La restituzione nel termine quale possibile reset delle facoltà concesse all'imputato nel processo

Enrico Campoli
05 Gennaio 2017

La restituzione nel termine, per come regolamentata dall'art. 175, commi 1 e 2 (vecchia formulazione), c.p.p., forma una disciplina unitaria delle possibilità concesse all'imputato di presentare sia impugnazione avverso la sentenza contumaciale ed, una volta ottenutala, richiesta di accesso ai riti alternativi ovvero disgiunge e separa nettamente le due situazioni processuali?
1.

Ci si pone il quesito interpretativo se la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado, ex art. 175, comma 2, c.p.p. – nella sua formulazione antecedente alla novella ex l. 67/2014 ed in forza della sentenza n. 317/2009 – contempli, una volta che tale possibilità sia concessa, anche la facoltà di poter presentare al giudice di appello la richiesta di accedere ad un rito alternativo.

La disciplina dettata dall'art. 175, commi 1 e 2, c.p.p. – quest'ultimo oggetto sia di un intervento della Corte costituzionale (sentenza n. 317/2009) che ha esteso la restituzione nel termine anche all'imputato per impugnare la sentenza contumaciale e sia della novella ex legge 67/2014 – in sede di legittimità, e prima ancora di merito, è, da tempo, soggetta ad un continuo “strattonamento” tra da due diverse, ed inconciliabili, letture interpretative.

Andiamo per ordine.

Il comma 1 dell'art. 175 c.p.p. concede il diritto di formulare la richiesta di restituzione nel termine stabilito a pena di decadenza ad un'ampia categoria di soggetti – il pubblico ministero, le parti private ed i difensori – in tutti i casi in cui gli stessi non abbiano potuto osservarlo per caso fortuito o forza maggiore ed entro dieci giorni dalla cessazione dell'evento impeditivo.

Il comma 2 dell'art. 175 c.p.p., nella precedente formulazione – che si applica ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore (17 maggio 2014) della legge 67/2014 – ha attribuito la facoltà di richiedere la restituzione nel termine all'imputato condannato per impugnare la sentenza contumaciale, qualora non abbia avuto tempestivamente conoscenza del provvedimento […] salvo che non vi abbia volontariamente rinunciato.

Con numerose sentenze, i giudici di legittimità hanno sottolineato, e più volte ribadito, la diversità di presupposti e condizioni tra le due discipline costituendo, a loro avviso, quella dettata dal comma 2 (vecchia formulazione) una fattispecie processuale del tutto autonoma rispetto a quella del comma 1.

Secondo tale orientamento (per tutte, Cass. pen., Sez. VI, n. 14076/2013) la dimostrazione dell'incolpevole conoscenza del provvedimento di condanna da parte dell'imputato non travolge l'intero svolgimento del processo, e tutti i termini decadenziali in esso sanciti, in quanto con il riconoscimento della restituzione nel termine si è preso atto che, pur in presenza di una rituale notifica dell'atto introduttivo del giudizio, la mancata dimostrazione in concreto della conoscenza dell'atto da parte dell'interessato, imponesse di riconoscere la nuova decorrenza nel termine per proporre appello, circostanza che non comporta l'accertamento di alcuna nullità del procedimento.

Ed ancora, più precisamente, (Cass. pen., Sez. I, n. 39248/2014), la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale […] non comporta alcuna restituzione automatica dell'imputato nel termine per richiedere uno dei riti alternativi […], che è soggetta ai diversi termini e presupposti stabiliti dalla norma generale di cui al 1° comma dell'art. 175 c.p.p., risultando in particolare decorso il (più breve) termine decadenziale dei dieci giorni – da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore – entro il quale la relativa richiesta avrebbe dovuto essere presentata e ciò, in forza del fatto che l'istituto di cui all'art. 175, comma 2, c.p.p. garantisce, infatti, all'imputato la celebrazione di un nuovo giudizio d'appello ma non l'integrale rinnovazione ab initio del procedimento penale, comprensivo dell'esercizio di facoltà, come la richiesta di giudizio abbreviato, ancorate a ben precise scansioni temporali, la maturazione dei cui termini di decadenza può essere superata soltanto ove ricorrano le condizioni generali previste dal 1° (e non dal 2°) comma dell'art. 175 del codice di rito.

Avverso tale impostazione si è affermata una lettura interpretativa che tende, invece, a rendere unitaria la disciplina dei commi 1 e 2 (vecchia formulazione) dell'art. 175 c.p.p. per cui una volta dimostrato che l'imputato condannato, per cause indipendenti dalla sua volontà, non abbia avuto, tempestiva ed effettiva, conoscenza della celebrazione del giudizio, ed è per questo – a mezzo della restituzione nel termine – posto nelle condizioni di impugnarla ciò rappresenta, allo stesso tempo, una tipica ipotesi di impedimento a rispettare i termini decadenziali di accesso ai riti alternativi che va, pertanto, rimossa riespandendo ogni diritto e facoltà soggetti a decadenza.

