L'estensione dell'istituto della applicazione provvisoria alla detenzione domiciliare speciale
21 Febbraio 2022
Massima
L'art. 47-quinquies, commi 1, 3 e 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) è costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 31 Cost., nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l'istanza di detenzione domiciliare può essere proposta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l'applicazione provvisoria della misura, nel qual caso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'art. 47, comma 4, della medesima legge sull'ordinamento penitenziario. Il caso
La questione portata all'attenzione dei giudici della Corte Costituzionale è originata da un caso posto all'attenzione del Magistrato di Sorveglianza di Siena, che si è trovato a dover provvedere sull'istanza di ammissione alla detenzione domiciliare speciale in via provvisoria ed urgente avanzata da G.M., persona con residua pena detentiva da espiare di anni dodici, mesi tre e giorni diciassette, padre di una figlia minore di anni dieci, alla cura della quale la madre risulta impossibilitata per ragioni di salute (essendo sottoposta a terapie a seguito di un intervento di asportazione di un tumore al cervello). In questi termini, l'istante, che ha già regolarmente espiato un terzo di pena, ha allegato al Magistrato le condizioni di grave pregiudizio inevitabilmente conseguenti sia al protrarsi della detenzione in carcere in attesa della pronuncia del Tribunale di Sorveglianza, “che necessariamente potrà intervenire solo dopo mesi dalla presentazione dell'istanza”, sia alla situazione della figlia minore, privata di adeguata assistenza. Sul punto, viene evidenziato che la fissazione dell'udienza collegiale (scelta rimessa al Presidente del Tribunale di Sorveglianza) non è in alcun modo predeterminabile, e tanto meno impugnabile o sanzionabile (nemmeno sotto il profilo disciplinare), né risulta legalmente determinato un termine perentorio per la delibazione del Collegio sulle decisioni assunte in via provvisoria. Ancor più rilevante è la considerazione di portata generale per cui mentre al Magistrato monocratico compete una valutazione legata al fumus, la scelta presidenziale di fissazione udienza valuta l'eventuale urgenza di pervenire ad una decisione definitiva. Sotto il profilo del merito pregiudiziale, inoltre, il domicilio indicato ai fini della fruizione della misura extramuraria è stato indicato come idoneo all'esecuzione del beneficio. Tale abitazione corrisponde alla dimora della prole che, come detto, avrebbe necessità dell'assistenza del padre (detenuto), non potendo contare sull'assistenza di altre figure adulte di riferimento. Sulla base di tali considerazioni fattuali, e considerate anche le restrizioni connesse all'emergenza sanitaria e le problematiche di natura economica del nucleo familiare, l'istante rileva che tale situazione integri quel «grave pregiudizio derivante al condannato dal protrarsi dello stato detentivo» necessario ai fini di una pronuncia in via d'urgenza del Magistrato di sorveglianza. Il Giudice a quo, rilevato il dubbio di legittimità costituzionale dell'art. 47-quinquies ord. pen. nella parte in cui non consente l'applicazione in via provvisoria della detenzione domiciliare speciale da parte del Magistrato di Sorveglianza, con ordinanza del 2 febbraio 2021, ha sollevato questione di legittimità costituzionale. La questione
Nella formulazione censurata, l'art. 47-quinquies ord. pen. non prevede l'applicazione in via provvisoria della detenzione domiciliare speciale da parte del Magistrato di Sorveglianza. Difatti, il comma 3 della disposizione in parola fa chiaro riferimento alla competenza del Tribunale di Sorveglianza, senza menzionare la possibilità di applicazione provvisoria da parte del Giudice monocratico. Sul punto, l'istituto della detenzione domiciliare speciale mostra un vuoto normativo, a differenza di quanto previsto per le altre misure alternative disciplinate dal medesimo Capo VI. La Corte Costituzionale, dunque, è chiamata a verificare in prima battuta se tale vuoto normativo sia legittimo. Secondariamente, si tratta di verificare se il richiamato vulnus debba essere interpretato alla luce di una (eventuale) regola generale