Responsabilità medica: accertamento della colpa e profili di diritto intertemporale
14 Gennaio 2022
Massima
Nel reato di lesioni personali colpose riconducibili a responsabilità medica, la prescrizione inizia a decorrere dal momento dell'insorgenza della malattia "in fieri", anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente. Il caso
La sentenza in oggetto vedeva imputati per il reato di lesioni colpose ex art. 113 e 590 commi 1 e 2, in relazione all'art. 583 commi 1 e 2 c.p. i due medici chirurghi che, avevano avuto in cura la persona offesa l'avevano sottoposta a due operazioni di colostomia che le avevano causato lesioni consistenti nell'indebolimento permanente della funzione contenitiva della parete addominale e della funzione di assorbimento del colon. In particolare, il primo medico aveva effettuato un intervento chirurgico per asportazione per via endoscopica di una massa complex dell'ovaio sinistro. Tale operazione aveva causato una lesione della parete del retto. Secondo la ricostruzione accusatoria il dottore aveva omesso di considerare tempestivamente tale complicanza post-operatoria nonostante le chiare risultanze della TAC e degli esami ematici e dell'esame obiettivo della paziente, ritardando di sottoporre la paziente ad un secondo intervento correttivo. Al primo chirurgo pertanto veniva contestata una condotta omissiva gravemente negligente ed imprudente nei giorni successivi all'intervento per aver ritardato nell'esecuzione degli esami strumentali nonostante l'evidente peggioramento delle condizioni della paziente e nell'esecuzione di un secondo intervento chirurgico. Il ritardo nell'esecuzione del secondo intervento aveva determinato un significativo peggioramento delle condizioni della paziente, dello sviluppo crescente della sepsi e della indispensabile realizzazione di una colostomia, che un tempestivo intervento avrebbe evitato con un elevato grado di probabilità. Il secondo medico, invece, era intervento nell'esecuzione del secondo intervento chirurgico. Tuttavia anche durante tale seconda operazione si era verificata come complicanza un'ulteriore lesione della parete dell'intestino. Al sanitario veniva pertanto contestata l'omessa adozione, per circa un mese dopo l'esecuzione dell'intervento, di un adeguato trattamento terapeutico per fronteggiare questa grave complicanza non avendo adeguatamente valutato le risultanze chiare ed evidenti del nuovo esame TAC, del RX torace-addome, degli esami ematici nonché dell'esame obiettivo della paziente. Tale condotta aveva determinato un significativo peggioramento delle condizioni fisiche della paziente, dello sviluppo crescente della peritonite e dell'indispensabile trasferimento della paziente presso altra struttura ospedaliera. Complicanza che avrebbe potuto essere evitata con una corretta e tempestiva interpretazione della sintomatologia della paziente, delle obiettività cliniche e delle risultanze degli esami strumentali. Entrambi i medici erano stati condannati in primo e secondo grado. I giudici di merito infatti avevano ritenuto che le condotte colpose imputate i due sanitari fossero da ritenere gravi stante la divergenza ragguardevole tra le stesse e l'agire appropriato individuato attraverso il complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento. I giudici nella loro valutazione avevano attribuito particolare rilievo al tempo a disposizione dei medici per determinare il corretto percorso diagnostico e terapeutico da seguire, alla qualifica assunta, alle competenze mediche e alla loro esperienza professionale. Sulla base di tali parametri, i giudici, nel pronunciare la sentenza di condanna, hanno ritenuto che la condotta doverosa fosse assolutamente esigibile da entrambi i medici curanti e che la stessa avrebbe evitato i danni fisici permanenti riportati dalla persona offesa. Entrambi gli imputati proponevano ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello. La questione
La Corte nella sentenza in oggetto ripercorre la valutazione che i giudici sono chiamati ad effettuare trovandosi a decidere in merito ad ipotesi di responsabilità medica. Occorre, precisa la Corte, valutare «se il caso concreto sia regolato da linee guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali; dovendo, quindi, specificare la natura della colpa (generica o specifica; per imperizia, negligenza o imprudenza); spiegando se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata dalle pertinenti linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali e, più in generale, quale sia stato il grado della colpa». Preliminarmente occorre però valutare, ove il reato non sia stato commesso sotto la vigenza dell'art. 590-sexies c.p., quale sia la norma applicabile secondo il criterio dettato dall'art. 2 comma 4 c.p.
