L'illegittimità della motivazione sintetica del provvedimento di sequestro probatorio del corpo del reato

28 Agosto 2018

Se, per le cose che costituiscono corpo di reato, il decreto di sequestro probatorio possa essere motivato con formula sintetica ove la funzione probatoria del medesimo costituisca connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato...
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Se, per le cose che costituiscono corpo di reato, il decreto di sequestro probatorio possa essere motivato con formula sintetica ove la funzione probatoria del medesimo costituisca connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono o debba, invece, a pena di nullità, essere comunque sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l'accertamento dei fatti.

La questione rimessa alle Sezioni unite concerne la possibilità di qualificare come legittimo, ai sensi dell'art. 253, comma 1, c.p., il decreto con il quale il pubblico ministero disponga il sequestro del corpo del reato sulla base di una motivazione sintetica giustificabile alla luce dell'intrinseco nesso ontologico e immanente tra il corpus delicti e le finalità di accertamento dei fatti.

La questione prospettata si inserisce nel più ampio dibattito inerente la necessità di esplicitare le esigenze probatorie nell'ambito di un sequestro avente a oggetto il corpo di reato.

Si tratta di una problematica che ha fatto registrare un andamento ondivago della Suprema Corte. In particolare, se con la pronuncia n. 10 del 18 giugno 1991 le Sezioni unite si affrettava a sconfessare l'orientamento che sosteneva la superfluità della specifica motivazione del sequestro probatorio in ordine al corpus delicti, evidenziando la fallacia logico-giuridica dell'assunto a tenore del quale il corpo del reato sarebbe sempre necessario per l'accertamento dei fatti, solo tre anni dopo si assisteva a un deciso revirement(cfr. Cass. pen., Sez. unite, 11 febbraio 1994, n. 2), ravvisandosi in re ipsa la finalità probatoria quando il vincolo reale attinge il corpo del reato, con conseguente ultroneità dei qualsiasi giustificazione del sequestro, risultando, per converso, sufficiente un mero richiamo alla qualificazione della cosa come corpo del reato.

Nel recente passato si sono consolidati due opposti orientamenti: il primo – di carattere minoritario ma che ha incontrato l'adesione di un numero considerevole di pronunce (cfr. ex plurimis Cass. pen., Sez. III, 10 luglio 2000, n. 2728; Cass. pen., Sez. III, 27 settembre 2001, n. 38851) – prendendo le mosse da una analisi prettamente letterale del contenuto dell'art. 253, comma 1, c.p., sostiene una distinzione tra corpus delicti e cose pertinenti al reato ai fini della motivazione del decreto di sequestro, ravvisando la riferibilità, per concordanza grammaticale, dell'aggettivo necessarie alle sole cose pertinenti al reato; il corpo del reato sarebbe, invece, per naturale predisposizione, indissolubilmente connesso all'illecito da un rapporto di immediatezza di portata tale da far presumere come automatica la sua acquisizione per mezzo del provvedimento di adprehensio, la cui motivazione dovrebbe, quindi, appuntarsi sul preminente aspetto della configurabilità della res quale corpo del reato.

Il secondo orientamento – maggioritario sia in giurisprudenza (cfr. ex multis Cass, pen., Sez. I, 25 marzo 1998, n. 1786; Cass. pen., Sez. VI, 20 maggio 1998, n. 1786) che in dottrina – oltre a ritenere, in primis e per converso, imprescindibile la spendita di una esaustiva motivazione in ordine alla sussistenza delle finalità probatorie, anche qualora le stesse riguardino unicamente il corpo del delitto, confuta l'argomento letterale sostenuto dall'orientamento avverso, sottolineando come per ragioni di immediata contiguità sintattica è ben possibile la concordanza dell'aggettivo con l'ultimo nome femminile, quando questo è plurale, anche se viene preceduto da nomi maschili; viene rilevato, inoltre, come sia pacifico che il sequestro del corpus delicti non sia sempre necessario all'esaudimento delle finalità probatorie.

