Se il giudice dell'impugnazione possa concedere d'ufficio le sanzioni sostitutive
02 Maggio 2017
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Vi è contrasto in giurisprudenza in merito al potere dovere del giudice di appello di sostituire la pena detentiva ai sensi dell'art. 53 legge 689/1981 nel caso in cui non sia stato ad hoc sollecitato pur avendo il ricorrente impugnato il punto della sentenza relativo al trattamento sanzionatorio.
La Corte di cassazione Sezione terza (ordinanza del 8 novembre 2016, n. 49631), nel verificare la legittimità della pronuncia della Corte d'appello di Bologna del 22 maggio 2015 che aveva rilevato l'inammissibilità della richiesta di conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria di specie corrispondente, in quanto non contenuta nei motivi di appello ma formulata per la prima volta con la memoria depositata prima dell'udienza di discussione, sottolineando che l'impugnazione riguardava unicamente il beneficio della sospensione condizionale della pena e non anche la misura della pena, evidenzia in primo luogo che era stato devoluto alla Corte d'appello anche il punto della decisione impugnata relativo al trattamento sanzionatorio e che quindi la richiesta di conversione avrebbe potuto essere esaminata ed era erroneamente stata dichiarata inammissibile. Infatti l'imputato, con l'atto d'appello, aveva, tra l'altro, richiesto la riforma della sentenza di primo grado anche nella parte relativa al giudizio di bilanciamento tra le circostanze, dichiarate tra loro equivalenti dal primo giudice, chiedendo che le circostanze attenuanti generiche fossero dichiarate prevalenti sulla aggravante di cui all'art. 349, comma 2, c.p. in tal modo devolvendo alla Corte d'appello anche la questione del trattamento sanzionatorio (cfr. Cass. pen., Sez. unite, 12 maggio 1995, n. 5978), potendo discendere da un diverso giudizio di bilanciamento, nei termini di prevalenza prospettati dall'appellante, una riduzione della pena. Rileva il Collegio che a proposito della possibilità del giudice della impugnazione, cui sia stato devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio (come nella specie risulta essere avvenuto), di concedere d'ufficio sanzioni sostitutive, vi è un contrasto giurisprudenziale, già segnalato dall'Ufficio del Massimario con la relazione, n. 64 del 4 novembre 2015. Nel senso favorevole all'esercizio del potere discrezionale del giudice si è espressa la Sezione III con sentenza n. 26710 del 5 marzo 2015, Natalicchio che ha affermato che una volta che sia stato devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio al giudice d'appello, a quest'ultimo deve riconoscersi il potere discrezionale di intervenire sulla pena, e quindi anche di concedere di ufficio, nei congrui casi, la sanzione sostitutiva, della cui mancata applicazione va data idonea motivazione, qualora di essa vi sia stata esplicita richiesta da parte dell'imputato. Nello stesso solco si collocano le sentenze Cass. pen.,Sez. IV, 5 maggio 1995, n. 6526, Marchetti; Cass. pen., Sez. IV, 19 giugno 1996, n. 6892, Falchi; Cass. pen., Sez. VI, 12 dicembre 2006, n. 786, Moschino; Cass. pen., Sez. IV, 9 aprile 2015, n. 22789, Ligorio. E ancora, di recente: Sez. IV, n. 33586 del 22 marzo 2016, Magini, secondo cui in tema di cognizione del giudice di appello, una volta devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio, il giudice di appello ha il potere di intervenire sulla pena e, quindi, di concedere anche sanzioni sostitutive, pur in assenza di una esplicita richiesta da parte dell'imputato. In senso contrario al riconoscimento di detto potere discrezionale e per una visione restrittiva del potere di intervento del giudice, si è espressa, la Sez. IV, n. 12947 del 20 febbraio 2013, Pilia, che ha affermato che il giudice di appello non ha il potere di applicare d'ufficio le pene sostitutive di quelle detentive brevi in assenza di motivi di impugnazione in ordine alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva, e ciò pur quando nel giudizio di appello la parte ne abbia fatto richiesta (in senso