Le soluzioni giuridiche
La suprema Corte nella sentenza in commento accoglie le doglianze mosse nei ricorsi presentati dagli imputati con riguardo ai vizi di motivazione. Si evidenzia, infatti, come il fatto oggetto della vicenda rientri ancora sotto la vigenza della c.d. “legge Balduzzi”. Secondo la giurisprudenza ormai consolidata (Cass. sez. unite, n. 8770/2018) l'art. 3 comma 1 del d.l. 158 del 2012 rappresenta norma più favorevole rispetto all'art. 590-sexies c.p. introdotto con la l. n. 24/2017. L'esimente introdotta dalla nuova norma infatti trova applicazione solamente nei casi di colpa dovuta ad imperizia e di grado lieve, mentre l'abrogato art. 3 d.l. n. 158/2012 trovava applicazione anche in relazione alle condotte connotate da colpa lieve per negligenza o imperizia, nonché in caso di errore determinato da colpa lieve per imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee guida adeguate al caso concreto. Nel caso di specie, pertanto, secondo il principio che regola la successione delle leggi penali nel tempo – qualora emergesse un profilo di colpa lieve - dovrebbe trovare applicazione l'art. 3 del d.l. 158/2012 in quanto norma più favorevole. Per l'applicazione della legge Balduzzi, il parametro di valutazione dell'operato del sanitario è rappresentato dalle linee guida o, in mancanza di queste, dalle buone pratiche clinico assistenziali. È pertanto fondamentale che il giudice, per una corretta disamina della rilevanza penale della condotta scrivibile all'imputato, individui esattamente la regola cautela violata, ossia le linee guida o le buone pratiche clinico-assistenziali a cui il sanitario si sarebbe dovuto attenere nonché la misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta a quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare che si doveva osservare. Con specifico riferimento alla condotta dell'esercente una professione sanitaria affermano i giudici “si può parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee giuda di riferimento, quando ciò il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente; e quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall'impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l'addebito nei confronti del professionista che, pur essendosi uniformato ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato ed abbia determinato, anzi, la negativa evoluzione della malattia”. La giurisprudenza, a proposito della misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della regola cautelare da osservare, ha nel tempo elaborato alcuni parametri indicativi nel determinare la misura del rimprovero, ossia il grado della colpa, quali ad esempio, le specifiche condizioni del soggetto agente ed il suo grado di specializzazione, la situazione ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si sia trovato ad operare, l'accuratezza dell'effettuazione del gesto medico, le eventuali ragioni di urgenza, l'oscurità del quadro patologico, la difficoltà di cogliere e legare le indicazioni cliniche, il grado di atipicità o novità della situazione data. Precisa però la sentenza come tali elementi, così come l'esatta individuazione della regola cautelare violata, debbano essere oggetto di valutazione del giudice, mentre nel caso di specie la sentenza appellata risultava carente di motivazione sul punto. Tuttavia, i reati contestati agli imputati risultavano prescritti. I supremi giudici, ribadendo l'orientamento ormai consolidato, infatti, hanno considerato come trattandosi di reato di lesioni personali provocate da responsabilità medica “la prescrizione inizia a decorrere dal momento di insorgenza della malattia in fieri, anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di indebolimento permanete”. Nel caso di specie, pertanto, l'evento lesivo, per il primo medico a cui veniva imputato il ritardo nell'esecuzione del secondo intervento chirurgico, risultava databile in corrispondenza del giorno in cui tale secondo intervento era stato eseguito. Con riferimento al secondo sanitario, a cui veniva contestata l'inadeguata gestione del periodo post operatorio, l'evento lesivo risultava databile allorché la persistente omissione dell'agente aveva avuto termine, ossia con il trasferimento della paziente presso un altro nosocomio. La Corte di Cassazione pertanto annullava la sentenza impugnata con rinvio ai soli effetti civili. Osservazioni
