Esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione: alla ricerca degli elementi differenziali

20 Luglio 2020

Se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni debba essere qualificato come reato proprio esclusivo e, conseguentemente, in quali termini si possa configurare il concorso del terzo non titolare della pretesa giuridicamente tutelabile. Se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello...
1.

Relativamente ai rapporti tra estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni unite le seguente questioni: a) se i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e quello di estorsione siano differenziabili sotto il profilo dell'elemento materiale ovvero dell'elemento psicologico; b) in caso si ritenga che l'elemento che li differenzia debba essere rinvenuto in quello psicologico, se sia sufficiente accertare, ai fini della sussumibilità nell'uno o nell'altro reato, che la condotta sia caratterizzata da una particolare violenza o minaccia, ovvero se occorra accertare quale sia lo scopo perseguito dall'agente; c) se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, debba essere qualificato come reato comune o di "mano propria" e, quindi, se e in che termini sia ammissibile il concorso del terzo non titolare della pretesa giuridicamente tutelabile .

Nel caso sottoposto all'esame della II sezione della Corte di Cassazione gli imputati erano stati condannati per il reato di tentata estorsione aggravata dall'uso del metodo mafioso, in relazione al fatto che dopo essersi presentati come calabresi di Rosarno, avevano poi minacciato le persone offese al fine di ottenere l'immediato adempimento di una obbligazione, senza attendere l'esito della causa civile pendente (con la minaccia che ove non avessero ottemperato qualcuno si sarebbe fatto male).

Avverso la decisione hanno proposto ricorso gli imputati sia in ordine alla identificazione dell'apporto concorsuale fornito da uno dei soggetti che si sarebbe limitato a rimanere silente, sia relativamente alla qualificazione giuridica del fatto, che si voleva fosse inquadrato come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Il giudice di legittimità ha preso atto della rilevanza della questione relativa all'inquadramento della condotta contestata nella fattispecie prevista dall'art. 629 c.p. piuttosto che in quella prevista dall'art. 393 c.p., formulando le seguenti questioni rimesse alla valutazione delle Sezioni Unite: se i delitti di esercizio arbitrarlo delle proprie ragioni e quello di estorsione siano differenziabili sotto il profilo dell'elemento materiale ovvero dell'elemento psicologico; ed in tal caso se sia sufficiente accertare, ai fini della sussumibilità nell'uno o nell'altro reato, che la condotta sia caratterizzata da una particolare violenza o minaccia, ovvero se occorra accertare quale sia lo scopo perseguito dall'agente”; “se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, debba essere qualificato come reato comune o di "mano propria" e, quindi, se e in che termini sia ammissibile il concorso del terzo non titolare delta pretesa giuridicamente tutelabile.

Ovviamente va premesso che il contrasto sussiste solo per i casi in cui l'aggressione alla persona è funzionale alla soddisfazione di un diritto tutelabile innanzi all'autorità giudiziaria, essendo pacificamente inquadrate come estorsioni le condotte funzionali a soddisfare pretese sfornite di tutela.

Sia l'estorsione che l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni sono infatti reati che si consumano attraverso l'uso della "violenza" e della "minaccia" ovvero attraverso il compimento di azioni potenzialmente costrittive; entrambi prevedono, inoltre una forma aggravata nel caso in cui la condotta intimidatoria sia agita con armi, ovvero con uno strumento cui si riconosce un immediato potere coercitivo.

Al nucleo comune costituito dal ricorso alla violenza e alla minaccia si associano diversi elementi differenziali. Nel caso dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni caratterizzano la fattispecie: a) il presupposto, ovvero la circostanza che l'autore è titolare di un diritto che gli consente di "potere ricorrere al giudice", b) la condotta, ovvero l'"uso" della violenza o minaccia, quindi di una attività intimidatoria che viene descritta come elemento necessario di fattispecie, senza la indicazione degli effetti sulla vittima; c) l'evento costituito dal "farsi ragione da sé", attraverso il soddisfacimento della presunta pretesa legittima.

