L'aggravante dell'agevolazione mafiosa come direzione della volontà

Alberto Cisterna
05 Febbraio 2020

Il punto di decisione rimesso alle Sezioni unite ha un rilievo decisivo nell'applicazione di uno dei principali mezzi di contrasto che il legislatore del 1991 aveva approntato per il contrasto alla criminalità mafiosa. È un anno, il 1991, non sufficientemente attenzionato dagli storici della lotta alla mafia, ma è proprio in quei pochi mesi (che videro peraltro la presenza di Giovanni Falcone alla Direzione generale degli affari penali del Ministero di grazia e giustizia, come allora si chiamava) che si è costruito l'intero pacchetto di misure che ha più efficacemente contrastato i clan.
1.

La sentenza è destinata ad avere un impatto notevole nella giurisprudenza quasi trentennale che si è consolidata sulla cd. aggravante di mafia nella sua duplice declinazione concernente i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall' ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni ivi previste. Sebbene la pronuncia delle Sezioni unite sia circoscritta al tema dell'aggravante teleologica («al fine di agevolare l'attività») mette conto considerare che sussiste uno stretto nesso operativo con l'ipotesi del cd. avvalimento del metodo mafioso di cui alla prima parte dell'art. 416-bis.1. Spesso le realtà mafiose commettono delitti procurandosi i vantaggi consumativi che la condizione di assoggettamento e omertà mette loro a disposizione (si pensi in tema di estorsioni o illecita concorrenza) e anche al fine di agevolare l'attività delle associazioni di appartenenza.

Il punto di decisione rimesso alle Sezioni unite ha un rilievo decisivo nell'applicazione di uno dei principali mezzi di contrasto che il legislatore del 1991 aveva approntato per il contrasto alla criminalità mafiosa. È un anno, il 1991, non sufficientemente attenzionato dagli storici della lotta alla mafia, ma è proprio in quei pochi mesi (che videro peraltro la presenza di Giovanni Falcone alla Direzione generale degli affari penali del Ministero di grazia e giustizia, come allora si chiamava) che si è costruito l'intero pacchetto di misure che ha più efficacemente contrastato i clan. Tra esse l'art. 7 del d.l. 152/1991, poi traslato per effetto del d.lgs. 21/2018 nel perimetro del codice penale. L'importanza dell'aggravante in parola è cruciale e non solo per l'entità dell'aumento di pena che prevede («da un terzo alla metà») o per il particolare rigore che ne regola l'applicazione nel giudizio di bilanciamento («Le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 concorrenti con l'aggravante di cui al primo comma non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante»), ma soprattutto perché è intesa a dar conto del particolare disvalore che caratterizza le condotte delittuose di mafia sia sotto il loro profilo consumativo (cd. avvalimento) che del loro orientamento soggettivo (cd. agevolazione) e punisce in modo particolarmente severo tutta quella costellazione di delitti-satellite in cui, normalmente, si estrinseca la vita dell'associazione mafiosa e la sua forza criminale. In questo contesto stabilire, una volta per tutte, se la commissione dei delitti sia capace di agevolare oggettivamente l'associazione mafiosa o è necessario che sia guidata da una determinazione soggettiva orientata in tal senso non è questione di lieve momento. Declinare le condotte agevolative secondo un parametro oggettivo implica uno scrutinio, come dire, ex post della condotta delittuosa al fine di misurare l'incidenza della stessa sul perimetro delle condizioni operative del clan e stabilire se quel singolo delitto sia stato o meno idoneo ad agevolare il sodalizio in qualche sua articolazione, persona o settore d'attività.