Si sostiene nell'atto di rimessione, – richiamando altre decisioni innestate nel medesimo solco (Cass. pen., Sez. III, n. 39898/2014) e facendo propria la lettura costituzionalmente orientata della disciplina – che nel caso di restituzione nel termine, la mera possibilità di appellare è insufficiente se non accompagnata da rimedi rivolti a reintegrare il soggetto nei diritti e nelle facoltà non esercitate in primo grado, come del resto, in forza della eadem ratio, analoga possibilità viene riconosciuta all'imputato in conseguenza di nuove contestazioni, di domandare l'applicazione della pena, l'oblazione o il giudizio abbreviato relativamente ai reati nuovi o concorrenti […] trattandosi, anche in siffatti casi, di accuse delle quali la parte è venuta a conoscenza quando il termine per proporre le suddette domande era già scaduto senza sua colpa.

Del tutto speciosa – secondo tale lettura – è l'argomentazione che la facoltà di accedere ai riti alternativi sarebbe decaduta essendo decorso il termine dei dieci giorni di cui all'art. 175, comma 1,c.p.p. in quanto la formulazione di tale domanda, prima ancora della “rescissione del giudicato”, verrebbe dichiarata inammissibile non essendo ancora stata concessa la restituzione nel termine ad impugnare (prima di tale momento, l'imputato sarebbe quindi ancora impedito a richiedere la restituzione nel termine per accedere al rito alternativo”).

Inoltre, non può, sul punto, non evidenziarsi un'ulteriore ragione a sostegno della lettura offerta da questo secondo, e preferibile, orientamento e cioè che la Corte costituzionale investita della specifica questione, nel restituire al giudice remittente gli atti, attesa l'entrata in vigore della legge 67/2014ordinanza n. 149/2014 - ha evidenziato non solo che quest'ultima disciplina ha creato appositi meccanismi intesi ad evitare, in via preventiva, che si celebrino processi nei confronti di soggetti inconsapevoli ma anche l'esistenza della lettura costituzionalmente orientata, e sopra illustrata, già proposta in sede di legittimità.

Del resto, ed in modo del tutto significativo, l'art. 625-terc.p.p.– introdotto dalla legge 67/2014 e che si applica a tutti i procedimenti successivi al 17 maggio 2014 – nel sancire la rescissione del giudicato, individua nella celebrazione del processo – e non nella formale trattazione dello stesso, – il fulcro in merito al quale l'imputato condannato, qualora provi che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza, ha diritto ad essere rimesso in termine resettandosi integralmente le proprie facoltà processuali.

Last but not least, sarebbe quantomeno paradossale, nonché illegittima sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione, una lettura che, a prescindere dall'applicazione in concreto della disciplina previgente o attuale dell'art. 175, comma 2, c.p.p. non prendesse in considerazione la circostanza che mentre per l'imputato condannato con decreto penale la restituzione nel termine per proporre opposizione contempla “automaticamente” quella di richiedere i riti alternativi ciò sarebbe precluso per l'imputato condannato con sentenza.

2.

All'udienza del 16 febbraio 2016 – motivazione depositata in data 1 giugno 2016 – la seconda Sezione penale della Corte di cassazione (ord. n. 23161) ha rimesso alle Sezioni unite la decisione sulla seguente questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale:

se la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado, ai sensi dell'art. 175 c.p.p., comma 2, legittimi la richiesta al giudice di appello per la rimessione nel termine per l'ammissione ad un rito alternativo al dibattimento (art. 175, comma 2, nel testo antecedente alla novella della legge n. 67/2014).

3.

L'udienza per la trattazione della questione Se la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado, richiesta ai sensi dell'art. 175, comma 2, c.c.p., nel testo vigente prima della entrata in vigore della l. 28 aprile 2014, n. 67 ed applicabile ai procedimenti in corso secondo quanto previsto dall'art. 15-bis della legge indicata, comporti, anche la restituzione nel termine per richiedere in grado di appello l'ammissione ad un rito alternativo al dibattimento. è stata fissata, dal primo Presidente della Corte suprema, per il 29 settembre 2016 dinanzi alle Sezioni unite della Corte di cassazione.

4.

All'udienza 29 settembre 2016, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno preso la seguente decisione: Quando è disposta la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado, ai sensi dell'art. 175, comma 2, c.p.p., nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della legge 67 del 2014, applicabile ai procedimenti in corso a norma dell'art. 15-bis l. cit., l'imputato, il quale non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, può chiedere al giudice di appello di essere ammesso ad un rito alternativo (nella specie: giudizio abbreviato).

5.

All'udienza del 29 settembre 2016, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno adottato la seguente decisione: Quando è disposta la restituzione nel termine per appellare la sentenza contumaciale di primo grado, ai sensi dell'art. 175, comma 2, c.p.p., nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della legge 67 del 2014, applicabile ai procedimenti in corso a norma dell'art. 15-bis l. cit., l'imputato, il quale non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento, può chiedere al giudice di appello di essere ammesso ad un rito alternativo (nella specie: giudizio abbreviato).