Di contro il delitto di estorsione risulta caratterizzato dalla richiesta esplicita in ordine alla produzione di un effetto costrittivo sulla vittima cui segue la acquisizione di un profitto ingiusto con altrui danno. Nella descrizione della condotta estorsiva l'utilizzo del verbo "costringere" evidenzia la volontà del Legislatore di sanzionare ogni condotta che generi l'annichilimento delle capacità volitive della vittima, trasformandola in un esecutore non reattivo degli interessi illeciti dell'autore.

In sintesi: la fattispecie prevista dall'art. 393 c.p., trova il suo centro nell'esistenza di un preteso diritto, che l'autore soddisfa attraverso l'"uso", non costrittivo, della violenza della minaccia, mentre l'estorsione ha il suo nucleo proprio nell'azione costrittiva, ovvero nell'annichilimento delle capacità volitive della vittima, la cui mediazione passiva è indispensabile per ottenere il risultato illecito.

Nel compiere la diagnosi differenziale tra il reato di estorsione e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nella giurisprudenza della Corte di Cassazione si registrano due orientamenti.

Un primo orientamento valorizza le differenze tra gli elementi oggettivi, così che il discrimine tra le due fattispecie è rinvenuto nel livello di gravità dell'azione minatoria che, ove particolarmente intensa giustifica il riconoscimento dell'estorsione (Cass.pen., Sez. II, 11 luglio 2017, n. 33712, Michelini e altri, Rv. 270425; Cass. pen., Sez. V, 20 luglio 2010, n. 28539, P.M. in proc. Coppola, Rv. 247882; Cass. pen., Sez. II, 10 dicembre 2004, n. 47972, Caldara ed altri, Rv. 230709).

Pertanto, l'elemento distintivo è individuato nel livello di gravità della violenza o della minaccia che, se particolarmente elevato, giustificherebbe l'inquadramento della condotta come estorsione.

Ciò in quanto, si è sostenuto in proposito, nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta violenta o minacciosa non può mai consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza; sicché quando la minaccia si estrinseca in forme che vanno al di là di ogni ragionevole intento di far valere un diritto, assumerebbe ex se i caratteri dell'ingiustizia, imponendo l'inquadramento della condotta nel delitto di estorsione.

In altri termini, la distinzione andrebbe operata prendendo di mira la condotta.

In particolare, tale formante giurisprudenziale qualifica come estorsione le condotte in cui la gravità della violenza o della minaccia superi un certo grado di importanza.

Se quest'ultima, invece, rimane contenuta e circoscritta allora la condotta violenta o minacciosa si caratterizza come un semplice 'elemento accidentale' pur sempre proporzionato rispetto all'intento astrattamente lecito perseguito dall'agente.

Ove, invece, detti limiti non scritti, e pertanto affidati al prudente apprezzamento del giudice di merito dovessero essere valicati, sarebbe configurabile il delitto di estorsione.

In sintesi: secondo questa interpretazione la violenza e la minaccia, qualora rivestano caratteristiche di particolare gravità, tramutano in "ingiusta" la pretesa, anche se correlata ad un diritto tutelabile per via giudiziaria, ed impongono l'inquadramento della condotta nel delitto di estorsione ricorrendone tutti gli elementi "oggettivi", ovvero l'aggressione violenta alla persona ed il profitto ingiusto, come mutato a causa della intensità della violenza.

L'orientamento in questione è stato recentemente oggetto di un approfondimento che si è concluso con l'affermazione la diagnosi differenziale tra i due reati, deve essere effettuata sulla base emersione della idoneità costrittiva dell'azione violenta contro la persona, non rilevando il fatto che l'aggressione sia funzionale alla soddisfazione di un diritto tutelabile di fronte all'autorità giudiziaria (Cass. pen., Sez. II, 31 luglio 2018, n. 36928, Maspero, Rv. 273837; Cass. pen., Sez. II, 10 dicembre 2018, n. 55137, Arcifa, Rv. 274469).