La questione trae origine dalla ritenuta polisemia della locuzione «al fine di» con cui l'aggravante è descritta e che si prestava a essere interpretata a) sia come indicativa della "funzionalità oggettiva" della condotta criminosa contestata ad agevolare l'associazione mafiosa, b) sia come indicativa della necessità che la condotta sia sorretta dal "dolo specifico", ovvero dalla precisa volontà di funzionalizzare l'azione criminosa a vantaggio dell'associazione. Come detto la scelta comporta carichi probatori per l'accusa particolarmente rilevanti poiché, nel primo caso, è praticamente sufficiente prendere in esame gli effetti oggettivi della condotta, ossia le sue ricadute in favore dell'associazione, mentre nel secondo caso sarà necessario stabilire che ex ante la volontà dell'agente volesse dirigersi verso l'associazione allo scopo di favorirne l'attività. Con l'ulteriore conseguenza, nel primo assetto ermeneutico (denegato dalle Sezioni unite), che l'addebito dell'aggravante può avvenire anche sulla base dell'emersione di un profilo soggettivo colposo, come richiesto in via generale dall'art. 59 c.p., per tutti gli eventi circostanziali. L'agente avrebbe potuto rendersi conto della funzionalizzazione della propria condotta verso l'associazione.

Un tema particolarmente delicato soprattutto in presenza delle cc.dd. mafie silenti, ossia delle organizzazioni infiltrate in territori diversi da quelli di origine in cui è particolarmente difficile scorgere la presenza dietro determinati soggetti della latente organizzazione mafiosa.

Può essere interessante operare una rapida ricognizione degli effetti che le due posizioni riverberavano in un caso di scuola come quello del favoreggiamento personale.

Così si è sempre affermato – in ultimo da Sez. VI, n. 32386/2019, m. 276475 - 01 - che «in tema di favoreggiamento personale, è configurabile l'aggravante dell'agevolazione mafiosa nella condotta di chi consapevolmente aiuti a sottrarsi alle ricerche dell'autorità un capoclan operante in un ambito territoriale in cui è diffusa la sua notorietà, atteso che la stessa, sotto il profilo oggettivo, si concretizza in un ausilio al sodalizio, la cui operatività sarebbe compromessa dall'arresto del vertice associativo, determinando un rafforzamento del suo potere oltre che di quello del soggetto favoreggiato e, sotto quello soggettivo, in quanto consapevolmente prestata in favore del capo riconosciuto, risulta sorretta dall'intenzione di favorire anche l'associazione». In molti altri casi come questo non è mai venuto in considerazione un profilo soggettivo della condotta incriminata, non essendo pretesa la dimostrazione che il favoreggiatore volesse orientare la propria attività, oltre che in direzione del capoclan, anche in vista di un'agevolazione del gruppo criminale di riferimento. Così, per rendere espliciti i termini della questione, che a ospitare il boss fosse un compagno di scuola, un amico d'infanzia o un conoscente occasionale (si pensi all'indimenticabile “Pescatore” di De André) sarebbe, secondo l'asse oggettivo dell'aggravante, del tutto privo di rilievo, comminandosi l'aumento di pena per effetto della mera consapevolezza della condizione mafiosa del fuggiasco. Più esplicito era l'assunto in Sez. II, n. 37762/2016, m. 268237 – 01 secondo cui «in tema di favoreggiamento personale, è configurabile la circostanza aggravante di cui all'art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in l. 12 luglio 1991, n. 203, nella condotta di chi consapevolmente aiuti il capo clan a sottrarsi alle ricerche dell'autorità, poichè essa si concretizza in un aiuto all'associazione - la cui operatività sarebbe compromessa dall'arresto del vertice associativo, cui l'ausilio prestato consente di svolgere il proprio ruolo dirigenziale - e determina un rafforzamento del potere non solo del capo mafia ma anche dell'intero sodalizio criminale». I poli della questione ermeneutica rimessa alle Sezioni unite appaiono particolarmente evidenti in una fattispecie di tal genere in cui si misura la sovrapposizione tra l'elemento soggettivo costitutivo del delitto di favoreggiamento e l'aggravante autonomamente prevista dallo stesso art.378, comma 2, c.p. secondo cui «quando il delitto commesso (dal favorito) è quello previsto dall'articolo 416-bis, si applica, in ogni caso, la pena della reclusione non inferiore a due anni». La sovrapposizione e l'intersecarsi dei piani punitivi porta - nel caso in cui il capocosca sia latitante per il delitto di associazione mafiosa – a una moltiplicazione della pena sia pure temperata dalla necessità che il favoreggiatore debba almeno avere la consapevolezza della sussistenza dei citati requisiti almeno nella dimensione del dolo generico: ossia conoscere del reato del fuggiasco e del suo ruolo apicale (un problema del tutto analogo di propone per i delitti di rapina ed estorsione che conoscono l'aggravante per il caso in cui «la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis» v. sul punto S. Ardita, Partecipazione all'associazione mafiosa e aggravante speciale dell'art. 7 d.l. n. 152 del 1991. Concorso di aggravanti di mafia nel delitto di estorsione. Problemi di compatibilità tecnico-giuridica e intenzione del legislatore, in CP, 2001, 2669)