Massima espressione del secondo orientamento risulta essere l'ultima pronuncia resa sul tema dal massimo consesso della giurisprudenza nomofilattica (cfr. Cass. pen.,Sez. unite, 28 gennaio 2004, n. 5876), il quale evidenzia, da una parte, come dalla lettura della Relazione al progetto preliminare del codice di ritonon emerga un'intentio legislatoris volta a prefigurare una figura di sequestro differente da quelle tipizzate (rifiutandosi, pertanto, la configurabilità del sequestro del corpo del reato come quartum genus suscettibile di automatica ed obbligatoria applicazione) e, dall'altra, come l'automatica apprensione del corpo del reato per l'accertamento dei fatti risulti sconsigliata, oltre che dalla comune esperienza dettata dalla varietà delle vicende processuali, altresì dalla coordinata lettura della norma del primo comma dell'art. 253 c.p.p. con quella dettata dal primo comma dell'art. 262 c.p.p., la quale, senza alcuna distinzione, prevede la restituzione delle cose sequestrate agli aventi diritto quando non è necessario mantenere il sequestro ai fini della prova; infine, la Corte rileva come la sola adozione di un provvedimento fornito di adeguata motivazione si porrebbe in assonanza con il diritto alla protezione della proprietà espressamene riconosciuto sia dalla nostra Carta fondamentale (art. 42 Cost.) sia dal I Protocollo addizionale dalla Cedu (art. 1) e costituente specifico limite all'intervento del diritto penale nell'alveo dei diritti costituzionalmente garantiti e delle libertà fondamentali. Proseguendo nell'iter motivazionale, le Sezioni unite rimarcano la circostanza che avallare un provvedimento di sequestro del corpus delicti scevro di adeguata veste motivazionale comporterebbe, inoltre, una palese alterazione del virtuoso bilanciamento tra i motivi di interesse generale e il sacrificio del diritto del singolo alla fruizione dei propri beni, dato che in tal modo si darebbe la stura alla costituzione di un vincolo di indisponibilità su di una cosa unicamente sulla base della circostanza, del tutto fortuita, di essere la stessa l'oggetto sul quale o tramite il quale è stato perpetrato il reato, o del medesimo il profitto, il prodotto o il prezzo, disancorando perciò il sequestro dai motivi di interesse generale che ne dovrebbero costituire ontologico presupposto.

L'ultimo intervento delle Sezioni unite ha incontrato l'adesione di gran parte della successiva giurisprudenza di legittimità (cfr. ex plurimis, Cass. pen., Sez. V, 15 marzo 2013, n. 46788,; Cass. pen., Sez. III, 11 marzo 2014, n. 19615) ma l'annosa questione si presenta tutt'altro che sopita.

Numerose sono, infatti, le pronunce della Suprema Corte che permangono aderenti al primo degli orientamenti esposti, al cui interno si è registrata, peraltro, un'ulteriore diramazione.

Secondo una prima esegesi, il decreto di sequestro probatorio del corpus delicti deve essere sorretto, a pena di nullità, da idonea motivazione in ordine alla sola sussistenza della relazione di immediatezza tra la res sequestrata e il reato oggetto di indagine e non anche in ordine alla necessità di esso in funzione dell'accertamento dei fatti, poiché l'esigenza probatoria del corpo del reato è in re ipsa, a differenza del sequestro delle cose pertinenti al reato che necessita di specifica motivazione su quest'ultimo specifico aspetto (cfr. Cass. pen., Sez. II, 28 ottobre 2016, n. 52259; Cass. pen., Sez. V, 3 novembre 2017, n. 54018).

Altre pronunce, invece, se da una parte sono risolute nel ritenere indefettibile l'adozione di un provvedimento completo di adeguata motivazione nel caso in cui venga disposto il sequestro del corpo del reato, dall'altra ritengono sufficiente il ricorso ad una formula sintetica nel caso in cui la funzione probatoria del corpo del reato sia connotato ontologico e immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono (cfr. ex plurimis Cass. pen., Sez. II, 20 gennaio 2015, n. 4155; Cass. pen., Sez. II, 15 marzo 2017, n. 33943).

Proprio con tale ultimo orientamento concorda la Terza Sezione della Suprema Corte, la quale – condividendo le motivazioni del pubblico ministero ricorrente in ordine alla sufficienza, nel caso di specie, di una sintetica motivazione, involgendo il sequestro beni immobili in seno ad un procedimento penale per reati edilizi – ha ritenuto opportuno devolvere al massimo consesso la risoluzione della questione giuridica.

2.

All'udienza del 1° dicembre 2017 la terza Sezione penale ha rimesso al Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione un ricorso che ha proposto la seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale: «se, per le cose che costituiscono corpo di reato, il decreto di sequestro probatorio possa essere motivato con formula sintetica ove la funzione probatoria del medesimo costituisca connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono o debba, invece, a pena di nullità, essere comunque sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l'accertamento dei fatti».

3.

Il primo Presidente della Corte Suprema di cassazione ha assegnato alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l'udienza pubblica del 19 aprile 2018, un ricorso che propone la seguente questione di diritto, ritenuta dalla terza Sezione penale oggetto di contrasto giurisprudenziale: «se, per le cose che costituiscono corpo di reato, il decreto di sequestro probatorio possa essere motivato con formula sintetica ove la funzione probatoria del medesimo costituisca connotato ontologico ed immanente del compendio sequestrato, di immediata evidenza, desumibile dalla peculiare natura delle cose che lo compongono o debba, invece, a pena di nullità, essere comunque sorretto da idonea motivazione in ordine al presupposto della finalità perseguita, in concreto, per l'accertamento dei fatti».

4.

In data 19 aprile 2018 le Sezioni unite, risolvendo una questione di diritto di particolare rilevanza, hanno affermato che il decreto di sequestro probatorio, così come l'eventuale decreto di convalida, anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una specifica motivazione in ordine alla finalità perseguita per l'accertamento dei fatti.