conforme, Cass. pen., Sez. V, 17 gennaio 1997, n. 2039, Amici; Cass. pen., Sez. VI, 20 marzo 1997, n. 4302, Manzella; Cass. pen., Sez. I, 26 settembre 1997, n. 166, Gargano; Cass. pen., Sez. V, 4 giugno 1998, n. 9391, Margiotta; Cass. pen., Sez. VI, 20 aprile 2000, n. 9704, Ricci; Cass. pen., Sez. IV, 10 gennaio 2002, ord. n. 31024, Ravaglia; Cass. pen., Sez. V, 10 ottobre 2005, n. 44029, Della Cerra; Cass. pen., Sez. VI, 22 maggio 2009, n. 35912, Rapisarda). La Sez. IV, sentenza 28 ottobre 2015, n. 43425 ha sottolineato che in tema di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, il giudice di appello, non investito con i motivi di impugnazione della censura relativa alla mancata applicazione della pena sostitutiva, non può concedere di ufficio la pena sostitutiva stessa, pur se richiesta dalla parte in sede di giudizio d'appello. Ed invero, a nulla rileva che trattasi di un beneficio meno consistente della sospensione condizionale della pena, beneficio, questo, che, in forza dell'articolo 597 c.p.p., comma 5, il giudice di appello può concedere di ufficio: infatti, proprio l'espressa previsione, da parte del legislatore, delle facoltà attribuite, ex officio, al giudice dell'appello preclude un'applicazione estensiva od analogica della norma, ed un ampliamento, per via di interpretazione giurisprudenziale, dei poteri discrezionali specificamente, e tassativamente, conferiti al medesimo giudice. Ancora recentemente nel medesimo senso si sono espresse Sez. III, 9 settembre 2015, n. 43595 (nella quale in motivazione è stato chiarito come il limite alla cognizione del giudice d'appello, in assenza di specifica impugnazione in ordine alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva, si giustifica in ragione della eccezionalità delle deroghe al principio devolutivo e della natura della sanzione sostitutiva, costituente pena autonoma e non, invece, semplice modalità esecutiva della pena sostituita), e Sez. VI, 27 gennaio 2016, n. 6257, Sapiente (nella quale in motivazione è stato precisato che la decisione sulla concessione delle sanzioni sostitutive, implicando la risoluzione di una pluralità di specifiche questioni distinte da quelle che attengono alla commisurazione della pena, tanto da poter richiedere il compimento di accertamenti istruttori, costituisce un punto di decisione autonomo rispetto a quello relativo alla quantificazione della pena). Il contrasto nasce dunque da differenti interpretazioni dell'art. 597 c.p.p., che, al comma 5, prevede espressamente che con la sentenza pronunciata in appello possano essere applicate – anche di ufficio – la sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, una o più circostanze attenuanti, e la possibilità di effettuare, quando occorre, il giudizio di comparazione a norma dell'art. 69 c.p. A sostegno della tesi che prevede l'applicazione delle sanzioni sostitutive allorquando al giudice d'appello sia stata devoluta la questione del trattamento sanzionatorio, si adduce che la l. 689 del 1981, art. 58, riconosce in via generale il potere discrezionale del giudice della sostituzione della pena detentiva e della scelta, tra le sanzioni sostitutive, di quella più idonea al reinserimento sociale del condannato, evidenziando che le stesse comportano benefici meno consistenti rispetto a quelli derivanti dall'esercizio di altri poteri esercitabili d'ufficio, quali quello concernente la concessione della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, o la effettuazione del giudizio di comparazione a norma dell'art. 69 c.p. Viceversa l'orientamento interpretativo contrario, sottolinea la natura eccezionale della norma di cui all'art. 597, comma 5, c.p.p., costituente deroga al principio generale dell'effetto devolutivo dell'appello stabilito dall'articolo 597, comma 1, c.p.p., per cui in assenza di specifica investitura con i motivi di impugnazione, della mancata applicazione della sanzione sostitutiva, al giudice d'appello non sarebbe consentito intervenire d'ufficio, anche se l'imputato ne abbia fatto espressa richiesta nel corso del giudizio di secondo grado. 2.