Innanzi al Giudice della legittimità, come appare evidente da quanto sopra riferito, si confrontavano due o meglio tre orientamenti in materia. Secondo un primo approccio la contestazione dell'aggravante in questione «si giustifica tutte le volte in cui possa trarsi dalla situazione concreta conferma della finalizzazione dell'azione al finanziamento di un'associazione avente le caratteristiche mafiose (...) Se la consapevolezza di tale scopo dell'azione risulta essenziale alla configurazione dell'aggravante». È la posizione riconducibile, sostanzialmente, alla Seconda Sezione della Corte (sentenze n. 51424/2013, m. 258581; n. 13707/2016 m. 266518; n. 24046/2017, m. 270300) e, in modo più episodico e risalente, alla Quinta e Sesta Sezione (sentenza n. 24025/2012, m. 253114, n. 10966/2012, m. 255206). Si tratta di un orientamento che, comunque, aveva approntato al proprio interno delle ipotesi chiaroscurali o dei semitoni scomponendo la natura dell'elemento soggettivo tra i diversi concorrenti del reato aggravato e che affermava che «se la consapevolezza di tale scopo (agevolatore) dell'azione risulta essenziale alla configurazione dell'aggravante (...) (Sez. 6, n. 11008/2001, m. 218783), tuttavia non è richiesto che tale consapevolezza sia condivisa da tutti i concorrenti, poiché in proposito troverebbe applicazione l'art. 59, comma 2, c.p. il quale – come noto - «impone di valutare le circostanze a carico dell'agente, anche quando le abbia ignorate per sua colpa» (Sez. 6, n. 24025/2012, m. 253114).

Si tratta di un crinale ermeneutico che ha sorretto per anni l'interpretazione giurisprudenziale quantunque contestato sin dai primi approcci della dottrina che dava addirittura per scontato l'approccio soggettivo nell'applicazione dell'aggravante agevolativa («nella forma c.d. dell'agevolazione mafiosa, l'aggravante ex art. 7 comma 1 d.l. n. 152/1991 si configura certamente come una circostanza soggettiva, incentrata su di una particolare motivazione a delinquere; come tale essa non si estende agli eventuali concorrenti ai sensi dell'art. 118 c.p. La finalità agevolatrice, perseguita dall'autore del delitto, deve essere oggetto di rigorosa verifica in sede giudiziale: anche su questa articolazione dell'aggravante incombe invero il rischio della diluizione nella semplice contestualità ambientale, specie in quanto vengano in considerazione tipologie delittuose per solito concretanti forme di contiguità o di fiancheggiamento della criminalità organizzata» così G. De Vero, La circostanza aggravante del metodo e del fine di agevolazione mafiosi: profili sostanziali e processuali, in RIDPP, 1997, 42).

Dal 2017 in poi, si è andato consolidando un diverso approccio che ha espressamente assegnato all'aggravante di cui all'art. 7 citato natura esclusivamente soggettiva. Tali pronunce prendono avvio dalla premessa della necessità di accertare «una univoca e cosciente finalizzazione agevolatrice della condotta antigiuridica del soggetto agente» e «hanno escluso la configurabilità dell'aggravante in questione nei confronti di uno dei concorrenti, ritenendola invece nei confronti di altri partecipi (...) Nel senso della natura soggettiva dell'aggravante cd. agevolativa si sono espresse le due decisioni delle Sezioni unite (sebbene in obiter dicta, ovvero su questioni non devolute come oggetto del contrasto) che si sono occupate di questioni concernenti l'applicazione del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e precisamente Sez. U, n. 10 del 28/03/2001, Cinalli, mass. per altro, nonchè Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci, mass. per altro».

