Intercettazioni e vincolo di continuazione tra reati: la Cassazione interviene sul regime di utilizzabilità
17 Gennaio 2022
Massima
Secondo la disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla l. 25 giugno 2020 n. 70, i risultati delle intercettazioni telefoniche autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per ulteriori fatti-reato legati al primo dal vincolo della continuazione, rilevante ex art. 12, lett. b), c.p.p., senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i correi. Il caso
Impugnando l'ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli, adito ex art. 309 c.p.p., il ricorrente eccepisce – tra l'altro - l'inutilizzabilità delle intercettazioni effettuate, lamentando l'inosservanza del divieto di cui all'art. 270 c.p.p. In merito, si invocano i principi espressi dalla sentenza Cavallo (Sezioni Unite 2020, n. 51), osservando che non ricorrerebbe alcuna delle ipotesi di connessione qualificata, ex art.12 c.p.p., tra i reati per i quali l'intercettazione è stata disposta con decreto quelle contestate al ricorrente; evidenziando al riguardo che certamente non ricorrono i casi di cui all'art. 12 lett. a) e c), c.p.p. ma neppure sarebbe ravvisabile il caso del reato continuato di cui alla lettera b) del citato articolo, giacché solo l'identità di tutti i compartecipi assicurerebbe l'unità del processo volitivo. E al fine di rafforzare l'impugnazione, il ricorrente evidenzia ulteriormente che dagli atti, non emerge la consapevolezza di un medesimo disegno criminoso da parte dei coindagati. Secondo il ricorrente, invero, sarebbero inutilizzabili gli esiti delle intercettazioni da cui il giudice del merito ha tratto i gravi indizi di colpevolezza a suo carico quale concorrente esterno nei reati di cui agli artt. 110 - 353-bis e 110 476-479 c.p., commessi dai Pubblici Ufficiali favorendo la sua impresa. Più specificamente viene rilevato che:
La Cassazione disattendendo le censure, nella motivazione della sentenza, afferma il seguente principio: «In base alla disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per ulteriori fattireato legati al primo ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen., vale a dire quando, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi siano stati già programmati (da uno o alcuno dei correi) almeno nelle loro linee essenziali, senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i compartecipi».
La questione
In questa ottica la questione involge il tema della utilizzabilità delle intercettazioni di comunicazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti. Bisogna quindi chiedersi:
Le soluzioni giuridiche
Il percorso utilizzato dai giudici della V Sezione della Suprema Corte, per confermare l'ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame distrettuale è assai interessante. Gli Ermellini, muovono, - come peraltro fa il ricorrente nell'atto di impugnazione -, dalla sentenza Cavallo (Sezioni Unite 2020, n. 51), laddove si afferma che il divieto di cui all'art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati di captazione in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse sono state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza – non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultano connessi ex art. 12 c.p.p., a quelli in relazione ai quali l'intercettazione era stata ab origine disposta. Sul punto, posto il riferimento – e il limite insuperabile!- di cui all'art. 15 Cost., che vieta autorizzazioni in bianco, le Sezioni Unite sono arrivate a questa conclusione interrogandosi su quale dovesse essere il legame sostanziale tra il reato per il quale l'autorizzazione alla intercettazione è stata concessa e il reato emerso a seguito di tale intercettazione: In sostanza per diversi procedimenti ex art.270 c.p.p. devono intendersi diversi reati che non siano connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli per i quali l'intercettazione è stata autorizzata. Vale a dire :solo la connessione sostanziale tra reati, rilevante ex art.12 c.p.p., fonda la categoria di stesso procedimento idonea a paralizzare l'operatività dell'art. 270 c.p.p. Ergo, il decreto autorizzativo copre sia quello specifico fatto reato, per il quale viene emesso, sia ulteriori fatti reato che siano legati al primo da una connessione qualificata espressa dall'art.12 c.p.p. (sentenza in commento).
Di contro, quindi, al fine di individuare lo stesso procedimento, non è sufficiente un nesso di natura formale o occasionale, quale ad esempio quello derivante dal collegamento delle indagini ex art.371 c.p.p., dall'appartenenza ad un medesimo filone investigativo o dal medesimo numero di iscrizione del fascicolo processuale. Fermi questi principi enucleati dalle Sezioni unite Cavallo, i Giudici della V Sezione arrivano ad affermare il principio di diritto precedentemente riportato, analizzando preliminarmente – ed inevitabilmente visto il puntuale motivo del ricorrente - il concetto di fatto-reato, chiedendosi se lo stesso vada inteso nella sua connotazione oggettiva, ovvero se al contrario, al fine di ritenere utilizzabile o meno l'intercettazione di comunicazione in altri procedimenti, assume valore la posizione soggettiva degli autori. Sul punto, i Giudici chiariscono innanzitutto che: quando si parla di reato si fa riferimento al fatto reato e non al titolo di reato, fatto reato inteso come un determinato accadimento storico inquadrabile in una fattispecie criminosa. E continuano sostenendo che il rapporto di connessione qualificata ex art. 12 c.p.p., riguarda i fatti reato nella loro espressione oggettiva, mentre, ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni , resta irrilevante la posizione soggettiva degli autori.