5.

In data 27 luglio 2018 sono state depositate le motivazioni della sentenza delle Sezioni unite. Il massimo consesso della Suprema Corte ha finalmente ribadito il proprio orientamento in ordine alla necessità di un adeguato supporto motivazionale al decreto impositivo del vincolo reale, anche nell'ipotesi in cui l'apprensione riguardi cose costituenti corpo del reato.

La decisione in esame sembra porre fine ad una dubbio ermeneutico che ha visto formarsi due orientamenti antitetici la cui dicotomia già in passato aveva richiesto l'intervento delle Sezioni unite che, tuttavia, non si era rivelato risolutore. Non a caso, nella stesura della motivazione della propria decisione le Sezioni unite hanno ritenuto opportuno ripercorrere cronologicamente le singole pronunce che hanno originato gli orientamenti discordanti, esaminandone analiticamente i rispettivi argomenti fondanti. Dopodiché hanno espresso il proprio favore per l'orientamento più risalente e suffragato da ben due pronunce rese a Sezioni unite, a tenore del quale una corretta lettura del disposto di cui all'art. 253, comma 1, c.p. non può consentire, nell'ambito dell'onere motivazionale richiesto dalla norma, differenziazione di sorta tra corpo del reato e cose pertinenti allo stesso. E proprio valorizzando la formulazione letterale della norma, spesso dimenticata nelle pronunce fautrici dell'orientamento ritenuto recessivo, il massimo consesso rileva come la necessità della motivazione si ponga indipendentemente dalla natura della cosa da apprendere, come palesato anche dalla scelta del Legislatore di inserire il termine motivato all'incipit della disposizione.

Del resto, che la motivazione si riferisca anche alle cose costituenti corpo del reato è dimostrato, senza dubbio, dalla circostanza che non si ravvisa all'interno dell'ordinamento un quartum genus nell'alveo della categoria dei sequestri ove dovrebbe necessariamente confluire un provvedimento ablativo sfornito di adeguata base motivazionale. D'altra parte, viene evidenziato che anche alcune pronunce riconducibili all'orientamento assertore della superfluità dell'onere motivazionale per il provvedimento apprensivo del corpus delicti sembrano implicitamente ammettere la necessità della motivazione, quantomeno in ordine alla relazione di immediatezza tra res sequestrata e reato, relazione che a ben vedere altro non rappresenta che la descrizione, in una veste differente, del requisito di finalizzazione probatoria richiesto dal primo comma dell'art. 253 c.p. Nella seconda parte della propria decisione, le Sezioni Unite mostrano di condividere le considerazioni, di ordine sistematico e di necessario bilanciamento degli interessi in gioco, già espresse dalla pronuncia n. 5876 del 28 gennaio 2004. In particolare, militerebbe in favore delle posizioni sostenute dall'orientamento qui accolto il combinato disposto degli artt. 262, comma 1, e 354, comma 2, c.p.p.: infatti, dalla lettura delle richiamate disposizioni emergerebbe la fallacia dell'assunto che vede la finalità probatoria automaticamente insita nel corpo del reato, in quanto se così fosse non avrebbe alcun senso la previsione dell'obbligo di restituzione della cosa in sequestro una volta cessate siffatte finalità (art. 262, comma 1, c.p.p.) e della facoltà consentita agli ufficiali di polizia giudiziaria di disporre il sequestro del corpo del reato e delle cose ad esso pertinenti. Inoltre, sottolineano le Sezioni unite, l'orientamento accolto è l'unico idoneo a porsi in sintonia con la necessità di proporzionalità della misura adottata rispetto alla esigenza perseguita, in un'ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti. A ben vedere, solo un provvedimento ablativo del corpo del reato fornito di esaustiva motivazione si porrebbe in sintonia con i limiti dettati all'intervento del diritto penale nell'ambito delle libertà fondamentali e dei diritti costituzionali inviolabili, nel cui alveo certamente rientra il diritto alla protezione della proprietà sancito dall'art. 42 Cost. e dall'art. 1 del primo protocollo addizionale della Cedu. Infatti, si palesa costituzionalmente e convenzionalmente orientata l'interpretazione della norma che ricusa di sottoporre automaticamente la res ad un vincolo di temporanea indisponibilità sulla base della circostanza, del tutto accidentale, che la stessa sia stata l'oggetto sul quale o mediante il quale il reato è stato commesso o sia il prodotto, il profitto o il prezzo dello stesso. Il riassunto tessuto motivazionale testimonia l'intenzione della Suprema Corte di operare una lettura della norma che sia, da un lato, aderente al dato normativo e, dall'altro, maggiormente rispondente alle esigenze di natura sistematica e di bilanciamento degli antitetici interessi coinvolti, esigenze che si impongono anche alla luce dei principi immanenti nella nostra Carta Fondamentale e nella Cedu.

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