Il primo riferimento corre alla pronuncia n.10/2001 con cui le Sezioni unite avevano, invero, non troppo tangenzialmente, esaminato la doppia partizione (avvalimento e agevolazione) dell'aggravante precisando che essa si «articola ... in due differenti forme, pur logicamente connesse: l'una a carattere oggettivo, costituita dall'impiego del metodo mafioso nella commissione di singoli reati, l'altra di tipo soggettivo, che si sostanzia nella volontà specifica di favorire ovvero di facilitare, con il delitto posto in essere, l'attività del gruppo». Pronuncia, a distanza di tempo, consolidata dalla sentenza n. 337/2008 la quale aveva ribadito che la circostanza di cui al d.l. n. 152/1991 «si atteggia in due forme alternative, l'una a carattere oggettivo, consistente nell'impiego del metodo mafioso nella commissione del singolo reato, e l'altra, di natura soggettiva, costituita dallo scopo di agevolare con il delitto posto in essere, l'attività dell'associazione di tipo mafioso». La prima decisione che, sulla scorta di questi più risalenti arresti del Consesso unito, aveva ripreso il tema della natura soggettiva dell'aggravante proveniva dalla Sesta Sezione (n. 25510/2017 m.270158) seguita da altre pronunce della Prima Sezione (n. 19818/2019, m. 276188, n. 52505/2018 m. 276150). Anche in questo secondo orientamento – come bene annota l'ordinanza di rimessione della Seconda Sezione del 2019 – non mancavano approcci intermedi dovendosi annotare la presenza di pronunce che, pur ribadendo la natura soggettiva dell'aggravante, avevano rimarcato la necessità che il dolo specifico fosse accompagnato dall'emersione di una condotta criminosa funzionale all'agevolazione delle associazioni mafiose. In realtà si tratta di un denominatore oggettivo imprescindibile posto che non poteva dubitarsi che il delitto satellite oltre a essere orientato dalla finalità soggettivo di agevolare l'associazione, dovesse avere anche una sua concreta idoneità oggettiva a realizzare lo scopo in questione: tornando all'esempio del favoreggiamento doveva escludersi l'aumento di pena in parola se il latitante favorito fosse un boss destituito in questo incarico dalla sua organizzazione. Questa ermeneusi teneva, infatti, a precisare che la circostanza aggravante in esame aveva certo natura soggettiva - in quanto correlata a una particolare motivazione del delinquere, desumibile anche dalle modalità dell'azione, intese quali parametri rivelatori del substrato psicologico di detta aggravante - ma che tuttavia, ai fini della sua configurabilità, occorreva valutare l'oggettiva idoneità del delitto ad agevolare, non necessariamente il consolidamento o il rafforzamento del sodalizio, ma l'attività dell'associazione stessa, ovvero una delle manifestazioni esterne della vita della medesima (Sez. VI n. 28212/2018 m. 273538; n. 53691/2018 m. 274615). Se si vuole si ricade nell'alveo dei principi che discendono dal principio di offensività che impone la lesione o la messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma la quale nasce nel 1991 proprio al fine di punire più gravemente i delitti orientati dal fine di assicurare l'operatività e la vitalità del sodalizio mafioso e non per aumentare il carico sanzionatorio di delitti meramente ispirati da motivazioni solidaristiche o emulative verso le mafie.

