La notifica dell'istanza di mutamento del regime cautelare quale “nuova” forma di tutela della persona offesa

20 Luglio 2016

La richiesta di autorizzazione a trasferire il luogo del domicilio degli arresti domiciliari importa l'obbligo di notificare la richiesta al difensore della persona offesa o, in mancanza, alla stessa persona offesa, ai sensi dell'art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p.?
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La richiesta di autorizzazione a trasferire il luogo del domicilio degli arresti domiciliari importa l'obbligo di notificare la richiesta al difensore della persona offesa o, in mancanza, alla stessa persona offesa, ai sensi dell'art. 299, commi 3 e 4-bis, c.p.p. ?

Il nodo interpretativo circa la necessità di notificare la richiesta di autorizzazione a trasferire il luogo del domicilio degli arresti domiciliari al difensore della persona offesa o, in mancanza, alla stessa persona offesa, è stato risolto in senso positivo da una parte della giurisprudenza. L'assunto muove innanzitutto dal collegamento logico-sistematico tra l'art. 299, comma 4-bis, c.p.p. – che si riferisce esplicitamente a tali modalità – ed il secondo inciso della stessa norma; in secondo luogo in ragione della ratio e funzione della l. 15 ottobre 2013, n. 119 con cui è stata attuata, in parte, la direttiva 2012/29/Ue del 25 ottobre 2012, recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato; infine, in ragione dell'estensione degli oneri informativi stabiliti in favore della vittima dalle norme interne, per cui si afferma che, anche la sola richiesta di applicazione della misura con modalità meno gravose, debba essere comunicata, a pena di inammissibilità, alla persona offesa (v., Cass. pen., Sez. VI n. 55670/2014). Com'è noto, la direttiva 2012/29/Ue – che sostituisce la decisione quadro 2001/220/Gai – è intervenuta sugli Stati membri con uno strumento normativo di immediata incidenza in quanto impositivo di un obbligo di legiferazione vincolante, quanto al risultato, tenuto conto della esigenza, individuata dalle norme minime in essa contenute, volte ad assicurare alla vittima del reato adeguati livelli di tutela e assistenza, sia nella fase di accesso e di partecipazione al processo, sia al di fuori di esso. Le profonde modifiche processuali a tutela della vittima sono riconducibili a tre filoni: quello informativo, quello delle misure cautelari e quello riferibile alle modalità di assunzione delle sue dichiarazioni.

Sarebbe, dunque, la volontà, univocamente sottesa alle disposizioni di rendere partecipe la vittima di precisate tipologie di reato dell'evoluzione della posizione cautelare dell'indagato (o imputato) a sollecitare una risposta di segno positivo, consentendole, in tal modo, di partecipare alla procedura cautelare, quantomeno presentando, entro un breve lasso temporale, memorie ai sensi dell'art. 121 c.p.p., al fine di offrire all'Autorità giudiziaria procedente la conoscenza di ulteriori elementi di valutazione pertinenti all'oggetto della richiesta e garantire, in tal modo, la possibilità di instaurare un adeguato contraddittorio, seppur cartolare. Su tale scia si colloca la Sez. V, 8 gennaio 2016, n. 18565, che si uniforma a quella parte della giurisprudenza (Cass. pen., Sez. VI, 23 luglio 2015, n. 35613; Cass. pen., Sez. VI, 5 febbraio 2015, n. 6717) secondo la quale l'inammissibilità dell'istanza di revoca o sostituzione delle misure cautelari coercitive (diverse dal divieto di espatrio e dall'obbligo di presentazione alla p.g.) applicate nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona - prevista dall'art. 299, comma 4-bis c.p.p. per l'ipotesi in cui il richiedente non provveda a notificare contestualmente alla persona offesa l'istanza di revoca, di modifica o anche solo di applicazione della misura con modalità meno gravose - è rilevabile, pure se dedotta da quest'ultima mediante impugnazione, poiché trattasi di sanzione che ha la funzione di garantire, anche dopo la chiusura delle indagini preliminari, l'adeguata informazione alla persona offesa (sicuramente categoria più ridotto delle vittime del reato) circa l'evoluzione del regime cautelare in atto, e, quindi, la possibilità per la stessa di fornire eventuali elementi ulteriori al giudice procedente, attivando un contraddittorio cartolare mediante la presentazione, nei due giorni successivi alla notifica, di una memoria ai sensi dell'art. 121 c.p.p.