Altro orientamento individua l'elemento differenziale tra le due fattispecie "esclusivamente" nell'elemento soggettivo (Cass. pen., Sez. II, 16 luglio 2014, n. 31224, Comite, Rv. 259966; Cass. pen., Sez. II, 4 giugno 2015, n. 23765, P.M. in proc. Pellicori, Rv. 264106).

Si è sostenuto che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l'elemento intenzionale che integrerebbe la fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l'attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all'autorità giudiziaria.

Si specifica che nell'estorsione l'agente mira a conseguire un profitto ingiusto con la coscienza che quanto pretende non gli è dovuto, nell'esercizio arbitrario, invece, è animato dal fine di esercitare un suo preteso diritto nella ragionevole opinione, anche errata, della sua sussistenza, Pertanto l'intensità e/o la gravità della violenza o della minaccia non sarebbe elemento del fatto idoneo ad influire sulla qualificazione giuridica del reato.

Le condotte, secondo questo orientamento, potrebbero invece persino essere identiche in entrambe le fattispecie.

L'elemento intenzionale dirimente è, quindi, quello del cercare di perseguire un risultato che l'azione mira a conseguire: soddisfacimento di una pretesa (anche erroneamente) ritenuta legittima, ovvero ottenimento di un profitto ingiusto.

Ecco che, secondo questa corrente di pensiero, forme particolarmente gravi di violenza o di minaccia, persino a mano armata (come la norma che incrimina l'esercizio arbitrario espressamente prevede quale aggravante) potrebbero continuare ad integrare gli estremi del delitto di ragion fattasi.

È stato così deciso che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l'elemento intenzionale che, qualunque sia stata l'intensità e la gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto quando abbia di mira l'attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all'autorità giudiziaria (Cass. pen., Sez. II, 19 dicembre 2013, n. 51433, P.M. e Fusco, Rv. 257375; Cass. pen., Sez. II, 10 gennaio 2014, n. 705, Traettino, Rv. 258071; Cass. pen., Sez. II, 16 luglio 2014, n. 31224, Comite, Rv. 259966; Cass. pen., Sez. II, 14 ottobre 2014, n. 42940, Conte, Rv. 260474; Cass. pen., Sez. II, 4 giugno 2015, n. 23765, P.M. in proc. Pellicori, Rv. 264106; Cass. pen., Sez. II, 6 novembre 2015, n. 44674, Bonaccorso, Rv. 265190; Cass. pen., Sez. II, 23 ottobre 2015, n. 42734, Capuozzo, Rv. 265410; Cass. pen., Sez. I, 13 febbraio 2018, n. 6968, P.G. in proc. Rottino e altri, Rv. 272285).

Ma all'interno di questo secondo orientamento mentre sono presenti decisioni che valorizzano come elemento di differenziazione solo l'emersione della direzione della volontà alla soddisfazione del credito, si rinvengono anche quelle che, invece, ritengono che le modalità della condotta e dunque l'intensità della violenza e della minaccia rilevino ai fini del possibile riconoscimento del dolo dell'estorsione, di fatto riassegnando rilevanza decisiva alla intensità della violenza e della minaccia (Cass. pen., Sez. II, 3 novembre 2016, n. 46288, Musa e altro, Rv. 268360; Cass. pen., Sez. V, 24 novembre 2014, dep. 2015, n. 2819, Rv. 263589).

La complessità di tali orientamenti giurisprudenziali giunge a configurare un deciso contrasto di giurisprudenza, rispetto al quale la Cassazione con l'ordinanza in commento evidenzia la difficoltà di effettuare la diagnosi differenziale tra condotte cha hanno una intersezione oggettiva rilevante, seppur non completa.

Ritenere che in presenza di una pretesa tutelabile per via giurisdizionale (o percepita come tale) le condotte violente o minacciose finalizzate a soddisfarla quel diritto debbano essere attratte nell'orbita dell'art. 393 c.p., si assorbirebbe in tale fattispecie anche le condotte che incidono la libertà personale, ovvero i comportamenti idonei a trasformare la vittima in un "mediatore" non reattivo, strumentale al soddisfacimento della pretesa dell'autore.