In realtà la curvatura prasseologica delle decisioni è fortemente condizionata da una casistica che offre casi limite e soffre il timore di vuoti repressivi in un ambito così delicato quale quello delle contiguità alle mafie. Per cui, pur nell'alveo di questo indirizzo favorevole alla connotazione soggettiva dell'aggravante, si registrano posizioni intermedie secondo cui al «contrasto fra le due citate qualificazioni dell'aggravante (soggettiva od oggettiva), come pure al regime della estensibilità dell'aggravante ai concorrenti, non possa darsi una soluzione univoca, perchè tale conseguenza dipende da come l'aggravante si atteggia in concreto e dal reato in relazione al quale viene contestata. Infatti, per quanto specificamente concerne il reato associativo, la finalità di agevolare un'associazione mafiosa, più che denotare una specifica attitudine delittuosa del singolo concorrente, risulta direttamente connessa alla concreta struttura organizzativa dell'associazione. Se tale struttura si pone in una situazione di prossimità alla associazione mafiosa (vuoi perchè la seconda le garantisce, come nelle fattispecie, spazi di operatività nei territori controllati, oppure avallo e protezione in cambio dello svolgimento a suo vantaggio di parte della propria attività, vuoi perchè la prima "foraggia" la seconda o ne reimpiega i profitti, o contribuisce a formare una "cassa comune", o comunque la agevola con altre modalità), ecco allora che il collegamento della associazione per la vendita degli stupefacenti con la associazione mafiosa si traduce anche in finalità agevolativa e rappresenta un dato oggettivo e strutturale, che travalica la condotta del singolo associato, perchè riguarda il modo di essere della associazione e dunque le modalità di commissione del fatto di reato. In questa prospettiva, risulta corretto attribuire natura oggettiva alla aggravante in questione, trattandosi di circostanza che facilita la commissione del reato da parte dei concorrenti; circostanza che, di conseguenza, può anche essere attribuita ai concorrenti sia in caso di dolo, sia ex art. 59 c.p., comma 2, purchè (come è risultato essere nel caso in esame) conoscibile a tutti» (Sez. II, n. 22153/2019; Sez. VI, n. 53646/2017 m.271685).

Naturalmente un simile approccio collide con qualsivoglia principio di prevedibilità e conoscibilità che pur aveva giustificato la traslazione, con il d.lgs. 21/2018, dell'art. 7 d.l. 152/1991 nel perimetro codicistico del novello art. 416-bis.1. Erano troppo intense le spinte repressive per poter coniare un'interpretazione uniforme e, pertanto, bene ha fatto la Seconda Sezione ha rimettere la decisione alle Sezioni unite per far fronte a un'incertezza applicativa che – ormai – aveva raggiunto livelli di scarsa comprensibilità da parte degli operatori, soprattutto in ragione della “navetta” tra Seconda e Sesta Sezione in caso di annullamento con rinvio dei provvedimenti di merito.

In attesa di poter leggere le motivazioni con cui le Sezioni unite hanno portato a conclusione il contrasto interpretativo, resta da considerare che l'opzione per l'assetto soggettivo dell'aggravante non vale certo ad escludere che la volontà agevolatrice non possa subire commistioni con motivazioni diverse dell'agente. Si tratterebbe di un dolo specifico non esclusivo in cui la volontà si dirige a favorire l'attività dell'associazione, ma correttamente si è evidenziato che l'aggravante è configurabile anche nel caso in cui l'agente persegua l'ulteriore scopo di trarre un vantaggio proprio dal fatto criminoso, purchè ad esso si accompagni la consapevolezza di favorire l'interesse della cosca beneficiata (Sez. V, n. 11101/2015, m. 262713; Sez. I, n. 49086/2012, m. 253962). Rilievo, quest'ultimo, di particolare rilievo se si pone mente ai rapporti sinallagmatici che contrassegnano, spesso, l'attività di agevolazione delle cosche il cui aiuto non è scevro da ricompense e restituzioni in favore dell'agevolatore. Per giungere sino al tipico il caso della corruzione consumata per recare vantaggio all'associazione mafiosa in cui il corrotto agisce anche in vista di un tornaconto personale. Si è in presenza, comunque, di una linea di confine particolarmente difficile da vigilare poiché proprio la persistenza e latenza operativa delle associazioni mafiose più agguerrite tende a dislocare nel tempo e nello spazio i vantaggi per l'agente/agevolatore con ciò rendendo meno semplice l'accertamento giurisdizionale che, dall'utilità del colpevole, trae conferma dell'intenzione agevolatrice propria dell'aggravante.