rinvenibile all'interno del sistema penitenziario ovvero se, al contrario, sia necessaria una pronuncia additiva per porre rimedio alla lesione alle esigenze di crescita e di assistenza espresse dai figli minori dei condannati sottoposti a pena detentiva intramuraria. In particolare, secondo il Magistrato remittente, la disposizione censurata violerebbe gli artt. 3, 27, terzo comma, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 3, paragrafo 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Pertanto, l'art. 47-quinquies ord. pen., nei termini sopra considerati, sarebbe incostituzionale in quanto sarebbe irragionevolmente preclusa la concessione urgente di una misura di tutela della prole di tenera età e verrebbero lesi i principi di umanità della pena, essenzialità della cura genitoriale e preminenza dell'interesse del minore. Le soluzioni giuridiche
Com'è noto, se il tradizionale beneficio umanitario di cui all'art. 47-ter, comma 1-bis, lett. a), ord. pen., è applicabile nei casi in cui la madre (o in sua vece il padre, ai sensi della lettera b) debba scontare un pena detentiva, anche residua, non superiore ai quattro anni, con l'art. 47-quinquies ord. pen. (introdotto con legge 8 marzo 2001, n. 40) il legislatore ha voluto concedere il medesimo beneficio alle/ai detenute/i condannate/i a pene eccedenti la soglia suindicata, a condizione che i figli non abbiano superato i dieci anni di età – e sempreché: non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti (o di fuga nei casi di cui al co. 1-bis), vi sia la possibilità di ripristinare la convivenza con la prole nonché sia intervenuta l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo. La comune finalità delle due misure, come più volte ribadito dalla giurisprudenza, è ravvisabile nella tutela del soggetto debole e nelle conseguenti esigenze di sviluppo e formazione del bambino il cui soddisfacimento potrebbe essere gravemente pregiudicato dall'assenza della figura genitoriale (Corte Costituzionale, sentenze 24 novembre 2003, n. 350; 8 marzo 2017, n. 76; 22 ottobre 2014, n. 239). In questi termini, l'interesse del minore può recedere di fronte alle esigenze di difesa sociale solo quando la sussistenza e la consistenza delle stesse sia oggetto di una verifica in concreto, non già quando sia collegata a indici solo presuntivi, che impediscono al giudice di apprezzare le singole situazioni (cfr. sentenze n. 187 del 2019 e n. 239 del 2014). In ogni caso, la detenzione domiciliare speciale ha natura “sussidiaria” e “complementare” rispetto alla predetta detenzione domiciliare ordinaria in quanto può trovare applicazione anche nell'ipotesi in cui la pena da scontare dal genitore superi il limite dei quattro anni di reclusione, viceversa ostativo alla concessione della misura ordinaria (Corte Costituzionale, 24 settembre (dep. 22 ottobre) 2014, n. 239).
Nella sentenza in commento, la Corte Costituzionale – respingendo le preliminari questioni di inammissibilità proposte dalla difesa statale – evidenzia che le questioni in esame riguardano la sussistenza in astratto del potere cautelare del Magistrato di Sorveglianza, collocandosi quindi in una fase logicamente anteriore a quella dell'esercizio concreto del potere medesimo e degli accertamenti di fatto ad esso funzionali. A nulla rileva, poi, che la figlia minore del condannato istante abbia, nelle more del procedimento, superato i dieci anni di età, dal momento che il giudizio incidentale di legittimità costituzionale non risente delle vicende di fatto successive all'ordinanza di rimessione, sicché la rilevanza delle questioni deve essere vagliata ex ante, con riferimento al tempo della prospettazione (vengono, in questo senso, citate le sentenze n. 22 e n. 7 del 2022, n. 127 del 2021, n. 270, n. 244 e n. 85 del 2020). Peraltro, ai sensi dell'ottavo comma dell'art. 47-quinquies, ord. pen., al compimento del decimo anno di età del figlio, il «soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale» può chiedere – a determinate condizioni – la proroga del beneficio o l'ammissione all'assistenza esterna, sicché il compimento da parte del minore dell'età prevista come soglia non comporta ex se un difetto di interesse del genitore condannato (cfr. Cass., Sez. I, 27 febbraio 2015, n. 8860).