Nelle motivazioni – depositate il 7 dicembre 2016 – le Sezioni unite spiegano, nel dettaglio, le ragioni in forza delle quali hanno optato per un'estensione del diritto di difesa dell'imputato, rimesso in termini per impugnare la sentenza contumaciale, anche alla facoltà di accedere, tout court, ai riti alternativi.

La pronuncia in esame – che riguarda tutti i procedimenti antecedenti all'entrata in vigore della nuova formulazione dell'art. 175, comma 2, c.p.p. (17 maggio 2014) – dopo avere inquadrato l'istituto, sia nella sua evoluzione storica che alla luce delle pronunce in sede europea succedutesi nel tempo, si è mossa nel solco interpretativo secondo cui l'imputato, che non abbia avuto conoscenza del procedimento a suo carico, avrebbe, con la restituzione nel termine per impugnare, un rimedio inefficace se non gli venisse riconosciuta la possibilità di esercitare i diritti propri del giudizio di primo grado.

Proprio in ragione di tale impostazione gli argomenti utilizzati in sede di rimessione dall'orientamento estensivo – e qui riportati sopra nella illustrazione della questione controversa – sono stati, nel corso della motivazione, specificamente richiamati ma si è anche sentita la necessità di precisare che, se da un lato, è corretto che della norma si dia un'interpretazione che consenta all'imputato di esercitare tutti i diritti di difesa di cui non abbia potuto avvalersi per la mancata conoscenza inconsapevole del procedimento a suo carico dall'altro è necessario assicurarsi che tale esercizio non stravolga o sia comunque incompatibile con la fase processuale (giudizio di appello) instaurata a seguito della restituzione del termine.

Occorre, in primo luogo, evidenziare che l'intero ragionamento interpretativo dei giudici di legittimità, per essere pienamente compreso, va calato nel contesto normativo adottato dal Legislatore.

Se la scelta restitutoria (e cioè, quella di rimettere in termini l'imputato per l'impugnazione della decisione assunta nella sua assenza inconsapevole) a fronte di quella caducatoria (e cioè, quella di disporre la regressione del procedimento al momento in cui viene certificata l'assenza inconsapevole dell'imputato) è stata riconosciuta dalla Corte di Strasburgo come opzione idonea a tutelare le garanzie difensive è di tutta evidenza che ciò costituisce, allo stesso tempo, un'evidente amputazione del principio costituzionale (art. 111) secondo cui ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti.

È di tutta evidenza, difatti, che “partire” da una sentenza di condanna, formatasi nell'assenza incolpevole dell'imputato, per quanto si consenta di impugnarla e di accedere poi anche ad un rito alternativo, non può mai essere equiparabile ad una condizione paritaria piena, che troverebbe la sua unica declinazione nella completa eliminazione del giudizio invalido (e non solo della sua decisione), per cui una situazione di compromesso sul diritto di difesa, per reggere costituzionalmente ed in sede europea, non può poi che garantire la massima estensione possibile di esso.

La Corte costituzionale, nelle pronunce riguardanti il tema dell'accesso ai riti alternativi, nei casi in cui l'accusa venga modificata in itinere (nn. 265/1994; 530/1995; 333/2009; 237/2012; 184/2014), ha sempre avuto modo di ribadire che ogni preclusione in tal senso imposta all'imputato in forza di un termine perentorio, la cui consumazione non può essere addebitata a sua responsabilità – e, quindi, in situazioni del tutto equiparabili all'assenza inconsapevole – comporta una grave violazione del diritto di difesa e va, pertanto, abbattuta ripristinando la capacità piena di quest'ultimo.

Il reset determinato dalla restituzione in termini, pertanto, non può essere limitato, per i procedimenti antecedenti alla nuova formulazione dell'art. 175, comma 2, c.p.p., alla sola impugnazione della sentenza di primo grado ed ai rimedi previsti dall'art. 603, comma 4. c.p.p. in tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale ma trova il suo indispensabile completamento nella piena facoltà di accedere ai riti alternativi con il primo atto di impulso processuale (vale a dire l'appello).

Quest'ultimo, del resto, non è, né funzionalmente né strutturalmente, incompatibile con una scelta processuale di tale tipo svolta dall'imputato rimesso in termini sia perché già sono contemplate situazioni processuali analoghe (si pensi, ad esempio, ai casi in appello del patteggiamento “ripescato” ex art. 448 c.p.p. ovvero all'abbreviato condizionato, rigettato nelle precedenti sedi, e recuperato ai fini della eventuale premialità in punto di pena) e sia perché l'eventuale contrasto tra le acquisizione del dibattimento e le risultanze delle indagini preliminari costituisce […] una problematica connessa al giudizio abbreviato, ove si faccia luogo a rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale non solo ai sensi dell'art. 603, comma 4, ma anche a norma dell'art. 603, comma 3, c.p.p. tant'è che, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, nel giudizio abbreviato d'appello il giudice può, invero, disporre d'ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l'accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione.

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