Del resto, appare evidente - oltre che inequivocabile -, sia che le intercettazioni possono essere disposte in un procedimento a carico di ignoti senza che in alcun modo venga messa in dubbio la potenziale utilizzabilità delle stesse nei confronti degli autori del reato successivamente individuato, sia anche che il ricorso alle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni attengono all'esistenza dell'illecito penale e non alla colpevolezza di un determinato soggetto. ( Cassazione Sez. 1 2568 2020 Rv 280354). Sul punto: Le intercettazioni non richiedono che gli indizi di reato siano individualizzanti: i presupposti dell'attività di intercettazione sono riferiti alla esistenza del reato e non alla responsabilità dei singoli concorrenti (cfr. sezione V n. 1757/2020, Lombardo) Più complessa appare la soluzione all'ultimo quesito posto. Invero, appare indubitabile che in tema di competenza per connessione la giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che, in ipotesi di connessione oggettiva fondata sull'astratta configurabilità del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte, fattispecie di reato ascritte a diversi imputati, l'identità del disegno criminoso perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, solo se l'episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o - se sono più di uno - gli stessi imputati, giacché l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza (cfr. Sez. 2, n.49520 del 29/11/2019, L.E., non mass.; Sez. 2, n. 57927 del 20/11/2018, Bianco, Rv. 275519; Sez. 2, n. 17090 del 28/02/2017, Bilalaj, Rv. 269960; Sez. 6, n. 914 del 16/03/1999, Rv. 214782). Nel medesimo senso si sono espresse le Sezioni Unite (sentenza n. 53390 del 26/10/2017) quando hanno affermato che — a differenza dell'ipotesi di cui all'art. 12, lett, c) cod. proc. pen. — quella di cui all'art. 12 lettera b) (concorso formale e continuazione) richiede la coincidenza degli autori dei reati.
Secondo i Giudici della V Sezione penale, questo principio, data la ratio ispiratrice, deve restare circoscritto all'ambito processuale dello spostamento di competenza per connessione, ma non può assurgere a criterio assoluto e, in particolare, non è idoneo a incidere sulla nozione di “connessione” intesa come “legame sostanziale” tra reati, rilevante in tema di intercettazioni. Sul punto invero: Osserva questo collegio che se le intercettazioni attengono al fatto-reato nella sua oggettività, se la identità del procedimento si fonda sul «legame sostanziale» dei reati, se questo legame è indipendente dalla vicenda procedimentale, discende che l'identità del disegno criminoso deve “tenere legati” i fatti-reato, ma non necessariamente tutti i compartecipi. Di conseguenza, in virtù dei principi giuridici evidenziati, nonostante nel caso nel caso in rassegna, le intercettazioni della cui utilizzabilità si discute sono state autorizzate con decreto del 7 novembre 2018 in relazione a reati di falso, corruzione e turbata libertà degli incanti , analoghi reati — addebitati ai medesimi pubblici ufficiali e al ricorrente — sono emersi successivamente, nel corso di quelle intercettazioni, e questo , determina, come osserva, condivisibilmente, il Tribunale del riesame, che quei reati oggetto del decreto autorizzativo presentano una connessione qualificata, ai sensi dell'art. 12 lett. b), cod. proc. pen., con i reati di cui ai capi 27 e 27.1. della incolpazione provvisoria (qui in esame), trattandosi di condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, desumibile dalla identità dei pubblici ufficiali coinvolti, dalla stretta correlazione temporale e dalla omogeneità delle condotte. Nessuna rilevanza, al fine della inutilizzabilità delle intercettazioni, assume la circostanza che l'indagato non abbia condiviso il programma ideato dai correi.