In seconda battuta, la sentenza n. 30 del 2022 richiama i precedenti arresti costituzionali che hanno valorizzato come l'identità di ratio delle due specie di detenzione domiciliare (umanitaria e speciale) abbia comportato la loro assimilazione in ordine:
Ciò posto, viene evidenziato che mentre il comma 1-quater dell'art. 47-ter ord. pen. prevede che «[n]ei casi in cui vi sia un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione», l'istanza di detenzione domiciliare vada «rivolta al magistrato di sorveglianza che può disporre l'applicazione provvisoria della misura»; tale disposizione non è ripetuta, né richiamata, dall'art. 47-quinquies ord. pen. Così, l'istituto della applicazione provvisoria, introdotto dalla legge 27 maggio 1998, n. 165 (Legge Saraceni-Simeone) viene esteso, con la sentenza in commento, anche alle ipotesi di detenzione domiciliare speciale, stante l'aedem ratio rispetto alla corrispondente misura ordinaria. In questo senso, è da osservare che la decisione in commento trova le proprie ragioni non tanto nell'esigenza di assicurare la rieducazione dei condannati istanti, quanto nella primaria necessità di tutelare la maternità (o la paternità). Da questo punto di vista emerge chiaramente la natura assistenziale dell'istituto della detenzione domiciliare prevista dall'art. 47-quinquies ord. pen..
Proseguendo nella lettura della sentenza, la Corte censura l'eccezione dell'Avvocatura dello Stato secondo cui la mancata previsione dell'applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale troverebbe giustificazione nell'assenza di un massimo di pena per l'accesso alla misura. A tal riguardo, si rappresenta che «la quota di espiazione preliminare, che rappresenta l'essenziale aspetto distintivo della detenzione domiciliare speciale rispetto a quella ordinaria, ha proprio la funzione di bilanciare il superamento del “tetto” dei quattro anni di reclusione, poiché l'espiazione intramuraria di almeno un terzo della pena (o quindici anni nel caso di ergastolo) consegna agli uffici di sorveglianza i risultati di una consistente esperienza trattamentale» (§ 5.6 dei considerando in diritto). La priorità di una valutazione del caso concreto, stimolata dall'art. 31 Cost. ed accolta dalla Consulta, consegna insomma al Magistrato di Sorveglianza un sistema che non consente di prescindere dall'espiazione intramuraria della quota preliminare di pena. Ulteriore carattere dell'opera valutativa in parola è la sua natura cautelare: difatti, la provvisorietà della decisone del Giudice monocratico, che assume la forma di un'ordinanza tipicamente interinale, è confermata dal fatto che essa «conserva efficacia fino alla decisione del Tribunale di Sorveglianza, cui il magistrato trasmette immediatamente gli atti, che decide entro sessanta giorni» (così recita il combinato disposto degli artt. 47, comma 4, e 47-ter, comma 1-quater, ord. pen.). Peraltro, in aggiunta alla ordinaria ricorrenza di elementi quali l'insussistenza di un apprezzabile pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, l'applicazione provvisoria della misura extramuraria può essere concessa «quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione» nonché nelle ipotesi di «grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione» (così afferma il comma 1-quater dell'art. 47-ter ord. pen.). Sul punto, è meritevole di sottolineatura l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità – e condiviso dalla pronuncia in esame – che ammette la possibilità della revoca anticipata della misura alternativa concessa in via provvisoria da parte dello stesso Magistrato di Sorveglianza che l'ha concessa, qualora sopravvenienze di fatto contraddicano la prognosi favorevole da lui posta a base dell'ordinanza (cfr. Cass., Sez. I, 19 dicembre 2018, n. 57540). La Corte Costituzionale, infine, nell'estendere la disciplina prevista per l'applicazione urgente della detenzione domiciliare speciale, statuisce che il Magistrato di Sorveglianza può disporre – nel corso dell'esecuzione della misura extramuraria – procedure di controllo con mezzi elettronici, in base al potere attribuitogli dall'art. 58-quinquies, comma 1, ord. pen., inserito dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 146.