La questione rimessa alle Sezioni unite è: se il giudice d'appello possa applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, nel caso in cui, nell'atto di d'impugnazione, non sia formulata alcuna richiesta espressa in tal senso, ma sia comunque devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio. 3.
Il primo Presidente della Corte di cassazione ha fissato per il 19 gennaio 2017 l'udienza per la trattazione della questione: se il giudice d'appello possa applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, nel caso in cui, nell'atto di d'impugnazione, non sia formulata alcuna richiesta espressa in tal senso, ma sia comunque devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio. 4.
All'udienza del 19 gennaio 2017, le Sezioni unite si sono espresse sulla questione se il giudice d'appello possa applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, nel caso in cui, nell'atto di d'impugnazione, non sia formulata alcuna richiesta espressa in tal senso, ma sia comunque devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio, dando risposta negativa. 5.
Il 17 marzo 2017 è stata depositata la motivazione della sentenza del 19 gennaio 2017 con la quale le Sezioni unite della Corte di cassazione, risolvendo il contrasto giurisprudenziale, hanno affermato il seguente principio di diritto : « Il giudice di secondo grado non può applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso in cui nell'atto di appello non risulti formulata alcuna specifica richiesta con riguardo a tale punto ». La sentenza in commento fornisce una risposta alla questione sollevata dalla terza Sezione penale con ordinanza del 8 – 23 novembre 2016, partendo dalla considerazione di due ordini di motivi, l'uno di carattere sostanziale che involge la natura delle sanzioni sostitutive, l'altro di natura processuale che attiene al principio di recente scolpito da altra pronuncia delle Sezioni unite (sentenza n. 8825 del 27 ottobre 2016, Galtelli), secondo cui l'appello (come pure il ricorso per cassazione), è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultino esplicitati i rilievi critici mossi alle ragioni di fatto e di diritto alla base della sentenza impugnata. Riguardo al primo profilo il Supremo Collegio condivide la tesi (sostenuta da ultimo da Cass. pen., Sez. III con sentenza n. 43595del 9 settembre 2015), secondo cui le sanzioni sostitutive previste dall'art.53della legge 24 novembre 1981, n. 689, per il loro carattere afflittivo, per la loro convertibilità, in caso di revoca, nella pena sostituita residua, per lo stretto collegamento esistente con la fattispecie penale cui conseguono, hanno natura di vere e proprie pene e non di semplici modalità esecutive della pena detentiva sostituita (in tal senso anche Cass. pen., Sez. unite, n. 11397 del 25 ottobre 1995, Siciliano che ne ha tratto l'ulteriore corollario secondo il quale le disposizioni che le contemplano, pertanto, hanno natura sostanziale e sono anche soggette, in caso di successioni di leggi nel tempo, alla disciplina di cui all'art. 2, comma 3, c.p., che prescrive l'applicazione della norma più favorevole per l'imputato; Cass. pen., Sez. feriale, 32799 del 17 agosto 2011, Caponi). Si è parlato infatti di un sistema sanzionatorio “parallello” a quello “ordinario” connotato, come le norme penali, dal generale principio della lex mitior . A tale argomentazione il Supremo Collegio connette la conclusione secondo cui le questioni relative all'applicazione delle sanzioni sostitutive, costituiscono un “punto“ della decisione distinto da quello relativo al trattamento sanzionatorio, con l'ulteriore conseguenza che il gravame relativo a quest'ultimo, non può automaticamente estendersi alle prime (in tal senso Cass. pen., Sez.VI, n. 6257 del 27 gennaio 2016). L'autorevole consesso corrobora il proprio convincimento, circa l'inapplicabilità delle sanzioni sostitutive in difetto di specifica richiesta sul punto, anche in ragione di argomentazioni di natura processuale riguardanti la specificità dell'appello e richiama altra pronuncia delle Sezioni unite (Galtelli cit.) che valorizzando l'alto tasso di specificità dell'appello, come