Previsto in caso della revoca o sostituzione della misura cautelare, l'obbligo, dunque, opera anche nel caso in cui la richiesta riguardi il solo mutamento delle condizioni di esecuzione della misura coercitiva e, dunque, anche il mutamento del luogo di detenzione domiciliare, trattandosi di applicazione della misura con modalità meno gravose (Cass. pen., Sez. V. 24 febbraio 2016, n. 18306; Cass. pen., Sez. VI, 5 febbraio 2015,n. 6717). Anche rispetto a tale istanza la vittima del delitto potrebbe, infatti, avere motivo di interloquire, in relazione a concrete situazioni di pericolosità, che potrebbero derivare (a suo danno) dall'accoglimento dell'istanza, come, ad esempio, nel caso di rientro dell'indagato/imputato nel luogo ove abita la persona offesa, incidendo negativamente sulla finalità di protezione della stessa.

L'obbligo è, dunque, stabilito dalla legge e prescinde da ogni, eventuale, richiesta dell'interessato (Cass. pen., Sez. unite, 29 gennaio 2016, n. 10959): è conseguentemente nullo il provvedimento adottato in sua assenza dal giudice (Cass. pen., Sez. VI, 5 febbraio 2015, n. 6717). Deve, infatti, essere annullato con rinvio la decisione del tribunale che, anziché dichiarare l'inammissibilità della richiesta di revoca della misura, l'ha accolta senza valutare le eventuali obiezioni e controdeduzioni che la persona offesa avrebbe potuto prospettare nel contraddittorio cartolare (Cass. pen., n. 6717/2015 cit.). L'invalidità è deducibile, anche, dalla persona offesa con ricorso per cassazione – proponibile contro l'ordinanza del giudice – inerendo tale omissione all'instaurazione del necessario contraddittorio (Cass. pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n. 6864) fino al formarsi del giudicato (Cass. pen., Sez. II, 20 giugno 2014, n. 29045; Cass. pen., Sez. I, 30 maggio 2014, n. 25402).

Se l'obbligo de quo discende dal rispetto dalle norme comunitarie e quelle di attuazione nell'ordinamento italiano in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime dei reati commessi con violenza alla persona, l'art. 299, comma 4-bis, c.p.p. va rispettato – ha affermato Cass. pen., Sez. II, 1 aprile 2016, n. 19704 – anche se la richiesta è formulata in udienza, ogniqualvolta la persona offesa, pur regolarmente citata, non si è costituita parte civile: una tale condotta non avrebbe, ai fini de quibus, alcun rilievo.

In senso difforme si è rilevato come avallando una tale esegesi si imporrebbe a carico del difensore che ha presentato la richiesta un indistinto obbligo di notifica, anche nella fase più propriamente processuale e nell'ipotesi in cui la persona offesa non abbia nominato un difensore o si sia disinteressata del processo, in pieno contrasto con gli artt. 13 e 24 Cost.

