun interesse tutelato e si perviene ad una soluzione sistematicamente coerente e rispettosa delle diverse logiche e discipline, sia codicistica sia speciale.
Conclusioni. Le Sezioni Unite hanno disposto la correzione dell'errore materiale e trasmesso gli atti alla Corte di Assise d'Appello competente, affinché quest'ultima determini la somma da liquidare con separato decreto di pagamento. La decisione appare coerente e inserita correttamente nello schema sistematico, logico ed assiologico previsto dalla lettura sistematica delle norme che formano la disciplina della materia in esame. Ed invero, dall'interpretazione letterale dell'art. 83 del d.P.R. 115/2002, norma chiara nella formulazione, seppur tenendo conto che anche innanzi ad una norma chiara è sempre necessario provvedere ad una interpretazione che vada al di là del mero dato letterale perché da inserire in un contesto sistematico più ampio, è fatto palese l'intento del legislatore, il quale ha disposto che per il giudizio di Cassazione alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato. La sentenza ha il pregio di aver finalmente fatto chiarezza su un argomento di per sé ricco di problematicità, individuando una interpretazione di sano equilibrio tra gli orientamenti che nel tempo si erano contrapposti, salvaguardando i diversi interessi in gioco, nel rispetto dei limiti già individuati dall'ordinamento.
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