Riforma in appello della sentenza assolutoria all'esito del giudizio abbreviato e rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale
30 Maggio 2017
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A pochi mesi di distanza dalla sentenza n. 27620/2016 (vedi nota di MAGI, Le Sezioni unite aprono la strada alle conformazioni d'ufficio del vizio di motivazione), le Sezioni unite della Cassazione vengono nuovamente invitate a pronunciarsi sul potere-dovere di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale del giudice d'appello in caso di “ribaltamento” della sentenza assolutoria di primo grado, con riguardo allo specifico caso in cui la decisione appellata sia stata resa all'esito del giudizio abbreviato non condizionato.
Con la sentenza del 28 aprile 2016, n. 27620, Dasgupta, le Sezioni unite della Cassazione sono state chiamate a delineare i requisiti di validità della sentenza d'appello che “ribalti” il giudizio liberatorio di primo grado nel contesto della giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo in tema di giusto processo, come sancito dall'art. 6 della Convenzione Edu. Nella risoluzione del nodo ermeneutico, la Corte regolatrice ha preliminarmente evidenziato come i principi contenuti nella Convenzione Edu – resi “viventi” dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo – costituiscano criteri di interpretazione ai quali il giudice nazionale è tenuto ad ispirarsi nell'applicazione delle norme interne. Muovendo da tale premessa, le Sezioni unite hanno rilevato che, in conformità ai principi del giusto processo sanciti dall'art. 6 della Convenzione (come interpretato dalla Corte Edu, da ultimo, nella decisione Dan c. Moldavia del 5 novembre 2011) e del canone di giudizio al di là di ogni ragionevole dubbio codificato all'art. 533, comma 1, c.p.p., in caso di riforma di una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive (cioè che abbiano determinato o anche soltanto contribuito a determinare l'esito liberatorio), il Collegio del gravame è tenuto a disporre ex officio la rinnovazione delle fonti orali a norma dell'art. 603, comma 3, c.p.p., pena il vizio di motivazione della sentenza di appello, ex art. 606, comma 1, lett. e), stesso codice. Sul solco della giurisprudenza convenzionale, la Corte ha difatti chiarito che l'ampia facoltà di appello del pubblico ministero contro le sentenze di proscioglimento (ripristinata dalla Corte cost. con la sentenza n. 26 del 2007) implica di per sé che la difesa sia messa in grado di contrastare i rilievi critici dell'ufficio appellante sulla portata probatoria delle fonti dichiarative, dimostrandone eventualmente l'infondatezza proprio attraverso la viva voce dei soggetti le cui narrazioni, secondo l'assunto della parte pubblica, sarebbero state male interpretate o non ben valorizzate dal primo giudice. Nel tracciare l'ambito di operatività di tale principio di diritto, le Sezioni unite hanno precisato che l'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria vale anche nel caso di condanna a seguito di assoluzione pronunciata all'esito del giudizio abbreviato.
Nonostante l'indicazione contenuta in tale obiter dictum, dopo qualche mese, la terza Sezione della Cassazione è tornata a ribadire il principio – per vero consolidato prima dell'arresto delle Sezioni unite appena ricordato – secondo il quale, nel rito abbreviato non condizionato, il giudice d'appello che intenda riformare l'assoluzione pronunciata in primo grado sulla base di un diverso apprezzamento delle dichiarazioni assunte in indagini non è obbligato a rinnovare l'istruttoria mediante l'esame dei dichiaranti, pur dovendo fornire una motivazione rafforzata, cioè dotata di una forza persuasiva superiore di quella della riformata, salvo che non ritenga la rinnovazione della prova orale necessaria per superare, nel caso concreto, ogni ragionevole dubbio (Cass. pen., Sez. III, n. 43242 del 12 luglio 2016, vedi nota di GALLUZZO, Nel rito abbreviato “secco” la riforma in pejus in appello non obbliga alla rinnovazione dell'istruttoria). Orientamento ermeneutico che la Sezione seconda ha ritenuto condivisibile sul rilievo che le regole dell'equo processo – come elaborate dalla giurisprudenza convenzionale – ed il canone del ragionevole dubbio non possono essere utilizzati per superare l'indubbia dicotomia dei modelli accusatori previsti dall'attuale sistema processuale, che vede, da un lato, il giudizio ordinario, governato dall'oralità e dal contraddittorio, dall'altro, il giudizio abbreviato fondato sulla scelta abdicativa dell'interessato, avente natura tendenzialmente cartolare in funzione dei vantaggi assicurati dal rito. Ne ha pertanto inferito che il giudizio abbreviato d'appello non può assicurare a priori una modalità di acquisizione della prova dichiarativa – nel contraddittorio delle parti, secondo il canone dell'oralità e dell'immediatezza – estranea a quel meccanismo processuale per il mero fatto che all'esito del quel giudizio il Collegio del gravame ritenga di dover pervenire alla riforma della sentenza assolutoria di primo grado. Sulla scorta di tali considerazioni, la seconda Sezione ha pertanto disposto la rimessione della questione alle Sezioni unite per scongiurare il rafforzamento di una contrapposizione ermeneutica, inopportuna da un punto di vista istituzionale in ragione della finalità di nomofilachia assegnata al giudice di legittimità. 2.
All'udienza del 28 ottobre 2016, la Sezione seconda penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite con ord. n. 47015/2016 la decisione della seguente questione di diritto: Se nel caso d'impugnazione del pubblico ministero contro una pronuncia di assoluzione emessa nell'ambito di un giudizio abbreviato non condizionato, ove questa sia basata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive dal primo giudice ed il cui valore sia posto in discussione dall'organo dell'accusa impugnante, il giudice di appello debba porre in essere i poteri d'integrazione probatoria e procedere all'assunzione diretta dei dichiaranti per ritenere raggiunta la prova della colpevolezza dell'imputato, in riforma della sentenza appellata. 3.