Nella sentenza in oggetto la Corte si sofferma sulla problematica dell'accertamento della colpa, tema particolarmente delicato in materia di responsabilità medica. I giudici oltre all'individuazione della regola precauzionale violata e del grado della colpa, sono tenuti a valutare, ove non si tratti di un'ipotesi di colpa grave, se possa trovare applicazione l'esimente di cui all'art. 3 d.l. n. 158/2012 o dell'art. 590-sexies c.p. Come noto, sulla problematica di diritto intertemporale tra le due norme sono intervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 8770 del 2018 che ha precisato come secondo il principio della successione di leggi penali nel tempo di cui all'art. 2 comma 4 c.p. risulti più favorevole l'abrogato art. 3 della Legge Balduzzi qualora si tratti di condotte connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza oppure in caso di errore determinato da colpa lieve per imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee guida adeguate al caso concreto. Infatti, recisa la citata sentenza l'art. 590-sexies c.p., introdotto dall'art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, prevede una causa di non punibilità applicabile ai soli fatti inquadrabili nel paradigma dell'art. 589 o di quello dell'art. 590 cod. pen., e operante nei soli casi in cui l'esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse; la suddetta causa di non punibilità non è applicabile, invece, né ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né quando l'atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche, né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall'esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso, né, infine, in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse. Con riferimento all'esimente prevista dalla Legge Balduzzi, la giurisprudenza si era ormai consolidata nel richiedere in merito all'accertamento della colpa, l'individuazione delle linee guida o delle buone pratiche da applicarsi al caso concreto, l'individuazione del comportamento alternativo doveroso che ci si doveva attendere dal sanitario, la valutazione del grado della colpa considerando la misura della divergenza tra la condotta tenuta e quella dovuta sulla base della regola cautelare che avrebbe dovuto osservare. Valutazione da compiere tenendo conto di una serie di parametri legati alla peculiarità del caso concreto (grado di difficoltà, sviluppo della malattia), le specifiche condizioni del soggetto agente (grado di specializzazione del medico) e della situazione contingente (tempistiche emergenziali, organizzazione struttura e disponibilità di attrezzature e personale). L'attuale legge Gelli-Bianco per superare una serie di problematiche interpretative della Legge Balduzzi, come noto, a individuato come parametro di riferimento della condotta del medico le sole linee giuda accreditate e riportate nell'apposita banca dati in fase di creazione, con la connesse problematiche relative all'individuazione al momento delle linee guida di riferimento nonché al valore delle precedenti linee guida e buone pratiche assistenziali. Alcune sentenze hanno precisato che le “linee guida” costituiscono, con una definizione ritenuta ancora valida in attesa dell'elaborazione del Sistema Nazionale delle linee guida, raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche». La dottrina epistemologica italiana ha, poi, osservato che le linee guida possono avere diverso grado di cogenza, presuppongono l'esistenza e la plausibilità di molteplici comportamenti degli esercenti le professioni sanitarie, a fronte della medesima situazione data, e sono volte a ridurre la variabilità e la soggettivizzazione dei comportamenti clinici. Va aggiunto che le linee-guida non esauriscono il sapere scientifico che deve trovare ingresso nel processo e, se a volte contengono vere e proprie cautele, quando regolano l'attività medica come attività pericolosa, in altri casi si sostanziano in regole di giudizio della perizia del medico. Non è, allora, conforme alle finalità della legge una motivazione che enunci la regola di comportamento desumibile da linee-guida senza specificare se si tratti di regola cautelare o di regola di giudizio della perizia del sanitario (Cass. pen. n. 37794/2018). Il medico è in ogni caso tenuto a discostarsi dalle linee guida tutte le volte in cui la peculiarità delle condizioni del paziente lo richiedano. Occorre infine evidenziare come, la gravita e la particolarità dell'attuale situazione di emergenza sanitaria ha portato ad estendere l'esclusione della responsabilità del personale sanitario per i reati di omicidio o lesioni personali colpose dovute alla somministrazione di un vaccino per la prevenzione da Sar-Cov-2 quando l'uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione (art. 3 d.l. n. 44/2021). Il medesimo decreto legge n. 44/2021 all'art. 3-bis ha circoscritto la punibilità degli esercenti la professione sanitaria per i fatti puniti dagli art. 589 e 590 c.p. se commessi durante il periodo di dichiarata emergenza epidemiologica ed alla stessa ricollegabili alle sole ipotesi di colpa grave. La stessa norma precisa: ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all'emergenza. |