Ne discende il principio di diritto per cui «L'art. 47-quinquies, commi 1, 3 e 7, della legge n. 354 del 1975 deve essere quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 31 Cost., nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l'istanza di detenzione domiciliare può essere proposta al magistrato di sorveglianza, che può disporre l'applicazione provvisoria della misura, nel qual caso si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'art. 47, comma 4, della medesima legge».
Osservazioni
La Corte Costituzionale, con la sentenza in commento, ha colto l'occasione per ribadire la preminenza degli interessi assistenziali ed educativi della prole di genitori detenuti, con ciò ribadendo il principio fondamentale, pur variamente declinato, riconducibile alla flessibilità della pena. Come si è già avuto modo di sostenere, tale interpretazione, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 27, comma 3, e 31, comma 2, Cost., pare coerente con una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 47-quinquies ord. pen., nonché conforme alla preminente valorizzazione che – a livello convenzionale – viene ormai annessa alle relazioni umane e familiari, nell'ambito delle tutele da apprestare per i figli minori. Il tema della tutela della maternità (e della paternità) è stata, in questo senso, oggetto anche della recente sentenza costituzionale n. 18 del 2020, con cui si è dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 1, ord. pen. nella parte in cui escludeva l'applicazione del beneficio della detenzione domiciliare speciale alle detenute madri di figli portatori di handicap grave, accertato ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992, di età pur superiore agli anni dieci. In questo contesto, la ratio della sentenza in commento – così come di quella della richiamata decisione del 2020 – è rinvenibile nel garantire la rieducazione del genitore condannato attraverso la valorizzazione del suo ruolo materno (o paterno, in caso di impossibilità della madre di adempiere ai propri doveri di sostegno educativo). L'ordinamento, assegnando preminente valore al legame tra genitore e figlio, non tollera un'abdicazione temporanea dai ruoli educativi generata dell'irragionevole mancata considerazione – nell'art. 47-quinquies ord. pen. – dell'istituto processuale della applicazione interinale della misura alternativa in caso di “grave pregiudizio [per il nucleo familiare] derivante dalla protrazione dello stato di detenzione” del soggetto ristretto. Su queste basi, è ben condivisibile l'approdo della Corte Costituzionale, che ha posto in primo piano le esigenze sostanziali (di tutela del minore e del rapporto parentale) rispetto ai profili processuali. Ciò posto, non si può fare a meno di osservare che simili considerazioni siano debitrici della riproposizione in ambito penitenziario dei consolidati principi privatistici, sviluppati in ambito di diritto di famiglia, relativi alla valorizzazione del concetto di best interest of the child. Il preminente interesse del minore, infatti, implica che tutte le decisioni di autorità pubbliche o istituzioni private che coinvolgono anche solo indirettamente la sfera giuridica di minorenni, debbano prendere atto e conformarsi a tale presa di coscienza sociale e giuridica. Si tratta di una soluzione condivisa da plurime fonti normative, tra cui si ricorda, in ambito sovranazionale, l'art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n.176, nonché l'art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adottata a Strasburgo il 12 dicembre 2007), che compongono lo “statuto dei diritti” del minore.