Tenuto conto della forbice edittale che caratterizza il delitto previsto dall'art. 393 c.p., il risultato di tale operazione ermeneutica sarebbe l'abbattimento della rilevanza penale delle azioni violente di tipo costrittivo ogni volta che le stesse siano (percepite dall'autore) come funzionali alla soddisfazione del preteso diritto. Tale abbattimento della difesa penale dei diritti della persona in ragione della valorizzazione di interessi di natura (per lo più) patrimoniale non trova conforto nell'ordinamento costituzionale, che nella identificazione dei livelli di priorità assegnati ai diritti fondamentali inquadra come primario il diritto alla libertà personale (sia nella declinazione del dritto all'incolumità fisica che in quella della libertà di determinazione) cui pospone il diritto alla tutela del patrimonio che risulta meno garantito e, comunque cedevole rispetto a prioritarie esigenze di tutela dell'interesse collettivo.

Di contro riconoscere ad ogni condotta violenta o minatoria piena capacità costrittiva potrebbe condurre all'assorbimento nella più grave fattispecie estorsiva anche di condotte meramente "persuasive", dirette all'esazione extragiudiziale del credito, ma di fatto, inidonee ad annichilire le facoltà volitive della vittima, ovvero a trasformarla in un "mediatore senza volontà reattiva".

In sintesi, si ritiene che la tutela costituzionale assegnata alla incolumità fisica ed alla libera determinazione della persona imponga la attivazione dei massimi presidi di tutela disponibili, ogni volta che tali beni primari siano messi in pericolo, e che non è coerente con le indicazioni di priorità fornite dallo statuto costituzionale l'abbattimento della rilevanza penale di azioni costrittive orientate alla tutela privata di un diritto (che per lo più si declina come pretesa ad una soddisfazione di tipo patrimoniale).

Chiarito che l'effetto costrittivo è proprio solo del delitto di estorsione non essendo descritto nella fattispecie astratta prevista dall'art. 393 c.p., si osserva che ulteriori indicazioni per effettuare il corretto inquadramento ed individuare la linea di confine tra le fattispecie si rinvengono nella identificazione del bene protetto dalle due norme, ovvero: a) il "monopolio statale" nella risoluzione delle controversie per quanto riguarda l'esercizio arbitrario; b) la tutela della "persona", anche (sebbene non solo) nella sua dimensione patrimoniale con riguardo al delitto di estorsione.

Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è, infatti collocato all'interno del titolo 3^ del Codice, dedicato ai reati contro l'Amministrazione della giustizia, mentre il delitto di estorsione è allocato nell'ambito del titolo 13^, Capo 1^ dedicato ai delitti contro il patrimonio consumati con violenza alla persona.

La "persona" esce dunque dal fuoco della tutela prevista dall'art. 393 c.p., che garantisce che i rapporti creditori siano affidati alla mediazione giudiziale e non lasciati alle azioni violente dei privati; di contro la "persona", (anche sebbene non solo) nella sua dimensione patrimoniale, è il bene primariamente tutelato dal delitto di estorsione che sanziona "ogni" condotta costrittiva, indipendentemente dal fatto che la stessa sia orientata a far valere un preteso diritto.

Il delitto di estorsione presenta pertanto un raggio d'azione più ampio di quello dell'esercizio arbitrario dato che la condotta coercitiva viene sanzionata in tutti i casi in cui si risolva in un ingiusto profitto valutabile in termini patrimoniali. Diversamente l'esercizio arbitrario sanziona le deviazioni comportamentali del privato che, invece di affidare la risoluzione dei conflitti alla giurisdizione statale, riesca a farsi ragione da sé, utilizzando la violenza e la minaccia o per l'impossessamento diretto del bene che si ritiene dovuto, o a fini persuasivi, senza giungere alla soglia della costrizione che incide sul diritto alla libertà della persona, tutelato dalla più grave fattispecie dell'estorsione.

