La responsabilità penale per violazione di sigilli del custode giudiziario inerte
10 Novembre 2015
Discussa risulta in giurisprudenza la questione se la condotta omissiva del custode giudiziario, quale soggetto destinatario di uno specifico obbligo di vigilanza sulla cosa affinché ne venga assicurata o conservata la integrità, di fronte ad attività altrui, integri ipso iure il delitto di violazione dei sigilli. La recente giurisprudenza ha sottoposto a critica l'orientamento maggioritario, volto ad ampliare l'ambito di operatività della fattispecie di cui all'art. 349 c.p. a discapito dell'agevolazione colposa ex art. 350 c.p. La questione, poi, chiama in causa i principi che reggono il sistema penale ad orientamento costituzionale, quali quello di stretta legalità e di penale responsabilità per fatto proprio colpevole.
La Sez. III della suprema Corte Cass. pen.con la sentenza del 19 marzo 2015, n. 16900, discostandosi dall'orientamento maggioritario in materia, ha affermato che deve essere esclusa la sussistenza del reato di violazione di sigilli in capo al custode giudiziario nel caso di una mera condotta inerte di fronte ad iniziative altrui. Si tratta di una questione controversa, che può essere sintetizzata nei termini seguenti: se la condotta omissiva del custode giudiziario, quale soggetto destinatario di uno specifico obbligo di vigilanza sulla cosa, affinché ne venga assicurata o conservata la integrità, di fronte ad attività altrui, integri ipso iure il delitto di violazione dei sigilli. Ora, la recente pronuncia parte dall'assunto che il reato di violazione di sigilli previsto dall'art. 349 c.p. si distingue dall'ipotesi di agevolazione colposa di cui all'art. 350 c.p. per l'elemento psicologico, giacché nella prima fattispecie la condotta del custode della cosa in sequestro è dolosamente diretta a porre in essere la violazione dei sigilli, mentre nella seconda tale violazione è conseguente alla negligenza e trascuratezza del custode; da tale premessa deriva che se il reato di violazione di sigilli viene ad essere integrato dal custode per effetto del mancato adempimento dell' obbligo di vigilanza sullo stesso incombente, nessuno spazio residua per l'applicabilità dell'art. 350 c.p. Ed è per tale ragione che si sostiene la conformità con la voluntas legis, chiaramente diretta a distinguere le condotte rispettivamente contemplate dagli artt. 349 e 350 c.p., dell'orientamento minoritario secondo cui va escluso il reato in caso di mera condotta inerte di fronte ad iniziative altrui. Tale impostazione, come detto, risulta minoritaria in giurisprudenza, essendo stata sostenuta in passato da Cass. pen., Sez. III, 5 marzo 2004, n. 22784 e Cass. pen., Sez. III, 27 maggio 2003, n. 28904; tale ultima pronuncia precisa poi che in tema di violazione dei sigilli, non è configurabile la responsabilità del proprietario del suolo e per accessione del fabbricato abusivamente edificato, senza una preventiva indagine in ordine all'elemento psicologico del reato, che nella specie deve assumere i connotati del dolo e non può farsi sussistere per la semplice acquiescenza alle iniziative di terzi, anche se prossimi congiunti. L'orientamento maggioritario, per contro, da ultimo ribadito da Cass. pen., Sez. III, 20 febbraio 2013, n. 29040, ritiene che alla veste di custode giudiziario quale soggetto destinatario di uno specifico obbligo di vigilanza sulla cosa, affinché ne venga assicurata o conservata la integrità, vada ricondotta la responsabilità ipso iure per la violazione dei sigilli salvo che lo stesso custode non dimostri l'ipotesi del caso fortuito o della forza maggiore. Per tale impostazione, si segnalano Cass. pen., Sez. III, 24 maggio 2006, n. 19424; Cass. pen., Sez. III, 29 aprile 2004, n. 26848; Cass. pen., Sez. III, 28 gennaio 2000, n. 2989. In breve, la posizione dominante in giurisprudenza si fonda sull'affermazione di un rigoroso obbligo di vigilanza in capo al custode, la cui violazione lascia presumere in re ipsa la sussistenza del reato nelle sue componenti oggettive e soggettive. Senonché, Cass. pen., Sez. III, 19 marzo 2015, n. 16900 pone in evidenza i rischi cui va incontro l'orientamento maggioritario, rilevando che un'affermazione di responsabilità semplicemente riposante sul mancato adempimento dell'obbligo di vigilanza incombente sul custode inteso ad impedire che altri possa violare i sigilli equivale a fondare la stessa, tanto più laddove non risulti che il custode sia stato a conoscenza di comportamenti in corso altrui di tal fatta, su un'omissione di natura colposa. Tale conclusione –secondo la richiamata sentenza – oltre a comportare possibili attriti con il principio di corrispondenza tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza ove il primo sia configurato in termini attivi e di diretta causazione della violazione ed il secondo invece, appunto, in termini di omessa vigilanza rispetto ad una violazione di terzi, finisce, a ben vedere, ancor prima, da un lato, per contraddire al carattere necessariamente doloso della violazione di cui all'art. 349 c.p. e, dall'altro, per risolversi in una interpretatio abrogans dell'ipotesi di agevolazione colposa di cui all'art. 350 c.p. (disposizione che prevede, infatti, che se la violazione dei sigilli è resa possibile, o comunque agevolata, per colpa di chi ha in custodia la cosa, questi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929). Sul punto, vale anche la pena di rilevare che l'impostazione maggioritaria rischia di creare tensioni con il principio di stretta legalità, trasformando un reato doloso nell'agire omissivo colposo: l'accertamento dell'obbligo di impedimento dell'evento viene fondato in re ipsa sulla violazione dell'obbligo di vigilanza; l'accertamento del nesso causale tra condotta omissiva e reato non impedito viene presunto nella stessa violazione dei doveri di vigilanza; infine la violazione dell'obbligo di vigilanza fonda la prevedibilità dell'evento che, attraverso presunzioni, giustifica l'imputazione a titolo di dolo (eventuale). In tal modo quella che dovrebbe essere una responsabilità fondata su un reato commissivo doloso si trasforma, di fatto, nella imputazione colposa di un reato di pura condotta (il colposo mancato assolvimento dei doveri di vigilanza), rilevante al limite ex art. 350 c.p. Si deve anche ricordare che, al fine di garantire il contenimento della responsabilità nell'alveo del principio di responsabilità per fatto proprio (e colpevole), la responsabilità a titolo di concorso mediante omissione – sempre che esista uno specifico potere giuridico impeditivo in capo al reo – non potrà essere automaticamente affermata per effetto della mera violazione dell'obbligo ma in base all'effetto di essa rispetto alla realizzazione del reato non impedito: in altri termini, la violazione dell'obbligo è il presupposto per l'imputazione del fatto ma non può esaurirla, in quanto il giudizio d'imputazione deve fondarsi sull'efficacia causale o almeno agevolatrice dolosa del reato altrui, la quale non può essere in nessun caso presunta. Senza considerare l'evidente rischio di una responsabilità da posizione mascherata, atteso che nelle pieghe di una responsabilità per fatto proprio (nesso causale) colpevole (dolo), in realtà si intravede sostanzialmente il mancato accertamento del nesso causale e la trasformazione della responsabilità colposa in responsabilità dolosa, complice la magmatica figura del dolo eventuale. |