ricavabile dal combinato disposto degli artt. 581, comma 1 lett. c), c.p.p., 591, comma 1, lett. c) c.p.p. e 597, comma 1, c.p.p., sottolinea la natura eccezionale della norma di cui all'art. 597 comma 5 c.p.p., che prevede l'applicabilità anche d'ufficio della sospensione condizionale della pena, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, l'applicabilità di una o più circostanze attenuanti e la possibilità di effettuare quando occorre il giudizio di comparazione a norma dell'art. 69 c.p. sicché, stante l'eccezionalità delle deroghe al principio devolutivo,(Cass. pen., Sezioni unite, 7346/1994 Magotti), sarebbe precluso ogni tentativo di includere l'applicazione delle sanzioni sostitutive nell'elenco tassativo dei benefici concedibili ex officio dal giudice di secondo grado. La sentenza in commento sviluppa il quesito proposto e giunge al principio di diritto enunciato, attraverso un preliminare approfondimento circa la peculiare natura del sistema delle sanzioni sostitutive che ritiene collocato, tenuto conto delle regole che lo sorreggono, nell'ambito del diritto sostanziale, da ciò ricava, in linea con il principio della eccezionalità delle deroghe al principio devolutivo cui è correlato anche il tema della specificità dei motivi di appello, che la questione delle sanzioni sostitutive , che non può dirsi ricompresa nemmeno indirettamente, nel motivo riguardante il trattamento sanzionatorio, non implica un dovere motivazionale del giudice d'appello, non coinvolto nella decisione in mancanza di specifica richiesta sul punto. Va detto che l'approdo ermeneutico illustrato, appare fortemente condizionato dalle esposte ragioni di ordine processuale e armonicamente correlato alla sentenza Galtelli, in tema di specificità dell'appello e, si aggiunga, alla pronuncia delle Cass. pen., Sez. unite del 17 dicembre 2015, n. 28, in tema di rilevabilità d'ufficio della prescrizione. Nelle dette le pronunzie si rimarca infatti che l'obbligo motivazionale del giudice, si sviluppa in funzione ed in relazione alla condotta della parte processualmente interessata alla pronunzia, la quale è tenuta a proporre un'impugnazione conforme al modello legale e solo in tal caso genera, a carico del giudice, uno specifico obbligo motivazionale. Tale approdo ermeneutico che privilegia l'argomento di ordine processuale, sembra attribuire valenza secondaria e dunque recessiva, alla finalità sottesa alla disciplina introdotta dalla l. 689/1981 che prevede quale unico presupposto per l'applicazione delle sanzioni sostitutive, l'emissione di una pronuncia di condanna ad una pena detentiva di breve durata. Alcuni autori ricordano in proposito che la finalità perseguita dall'art. 53 della l. 689 del 1981, non è quella di far conseguire un vantaggio all'imputato, sebbene sia innegabile il vantaggio che lo stesso trae, bensì quella di evitare gli effetti desocializzanti delle condanne a pene detentive brevi e di ridurre il sovraffollamento carcerario. Proprio in ragione della stessa ratio legis, dunque l'applicazione dell'art. 53 non dovrebbe farsi dipendere dall'esercizio di un diritto disponibile delle parti e dovrebbe, pertanto, prescindere dal principio del tantum devolutum quantum appellatum (in tal senso GIAMBRUNO, in Cass. Pen., 1985, 10, 29 1850 a commento Cass. pen., Sez. II, 11 aprile 1984, n. 8241, Cianciolo). A ciò, d'altra parte, si obietta che le logiche di politica criminale sottese agli istituti accomunati alle sanzioni sostitutive, tutti riferibili alla diversa fase dell'esecuzione della pena, non dovrebbero essere sufficienti a legittimare una deroga in via interpretativa al principio generale dell'effetto parzialmente devolutivo dell'appello. Va, inoltre, aggiunto che l'attuazione delle finalità deflattive perseguite sia con la sospensione dell'esecuzione delle pene detentive ai sensi dell'art. 656, comma 5, c.p.p. che con le misure alternative alla detenzione, ivi compresa l'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive brevi, è sempre subordinata ad un'istanza di parte (differita, nel primo caso, nei trenta giorni successivi alla notifica del decreto di sospensione). |