Pertanto: l'estorsione copre anche le condotte costrittive finalizzate a soddisfare un preteso diritto ogni volta che tale azione si risolva nell'annichilimento della capacità reattiva della vittima, effetto non previsto dalla fattispecie decritta nell'art. 393 c.p., che si limita a punire l'"uso", a fini esclusivamente persuasivi, della violenza o della minaccia. L'abbattimento delle facoltà volitive correlato all'esercizio dell'azione minatoria o violenta, che trasforma la vittima in mediatore non reattivo governato dall'autore, è invece un effetto che è previsto solo nell'estorsione, rimanendo estraneo a quella prevista dall'art. 393 c.p.

Va da ultimo chiarito che la capacità assorbente dell'art. 629 c.p., in presenza di una condotta con effetto costrittivo non viene meno se si valorizza un altro elemento della fattispecie estorsiva ovvero il "profitto ingiusto".

La soddisfazione di un preteso diritto attraverso la coazione alla persona non può che essere "ingiusto" (ex plurimis Cass. pen., Sez. II, 19 gennaio 2016, n. 1921, Li, Rv. 265643). Diversamente opinando l'uso della violenza costrittiva per regolare in via privata sarebbe sanzionata meno gravemente in presenza di un diritto e più gravemente in sua assenza: si tratta di un epilogo ermeneutico che si traduce nell'abbattimento della rilevanza penale della costrizione illecita giustificata da pretese patrimoniali, che contrasta con la dimensione assoluta e prioritaria dei diritti della persona (sulla prevalenza del diritto alla incolumità personale sul diritto all'integrità della sfera patrimoniale in materia di legittima difesa: Cass. pen., Sez. I, 23 novembre 2004, n. 45407, Podda, Rv. 230392; Cass. pen., Sez. I, 11 dicembre 2009, n. 47117, Carta, Rv. 245884).

Infine: su tale ricostruzione non incide il fatto che la condotta di esercizio arbitrario sia aggravata dall'uso delle armi, ovvero dal ricorso ad uno strumento con riconosciuto potere intimidatorio ed elevata potenzialità coercitiva; anche se l'agente ricorre all'arma lo scrutinio deve essere effettuato valutando in concreto se l'azione violenza ha avuto un epilogo costrittivo o, invece, solo persuasivo.

Può dunque essere affermato che ogni volta che l'azione minatoria o violenta si risolva nella costrizione delle vittima attraverso l'annichilimento delle sue capacità volitive, la condotta, anche se finalisticamente orientata al soddisfacimento di un preteso diritto, debba essere inquadrata nel delitto di estorsione; di contro l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni si rinviene in presenza di un diritto azionabile nelle sedi giudiziaria che venga soddisfatto attraverso attività violente o minatorie che non abbiano un epilogo costrittivo, ma più blandamente persuasivo.

Tale scelta interpretativa impedisce di legittimare (l'altrimenti plausibile) concorso formale tra reati, riconosciuto dalla giurisprudenza nei casi in cui si ritenga la medesimezza (qui negata) dell'azione materiale e la diversità del solo elemento soggettivo (Cass. pen., Sez. II, 23 dicembre 1997, n. 12027, Marrosu, Rv. 2104580; in materia di concorso formale tra i delitti di estorsione e di turbata libertà degli incanti distinguibili solo sulla base dell'elemento soggettivo: Cass. pen., Sez. II, 8 febbraio 2006, n. 4925, Piselli, Rv. 233346).

Altra questione che la sezione ha rilevato come controversa è stato il tema del “concorso di persone” nel reato previsto dall'art. 393 c.p.p., atteso che le ultime pronunce di legittimità sono nel senso di ritenere che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) rientra tra i c.d. reati propri esclusivi o di mano propria.

Con la conseguenza che, se la condotta tipica è posta in essere da un terzo estraneo al rapporto obbligatorio fondato sulla pretesa civilistica asseritamente vantata nei confronti della persona offesa, questa non potrebbe mai integrare il reato di esercizio arbitrario.

Nei casi in cui la condotta tipica sia, invece, posta materialmente in essere da chi intende farsi ragione da sé medesimo, sarebbe configurabile il concorso "per agevolazione", od anche "morale", nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni da parte di terzi estranei alla pretesa civilistica vantata dall'agente nei confronti della persona offesa.