Occorrerebbe, in tal caso, limitare tale onere informativo all'ipotesi in cui la persona offesa si sia effettivamente interessata della vicenda processuale, attivandosi mediante la nomina di un difensore, ovvero eleggendo domicilio e quindi rendendosi reperibile, escludendo tale obbligo nel caso in cui la persona offesa si sia completamente disinteressata della dinamica del processo (Cass. pen., Sez. II, 3 febbraio 2016, n. 12325) ovvero, sulla scorta di quella premessa, si è operato un distinguo secondo il quale il riconoscimento del diritto della persona offesa (dei delitti commessi con violenza alla persona) di partecipare in fase di indagini al procedimento incidentale cautelare, ricevendo la notifica, è condizionato alla manifestazione dell'interesse all'esercizio del diritto, che si esprime attraverso o la nomina del difensore o l'elezione di domicilio. Entrambi gli incombenti assicurerebbero la speditezza delle notifiche e il contenimento dei tempi di emissione del provvedimento cautelare, mentre, se la richiesta di revoca venga presentata in sede di udienza (quale, ad esempio l'udienza preliminare), ovvero in una fase processuale nella quale l'offeso ha facoltà di partecipare, avendo diritto alla notifica del decreto di fissazione, non è necessaria la notifica della richiesta, perché alla presentazione di tale richiesta in udienza consegue la contestuale e immediata comunicazione a tutti i soggetti processuali che hanno diritto di parteciparvi, con l'ulteriore conseguenza che l'assenza in udienza dell'offeso, che ha ricevuto rituale notifica, esprime una volontà di segno contrario a quella di volersi avvalere del diritto di partecipazione effettiva al procedimento e all'eventuale incidente relativo alla vicenda cautelare. In tal caso, la persona offesa decadrebbe, dunque, dal diritto alla notifica dell'istanza di revoca, fermo solo il suo diritto a conoscere l'esito dell'eventuale revoca o sostituzione della misura previsto dall'art. 299, comma 2 bis, c.p.p., oltreché dall'art. 90-ter c.p.p., come introdotto dal d.lgs. 212 del 2015 (Cass. pen., Sez. II, 3 febbraio 2016, n. 12325). L'assunto che vincola il rispetto dell'obbligo in esame sulla base di un presunto o manifestato interesse processuale del soggetto vittima del reato è contrastato da altra parte della Cassazione che opportunamente valorizza l'interpolazione operata dalla l. 119 del 2013 all'art. 299, comma 3, c.p.p., a mente della quale l'istanza de qua, presentata fuori dall'interrogatorio di garanzia, va notificata a cura della parte richiedente presso il difensore della persona offesa o, in mancanza, alla stessa persona offesa, a meno che in quest'ultimo caso, essa non abbia provveduto a dichiarare o ad eleggere domicilio. È in ragione di tale attività, infatti, che il difensore e la persona offesa possono nei due giorni successivi alla notifica presentare memorie ai sensi dell'art. 121 c.p.p.: l'ordinamento si fa carico della tutela degli interessi di cui è portatrice il soggetto ex art. 90 c.p.p., indipendentemente dalla sua condotta. D'altro canto se il legislatore avesse voluto introdurre dei condizionamenti ben avrebbe potuto impiegare formule analoghe a quella prevista all'art. 408, comma 2, c.p.p.

Gli incombenti sono, perciò, imposti tanto nella fase procedimentale, quanto processuale: l'obbligo inerisce, tuttavia, alle sole misure cautelari previste dagli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 c.p.p., applicate nei procedimenti di cui all'art. 299, comma 2-bis, c.p.p. ovvero aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona.

Non v'è dubbio che tali innesti normativi hanno “irrobustito” e modificato l'ordinamento sostanziale e processuale a protezione della vittima del reato dal rischio di nuove violenze. La modifica normativa in questione, unitamente ad altre (v. artt. 101, 408 e 415-bis c.p.p.), ha inteso valorizzare la figura della vittima e, nell'ambito del procedimento cautelare, assegnarle un ruolo attivo, rendendola, non è solo destinataria di un obbligo informativo ma affidandole anche il diritto ad una partecipazione attiva al processo che le permetta di farsi ascoltare e di partecipare consapevolmente al processo, senza legare le sue sorti a specifiche istanze risarcitorie che potrebbero esporla a dubbi circa la propria credibilità.

Ad avallare una tale linea interpretativa soccorre quanto affermato le Sezioni unite della Corte di cassazione che nel determinare l'esatta portata dell'espressione delitti commessi con violenza alla persona impiegata dalla legge, hanno puntualizzato come le novità di natura processuale introdotte con la l. 119 del 2013 sono ad ampio raggio poiché attengono a misure pre cautelari e cautelari, incidente probatorio, termine delle indagini preliminari, richiesta di archiviazione, avviso di conclusione delle indagini preliminari, esame testimoniale delle vittime vulnerabili, priorità di trattamento dei procedimenti, gratuito patrocinio: in tutti i casi l'elemento comune è dato dall'esigenza di assicurare protezione alla vittima di reato ed in particolare alla vittima di reati commessi con violenza alla persona (Cass. pen., Sez. unite, 29 gennaio 2016 n. 10959). Peraltro, da ultimo, si è affermato che l'obbligo di notifica vale anche in caso di richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, poiché –si badi- si è affermato- tale obbligo attiene alle forme del procedimento e non è influenzato dal merito (Cass. Sez. III, 13 giugno 2016, n. 24432).