Certo proprio il caso rimesso all'attenzione delle Sezioni unite (il ricorrente era stato condannato per diversi episodi di usura aggravati dalla circostanza prevista dall'art. 7 d.l. 152/1991, ed era stato ritenuto sufficiente a dimostrare il dolo specifico il fatto che il C. avesse rapporti con i correi, R. e T., persone non intranee, ma solo contigue all'associazione agevolata) si prestava particolarmente a questa operazione di delimitazione dell'ambito di operatività dell'aggravante, poiché il caso era focalizzato dall'attenzione verso la struttura mera beneficiaria dell'utilità, senza porsi il tema di individuare gli elementi da cui poter desumere la direzione agevolatrice della volontà dell'agente. La soluzione accordata dalle Sezioni unite sembra imporre come necessaria la prova del dolo specifico in capo a ciascun concorrente nel delitto, laddove tra le sentenze dell'indirizzo rimasto recessivo (natura oggettiva della circostanza) vi erano pronunciamenti che ritenevano sufficiente la prova del dolo specifico in capo anche ad "almeno uno" dei correi, mentre per gli ulteriori concorrenti il criterio di imputazione soggettivo dell'aggravante sarebbe stata la cd. willful blindness ossia l'"ignoranza colpevole" di cui all'art. 59 c.p. Posizione, quest'ultima, non condivisa dalla Sezione remittente sulla scorta del rigoroso e coerente rilievo che «la mutazione del criterio di imputazione soggettiva in capo ai concorrenti nel medesimo reato non sembra trovare alcuna legittimazione normativa: se infatti l'art. 110 c.p., consente di sanzionare condotte "atipiche" rispetto a quella tipica cristallizzata nella fattispecie normativa, nessuna diversificazione è prevista in ordine all'elemento soggettivo che deve essere omogeneo per tutti i concorrenti oltre che corrispondente a quello individuato dalla fattispecie-tipo (in materia di associazione mafiosa e concorso esterno» Sezioni unite n. 33748/2005 m. 231672) e tanto anche in relazione alle circostanze soggettivamente orientate.

Donde la necessità, avvertita dalla Sezione rimettente, di «dipanare il dubbio in ordine alla possibilità che un elemento strutturale del reato, quale è il "dolo", nella sua connotazione generica piuttosto che specifica, possa essere previsto da una circostanza, ovvero da un elemento accidentale, accessorio ed eventuale, rispetto all'archetipo normativo del reato contestato». Ossia collocandosi al di fuori della fattispecie descritta dal reato circostanziato ai sensi dell'art.416-bis.1 c.p. Dubbio «alimentato dal fatto che il legislatore in diversi casi ha scelto di prevedere reati che, pur omogenei sotto il profilo oggettivo, si distinguono solo per l'elemento soggettivo così evidenziando la funzione strutturale della natura specifica del dolo rispetto alla fattispecie-tipo: si pensi al caso del sequestro di persona "semplice" rispetto a quello a scopo di "estorsione", di "terrorismo e di eversione" o di "coazione" (art. 605 c.p., art. 630 c.p., art. 289 bis c.p., art. 289 ter c.p.) ed a tutti i reati aggravati dall'essere stati commessi con finalità di terrorismo (art. 270 quater c.p., art. 270 quater c.p., comma 1, art. 270 quinquies c.p., art. 270 quinquies c.p., comma 1, art. 280 c.p.)». Per giunta in presenza delle prescrizioni contenute nell'art. 70 c.p. che cataloga come soggettive solo le circostanze che incidono sulla "intensità" del dolo (e sul grado della colpa), senza fare alcun riferimento alla "natura", generica o specifica del dolo. Altrimenti detto: il fine di agevolare l'associazione mafiosa, inteso come elemento soggettivo a dolo specifico, deve connotare il reato-base cui esso afferisce assegnando un maggior disvalore (l'aumento di pena da un terzo alla metà) alla volontà orientata verso l'agevolazione mafiosa, ovvero si tratta di un surplus della determinazione a delinquere che può assumere connotati probatori anche più sfumati e meno stringenti.