L'ultimo approdo della giurisprudenza di legittimità in tale ambito è stata quella di ritenere che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sia con violenza sulle cose che sulle persone, rientra, diversamente da quello di estorsione, tra i cosiddetti "reati propri esclusivi" o di mano propria, configurabili solo se la condotta tipica è posta in essere dal titolare del preteso diritto.

Ne deriva che, in caso di concorso di persone nel reato, è configurabile il concorso di un terzo estraneo nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni (per agevolazione, o anche morale) solo ove la condotta "tipica" ovvero la azione violenta o minatoria sia posta in essere dal titolare del preteso diritto mentre qualora la condotta sia realizzata da un terzo che agisca su mandato del creditore, essa può assumere rilievo soltanto ai sensi dell'art. 629 c.p., (Cass. pen., Sez. II, 3 novembre 2016, n. 46288, Musa e altro, Rv. 268360).

Si tratta di giurisprudenza che rassicura sulla qualificazione del fatto come estorsione ogni volta che il titolare del diritto dia ad un terzo il mandato alla riscossione del credito: l'inquadramento dell'esercizio arbitrario come un reato proprio "esclusivo" esclude la delega della condotta di ragion fattasi e, di fatto, in relazione all'art. 393 c.p., inibisce l'operatività della norma generale sul concorso di persone nel reato.

La Cassazione ha infatti chiarito che nei reati propri cosiddetti "esclusivi" occorre che il soggetto qualificato (o intraneo), concorrente con altri, sia il personale esecutore del fatto tipico (ad esempio, nel reato di incesto), essendo questa l'indispensabile condizione per la sussistenza del reato proprio, prospettandosi, in difetto, reato comune ovvero nessun reato.

Soltanto in tali ipotesi si esige, dunque, la personale realizzazione della fattispecie tipica ad opera dell'intraneo, e tale condizione va ricavata dalla descrizione letterale della condotta materiale o dalla natura del bene o interesse giuridicamente protetto o da altri elementi significativi - ad esempio, particolari rapporti tra autore e soggetto passivo. Diversamente nei reati "propri" comuni, ovvero non "esclusivi" non è indispensabile che proprio l'intraneo sia l'esecutore dell'azione tipica, che può materialmente essere realizzata da altro concorrente, purché quello qualificato dia, secondo le regole generali, il suo contributo efficiente, in qualsiasi forma, compresa, quindi, quella omissiva della volontaria e concertata astensione dall'obbligo di impedire l'evento (Cass. pen., Sez. I, 30 aprile 1991, n. 4820, P.M. e Aceto ed altri, Rv. 187201).

Senza rinnegare tale ultimo approdo si rileva che ogni volta che il mandato alla riscossione del credito è conferito a soggetti dotati di particolare capacità persuasiva in quanto appartenenti a consorzi criminali con riconosciuta capacità criminale è ragionevole che l'azione violenta produca l'effetto costrittivo della libertà personale che, si è visto, è già da solo sufficiente a risolvere la vexata quaestio della diagnosi differenziale tra reati limitrofi.

A ciò si aggiunga che di regola il terzo esattore è mosso da un interesse proprio non coincidente con quello del mandante, consistente nell'accrescimento della propria capacità criminale (fonte dell'assegnazione di ulteriori incarichi e generatore di profitti): il che consente, anche da questa ulteriore prospettiva di escludere il concorso nel reato proprio in quanto il profilo soggettivo dell'esecutore in tale caso non è sovrapponibile con quello dell'autore del reato di ragion fattasi, essendo preminente l'interesse personale all'accrescimento del proprio prestigio criminale rispetto alla soddisfazione del credito altrui (in tal senso Cass. pen., Sez. II, 18 marzo 2016, n. 11453, Guarnieri, Rv. 267123; Cass. pen., Sez. II, 4 ottobre 2016, n. 41433, Bifulco e altri, Rv. 268630).