Le ragioni di garanzia e tutela sottesa alla nuova disciplina impongono, dunque, un'esegesi estensiva dell'art. 299 c.p.p., come modificato dalla l. 119 del 2013, anche nel caso in cui la richiesta cautelare abbia ad oggetto l'autorizzazione a soffrire gli arresti infradomiciliari in altro luogo, fermo restando, come ha puntualizzato, la Corte di Strasburgo che la tutela della vittima vulnerabile, non può mai costituire una good reason per ammettere una vera e propria deroga al contraddittorio, posto che essa giustifica infatti, soltanto una disciplina speciale quanto alle modalità di realizzazione dello stesso (Corte Edu 18 luglio 2013 Vrochenko c. Estonia 65; 28 settembre 2010, A.S c. Finlandia 68; 6 novembre 2009, D. c. Finlandia 50; 10 febbraio 2006 Boicis - Cuesta c. Olanda 71).

Sulla scorta delle considerazioni vanno rigettate quelle letture giurisprudenziali di segno negativo che muovono ora da una valutazione della vicenda sottoposta alla sua attenzione, ora sul dato che la persona offesa non risulti vittima soltanto occasionale del reato (nel caso di specie si trattava di vittima del reato di rapina) (Cass. pen., Sez. II, 14 ottobre 2015, n. 43353). Tale interpretazione che identifica la vittima di reato (commesso con violenza) con il soggetto legato all'autore del reato da una relazione diretta sottostante, non appare conforme alla voluntas legis; del pari non pare da sottoscrivere l'opzione che esclude l'obbligo de quo nel caso dei reati le cui fattispecie astratte siano caratterizzate dal requisito della violenza alla persona, dovendosi invece avere riguardo, per individuare i soggetti destinatari della notifica, alle modalità esplicative del fatto illecito (Cass. pen., Sez. I, 20 ottobre 2015, n. 49339).

Certamente tali posizioni manifestano la necessità di contemperare le difficoltà e l'eccessiva onerosità dell'incombente imposto alla difesa, soprattutto nel caso procedimenti con una pluralità di persone offese: è in considerazione di tale esigenze che una corretta osservanza delle norme può – a nostro avviso – identificarsi nel fatto di considerare destinatari della notifica solo le persone offese i cui dati e elementi identificativi siano ricavabili dal fascicolo processuale, tenendo, peraltro, presente che tale incombente non è limitato esclusivamente alla fase procedimentale, ma si estende anche a quella processuale (v. Cass. pen., Sez. VI, 23 luglio 2015 n. 35613). Appare questa un'adeguata e opportuna forma di bilanciamento giudiziale degli interessi di cui sono portatrici i soggetti: l'idoneità ad assecondare tanto le esigenze di tutela dell'offeso dal reato commesso con violenza alla persona, quanto quelle di libertà e di difesa dell'imputato (artt. 13 e 24 Cost.), trovano un'appagante punto di mediazione nell'obbligo di notifica dell'istanza sulla libertà nei confronti della persona offesa i cui elementi identificativi, completi, emergano dal fascicolo processuale – aggiungiamo – all'atto della domanda.

Guida all'approfondimento:

FERRANTI, Brevi riflessioni sulla vittima del reato, in vista del recepimento della Direttiva 2012/29/UE, in Cass. pen., 2015, 3415;

GUERRA, La violenza di genere: l'attuale sistema di tutela penale alla luce dei più recenti interventi legislativi, in Cass. pen., 2015, 2117;

PAVICH, La nuova legge sulla violenza di genere, in Cass. pen., 2013, 4314;

ZACCHÈ, Le cautele fra prerogative dell'imputato e tutela della vittima dei reati violenti, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 646 ss.

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