Il primo Presidente della Cassazione ha fissato per il 19 gennaio 2017 l'udienza per la trattazione della questione Se nel caso d'impugnazione del pubblico ministero contro una pronuncia di assoluzione emessa nell'ambito di un giudizio abbreviato non condizionato, ove questa sia basata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive dal primo giudice ed il cui valore sia posto in discussione dall'organo dell'accusa impugnante, il giudice di appello debba porre in essere i poteri d'integrazione probatoria e procedere all'assunzione diretta dei dichiaranti per ritenere raggiunta la prova della colpevolezza dell'imputato, in riforma della sentenza appellata. 4.
All'udienza del 19 gennaio 2017, le Sezioni unite si sono espresse sulla questione Se nel caso d'impugnazione del pubblico ministero contro una pronuncia di assoluzione emessa nell'ambito di un giudizio abbreviato non condizionato, ove questa sia basata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive dal primo giudice ed il cui valore sia posto in discussione dall'organo dell'accusa impugnante, il giudice di appello debba porre in essere i poteri d'integrazione probatoria e procedere all'assunzione diretta dei dichiaranti per ritenere raggiunta la prova della colpevolezza dell'imputato, in riforma della sentenza appellata, dando risposta affermativa 5.
Nel risolvere il contrasto rimesso al proprio vaglio, le Sezioni unite della cassazione ribadiscono il principio di diritto già affermato nella medesima composizione, sebbene in un obiter dictum, nella sentenza n. 27620 del 28 aprile 2016 (ric. Dasgupta). Il ragionamento delle Sezioni unite prende le mosse dalla considerazione che, ai fini della riforma del giudizio assolutorio di primo grado, la Corte d'appello è tenuta non solo a svolgere una motivazione c.d. rafforzata – cioè dotata di una forza persuasiva superiore a quella della sentenza “ribaltata” – ma anche rinnovare l'esame delle fonti di prova dichiarativa ritenute decisive, come discende dalla costituzionalizzazione del giusto processo e, quindi, dal canone di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, elaborato dalla giurisprudenza di legittimità già prima della sua codificazione nell'art. 533, comma 1, c.p.p. (ad opera della legge 46 del 20 febbraio 2006), in quanto “criterio generalissimo” del processo penale, direttamente collegato alla presunzione d'innocenza. La Corte sottolinea che la (ri)valutazione meramente cartolare del materiale probatorio già valutato dal primo giudice non potrebbe difatti non risultare distonica rispetto al canone dell'art. 533, comma 1, essendo insito nell'avvenuta adozione di decisioni contrastanti il dubbio ragionevole. In risposta all'osservazione della Sezione remittente – secondo la quale, con la richiesta di giudizio abbreviato, lo stesso imputato chiede di essere giudicato allo stato degli atti –, le Sezioni unite rilevano che la revisione del giudizio liberatorio espresso in primo grado, implicando il superamento di ogni dubbio sull'innocenza dell'imputato, postula il ricorso al metodo migliore per la formazione della prova, id est all'oralità ed all'immediatezza mediante l'esame diretto delle fonti dichiarative. Siffatta regola non può non valere anche in caso di rovesciamento in appello della decisione assolutoria ex art. 438 c.p.p., risultando l'opzione per il giudizio allo stato degli atti recessiva rispetto all'esigenza di riassumere le prove attraverso il metodo epistemologicamente più appagante. In altri termini, il principio secondo il quale il ribaltamento del giudizio assolutorio impone il metodo orale nella formazione della prova (purchè “decisiva”) ha valenza generale, in quanto corollario della regola di giudizio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio, espressione dei valori costituzionali del giusto processo e della presunzione d'innocenza, e, pertanto, non può non valere anche nel caso in cui la decisione da ribaltare sia stata resa all'esito del giudizio negoziale, a prova contratta. Nell'ultimo paragrafo della motivazione, la Corte si preoccupa nondimeno di tracciare gli esatti confini di operatività del principio di diritto affermato, evidenziando come la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale sia indispensabile soltanto nel caso di valutazione differente, e non di mero travisamento, della prova dichiarativa, dunque nell'ipotesi in cui la difformità cada sul significante (il documento) e non sul significato (il documentato) per omissione, invenzione o falsificazione, caso – quest'ultimo – in cui il giudice d'appello può dunque pervenire ad un giudizio di colpevolezza senza necessità di rinnovare le prove dichiarative. Precisazione quanto mai opportuna, che fa luce su di un aspetto indubbiamente problematico, non affrontato nella sentenza Dasgupta (che si era soffermata soltanto sulla necessaria “decisività” della prova da rinnovare), di portata all'evidenza generale e da tenere pertanto presente anche in caso di rovesciamento della sentenza liberatoria pronunciata all'esito del giudizio ordinario. La Corte d'appello potrà così prescindere dall'interlocuzione diretta con la fonte di prova in tutti i casi in cui riscontri che il primo giudice di merito sia pervenuto all'assoluzione incorrendo in errore nell'estrazione dell'informazione dal contributo narrativo – traendovi un fatto inesistente o palesemente diverso da quello riferito dal teste (ad esempio, nero per bianco) – mentre dovrà procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa là dove il diverso epilogo decisorio scaturisca da una differente valutazione o interpretazione del dato conoscitivo. |