Pertanto nel caso in cui vi sia mandato all'esazione del credito con conseguente riconoscimento di un interesse del terzo coinvolto, distinto da quello del titolare, e si registri una discontinuità temporale tra l'azione "tipica" posta in essere dal titolare del diritto e l'azione del terzo, il fatto dovrà essere inquadrato nella fattispecie estorsiva, l'unica compatibile con l'azione del terzo non titolare del diritto.

Per completezza, la direzione dell'azione violenta nei confronti di persone estranee al rapporto contrattuale dal quale scaturisce il preteso diritto è un significativo indicatore della valenza costrittiva dell'azione, tenuto conto che in tal caso l'azione non viene diretta nei confronti di chi è nelle condizioni di esaudire la pretesa, e mira a generare un clima di intimidazione finalizzato a coartare la vittima, la cui mediazione forzata, resta necessaria per esaudire la pretesa (in tal senso ancora Cass. pen., Sez. II, 18 marzo 2016, n. 11453, Guarnieri, Rv. 267123; Cass. pen., Sez. II, 2 febbraio 2018, n. 5092, Gatto e altri, Rv. 272017).

Si ribadisce pertanto che l'elemento di fatto indispensabile per la configurazione del reato previsto dall'art. 393 c.p., è l'esistenza di un credito che può essere fatto valere innanzi all'autorità giudiziaria: tale condizione consente l'inquadramento del reato in quelli propri "esclusivi", con le conseguenti limitazioni in ordine all'operatività dell'art. 110 c.p., dato che il concorso è riconoscibile solo se l'azione del concorrente è contestuale ed omogenea rispetto a quella tipica posta in essere indefettibilmente dal titolare del diritto.

Infine: la direzione dell'azione violenta nei confronti di persone diverse dal debitore è indicativa della idoneità costrittiva della condotta in quanto rivela la volontà di ridurre la volontà del debitore trasformandolo in un esecutore non reattivo delle pretese dell'autore, titolare del diritto attraverso la creazione di un diffuso clima di intimidazione che coinvolge anche persone estranee al sinallagma contrattuale.

L'ordinanza osserva sul punto che l'art. 393 c.p. indica "chiunque", dovendosi così prendere atto che ci si trova dinanzi ad un "reato comune". E che non vi sono ragioni "ontologiche" che impediscano che l'azione materiale descritta dall'art. 393 c.p. sia posta in essere da terzi esecutori che agiscono per soddisfare le ragioni del mandante.

2.

All'udienza del 25 settembre 2019, la Seconda Sezione penale della Corte di cassazione (ord. n. 50696/2019) ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione delle seguenti questioni oggetto di contrasto giurisprudenziale:

a) se i delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e quello di estorsione siano differenziabili sotto il profilo dell'elemento materiale ovvero dell'elemento psicologico;

b) in caso si ritenga che l'elemento che li differenzia debba essere rinvenuto in quello psicologico, se sia sufficiente accertare, ai fini della sussumibilità nell'uno o nell'altro reato, che la condotta sia caratterizzata da una particolare violenza o minaccia, ovvero se occorra accertare quale sia lo scopo perseguito dall'agente;

c) se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, debba essere qualificato come reato comune o di "mano propria" e, quindi, se e in che termini sia ammissibile il concorso del terzo non titolare della pretesa giuridicamente tutelabile.

3.

Il Primo Presidente della Cassazione ha fissato per il 16 luglio 2020 l'udienza davanti alle Sezioni Unite penali per la soluzione della questione controversa in giurisprudenza:

Se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni debba essere qualificato come reato proprio esclusivo e, conseguentemente, in quali termini si possa configurare il concorso del terzo non titolare della pretesa giuridicamente tutelabile. Se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello di estorsione si differenzino tra loro in relazione all'elemento oggettivo, in particolare con riferimento al grado di gravità della violenza o della minaccia esercitate, o, invece, in relazione al mero elemento psicologico, e, in tale seconda ipotesi, come debba essere accertato tale elemento.

4.

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno affermato i seguenti principi di diritto:

1) Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all'elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie.

2) Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni ha natura di reato proprio; il concorso del terzo è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa e ulteriore finalità.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.