L'ordinanza di rimessione ha ben presente la questione: «se si ritenesse illegittima l'imposizione del dolo specifico per via circostanziale sarebbe critico anche l'inquadramento dell'aggravante teleologica prevista dall'art. 62 c.p., n. 2), che, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza prevalente, dovrebbe essere anch'essa ricondotta all'oggettivo collegamento tra le condotte contestate e non all'orientamento della volontà (per l'inquadramento come aggravante di natura soggettiva: Sez. V, n. 11497/2000 m. 217977, Sez. VI, n. 5797/1995, m. 201679)». Ove si ritenga, infatti, che il dolo specifico possa essere previsto solo dalla fattispecie-tipo e non da elementi esterni all'archetipo che descrive il reato, «l'area delle aggravanti soggettive resterebbe limitata a quelle inerenti la persona del colpevole (esemplare la recidiva) ed a quelle che registrano una diversa l'intensità del dolo (come l'aggravante della premeditazione o quella dei motivi abietti e futili)». Nel caso in cui la conclusione della Corte regolatrice andasse nel senso che il dolo specifico dell'agevolazione mafiosa non incida sulla struttura del reato modificandone in via accidentale l'elemento soggettivo, ma che la prova della "volizione specifica" della finalità agevolatrice, «si riferisca solo all'elemento materiale della circostanza ovvero alla concreta funzionalizzazione del reato all'agevolazione dell'associazione mafiosa, si legittimerebbe una eccezione alla regola generale prevista dall'art. 59 c.p., che, nel contribuire a tracciare lo statuto codicistico delle circostanze, stabilisce che gli eventi circostanziali, per essere riconosciuti, richiedono una copertura soggettiva "attenuata", identificata nell'ignoranza colposa, ma non il dolo».

Un dato non trascurabile soprattutto alla luce della giurisprudenza che ritiene la disciplina prevista dall'art. 118 c.p., relativa al concorso di persone nel reato, come provvista di carattere "speciale" rispetto a quella generale prevista dall'art. 59 c.p. e del fatto che, secondo la Corte remittente, «l'art. 118 c.p., indica i criteri di valutazione delle circostanze caso di "concorso di persone", prescrivendo che in tal caso le circostanze "soggettive" devono essere valutate singolarmente in relazione ad ogni concorrente, senza per questo modificare il criterio di imputazione soggettiva degli eventi accidentali che aggravano il reato, che è previsto in via generale dall'art. 59 c.p.. Invero le circostanze pacificamente soggettive, ovvero quelle che ineriscono la persona del colpevole (recidiva), i rapporti tra colpevole ed offeso (aggravante della parentela), i motivi a delinquere (ragioni abiette o futili), l'intensità del dolo (premeditazione) sono ontologicamente coperte dalla volontà della persona cui sono attribuite, sicchè non si può neanche riconoscere una vera eccezione alla regola della imputabilità soggettiva colposa degli eventi accidentali che aggravano il reato». Regola che – suggeriva l'ordinanza remittente - dovrebbe trovare invece «applicazione con riguardo alla imputazione soggettiva delle circostanze caratterizzate da una base materiale che può essere ignorata colposamente dall'agente; ovvero nei casi in cui, come in quello in esame, vi sia la possibilità che il profilo oggettivo dell'aggravante (in questo caso la funzionalità agevolatrice del reato) possa non essere conosciuto e voluto da tutti i concorrenti». Prospettiva che le Sezioni unite dovrebbero non avere prestato adesione stando alla comunicazione operata dell'esito della camera di consiglio.

2.

All'udienza 10 settembre 2019, la Seconda Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione della seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale:

se l'aggravante speciale già prevista dal d.l. n. 152 del 1991, art. 7, ed oggi inserita nell'art. 416.bis.1, che prevede l'aumento di pena quando la condotta tipica sia consumata "al fine di" agevolare l'attività delle associazioni mafiose abbia natura "oggettiva" concernendo le modalità dell'azione, ovvero abbia natura "soggettiva" concernendo la direzione della volontà.

3.

Il Primo Presidente della Cassazione ha fissato per il 19 dicembre l'udienza davanti alle Sezioni Unite della Cassazione per risolvere la questione controversa in giurisprudenza: se l'aggravante speciale già prevista dal d.l. n. 152 del 1991, art. 7, ed oggi inserita nell'art. 416.bis.1, che prevede l'aumento di pena quando la condotta tipica sia consumata "al fine di" agevolare l'attività delle associazioni mafiose abbia natura "oggettiva" concernendo le modalità dell'azione, ovvero abbia natura "soggettiva" concernendo la direzione della volontà.

3.

La Corte di cassazione ha comunicato la seguente decisione:

l'aggravante agevolativa dell'attività mafiosa ha natura soggettiva e si applica al concorrente solo se da lui conosciuta.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.