Tanto è più vero se si adotta una prospettiva di sistema, dal momento che la disciplina della detenzione domiciliare ordinaria (misura alternativa al carcere applicabile per varie ragioni umanitarie, tra le quali la preservazione del rapporto genitoriale con minori in tenera età) prevista dall'art. 47-ter ord. pen., persegue la stessa finalità della misura prevista dall'art. 47-quinques ord. pen., cioè – per usare le parole della Corte Costituzionale – «quella di evitare, fin dove possibile, che l'interesse del bambino sia compromesso dalla perdita delle cure parentali, determinata dalla permanenza in carcere del genitore, danno riflesso noto come “carcerizzazione dell'infante”». Sul punto, la sentenza in commento si iscrive in un solco giurisprudenziale già tracciato dalla Consulta (si vedano, in questo senso, le sentenze nn. 239/2014, 76/2017, 187/19) volto, per un verso, ad assicurare la tendenziale uniformità di disciplina delle due forme di detenzione domiciliare (quella ordinaria nelle ipotesi delle lett. a) e b) dell'art. 47-ter, ord. pen. e quella speciale) ai fini della migliore tutela delle esigenze di cura della prole e, per l'altro verso, a ribadire l'esigenza che tali pur ampie possibilità di accesso alla misura extramuraria siano precedute da una attenta disamina da parte della Magistratura competente in relazione ad una rassicurante prognosi in favore dell'istante di astensione dalla commissione di ulteriori reati. Così, la "quota di espiazione preliminare", che rappresenta l'essenziale aspetto distintivo della detenzione domiciliare speciale rispetto a quella ordinaria, ha proprio la funzione di bilanciare il superamento del "tetto" dei quattro anni di reclusione, poiché l'espiazione intramuraria di almeno un terzo della pena (o quindici anni nel caso di ergastolo) consegna agli uffici di sorveglianza i risultati di una consistente esperienza trattamentale. La mancata previsione di una delibazione urgente nell'interesse del minore, ai fini dell'anticipazione cautelare della detenzione domiciliare speciale, impediva quindi il vaglio di quell'interesse in comparazione con le esigenze di difesa sociale. L'impraticabilità di un giudizio cautelare avrebbe avuto l'ulteriore riflesso di determinare l'ingresso del bambino in istituti di accoglienza per minori nella non breve attesa della decisione collegiale, esito che viceversa può essere evitato quando lo consenta una prognosi favorevole riveniente dal buon pregresso carcerario del genitore.
Alla luce di quanto esposto, l'estensione della previsione dell'applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale è correttamente realizzata applicando il terzo periodo del comma 1-quater dell'art. 47-ter ord. pen., a tenore del quale «[s]i applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 47, comma 4», quindi le disposizioni sull'applicazione provvisoria dell'affidamento in prova al servizio sociale. Inoltre, nell'applicazione urgente della detenzione domiciliare speciale, e nel corso della sua esecuzione, il Magistrato di Sorveglianza può disporre – tenendo conto delle effettive disponibilità – procedure di controllo con mezzi elettronici, in base al potere attribuitogli dall'art. 58-quinquies, comma 1, ord. pen., inserito dall'art. 3, comma 1, lettera h), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 10.
In definitiva, la condivisibile sentenza in commento ritiene che «l'astrattezza del diniego normativo, rapportata alla sola entità della pena in espiazione, vulnera il favor per gli istituti di protezione del figlio in tenera età, assicurato dall'art. 31, secondo comma, Cost., da leggersi anche alla luce delle disposizioni internazionali e sovranazionali che ne arricchiscono e completano il significato» (Corte Costituzionale, n. 187 del 2019).
Infine, si segnala che la portata della sentenza costituzionale in commento riverbera i propri effetti anche nei confronti degli autori di reato appartenenti al circuito della giustizia minorile. L'articolo 6 del d. lgs. 121/2018 (recante la Disciplina dell'esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni) contempla la misura penale di comunità della detenzione domiciliare, riprendendo quanto già previsto dall'art. 47-ter ord. pen. ed adattandolo alle peculiari esigenze dei condannati minorenni. Per quanto di interesse, l'applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale (corrispondente a quanto previsto dall'art. 47-quinquies ord. pen.) è estensibile anche ai minorenni, con la specificazione della necessaria predisposizione – da parte dell'USSM, di concerto con i competenti servizi sociosanitari territoriali – del programma di intervento educativo. È particolarmente utile auspicare, in questo senso, che le prescrizioni in esso previste prevedano anche programmi di sostegno alla genitorialità, oltre a favorire lo svolgimento di attività esterne, in particolare di istruzione, di formazione professionale, ovvero di lavoro, o culturali o sportive, comunque utili dal punto di vista pedagogico e funzionali al successo formativo e all'inclusione sociale. |