In conclusione, nella specie, si verte nell'ipotesi di stesso procedimento che paralizza l'operatività del divieto di utilizzabilità previsto dall'art. 270 c.p.p.: In base alla disciplina applicabile ai procedimenti iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d.l. 30 aprile 2020, n.28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per ulteriori fatti- reato legati al primo ex art. 12, lett. b), cod. proc. pen., vale a dire quando, al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi siano stati già programmati (da uno o alcuno dei correi) almeno nelle loro linee essenziali, senza necessità che il disegno criminoso sia comune a tutti i compartecipi (Cass Sentenza Sezione V n.37697 cit), In conclusione
La Cassazione ritorna sui limiti alla utilizzabilità delle intercettazione nell'ambito di procedimenti diversi da quello utilizzato. Le Sezioni Unite della Corte, con la sentenza Cavallo, avevano tracciato i confini della previsione di cui all'art. 270 c.p.p., che pone il divieto di utilizzare i risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quello nel quale gli stessi sono stati ottenuti. Nel dirimere il contrasto interpretativo sorto sulla nozione di procedimento diverso, il massimo organo nomofilattico aveva chiarito che questa preclusione non è operante con riferimento ai reati connessi ex art. 12 c.p.p. , a quello per cui le intercettazioni sono state autorizzate, evidenziando ulteriormente che in siffatte situazioni ci si troverebbe dinanzi ad un medesimo procedimento. Le indicazioni fornite dalle Sezioni Unite, hanno tuttavia suscitato perplessità e critiche in dottrina e in parte della Giurisprudenza di merito, tanto è vero che la stessa V Sezione della Corte, con la sentenza 1757 del 17 Dicembre 2020, ritorna sui principi espressi dalle Sezioni Unite con la Cavallo, e chiarisce che la locuzione “procedimenti diversi” equivarrebbe conseguentemente a “reati diversi” non legati da alcuna connessione, né di tipo oggettivo, finalistico ovvero probatorio, e perciò i fatti di reato emersi durante il corso di un procedimento attraverso lo strumento delle intercettazioni potranno, al limite, essere utilizzati alla stregua di notitia criminis, senza, a contrario, poter essere valorizzati come materiale probatorio (Cass. Sez. V, n. 1757/2021) Nella sentenza in commento, la Corte, - fatti propri i principi espressi dalle sentenze sopra richiamate - chiarisce che al fine della utilizzabilità delle intercettazioni non è necessario che l'indagato abbracci – o ne sia consapevole – il programma criminoso dei correi, ritenendo sufficiente che al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi siano stati già programmati (anche da uno o alcuno dei correi) almeno nelle loro linee essenziali. Sebbene tale interpretazione appaia assolutamente coerente con le indicazioni fornite dalla Sentenza Cavallo in ordine alla oggettività del fatto reato e al legame tra i due "reati", che deve essere ritenuto sostanziale, appare al contrario indubitabile lo stretto legame che può avvincere le diverse sfaccettature di un medesimo istituto e come qualsivoglia opzione ermeneutica possa sottoporre a sollecitazioni anche tematiche assai contigue. Invero, ciò che lascia perplessi, è fornire interpretazioni diverse (e non incompatibili) allo stesso istituto al fine delle (diverse) applicazioni dello stesso. Più specificamente, se apparentemente il richiamo operato dalle Sezioni Unite Cavallo all'art.12 c.p.p., e di conseguenza (ci si aspetterebbe) alle regole che disciplinano la connessione ai sensi dell'art. 12 c.p.p., sembrerebbe imporre all'interprete che la verifica dei reati connessi (al fine di verificare l'utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti!) possa (debba) essere fatta secondo il rigore formale dell'art.12 c.p.p. ( e della sua interpretazione giurisprudenziale), l'opzione ermeneutica indicata dai Giudici della V Sezione, prende le distanza dal formalismo (quasi esasperato) che regola e disciplina l'applicazione processuale della connessione e vira sul concetto di legame sostanziale tra reati. In merito, si osserva come laddove la norma codicistica debba essere utilizzata in una materia che impatta su diritti così fondamentali sull'individuo, come la materia delle intercettazioni di captazioni o comunicazioni, ci si aspetterebbe forse una maggiore coerenza nella scelta delle opzioni ermeneutiche . Anche sotto il profilo del concetto di “medesimo disegno criminoso” la situazione non cambia. Relativamente a tale profilo i Giudici della Suprema Corte, con la sentenza in esame, al fine di confermare la utilizzabilità delle captazioni telefoniche, affermano che “ i reati presentano una connnessione qualificata trattandosi di condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, desumibile dalla identità dei pubblici ufficiali coinvolti, dalla stretta correlazione temporale e dalla omogeneità delle condotte “, chiarendo ulteriormente che nel caso di specie i reati successivi siano già stati programmati almeno nelle linee essenziali. Orbene, tale opzione ermeneutica, che rinviene l'unicità del disegno criminoso come un istituto a formazione progressiva, il cui unico requisito essenziale è l'astratta previsione dei reati successivi , almeno nelle loro linee essenziali, mal si concilia con un intervento della Corte, Sezione Prima, in tema di unicità del disegno criminoso. Con la sentenza n. 13971 del 2021, la Corte, Sezione I Penale, statuisce che Al fine di aversi unicità del disegno criminoso occorre che in esso risultino ricomprese le diverse azioni od omissioni sin dal primo momento e nei loro elementi essenziali, nel senso che, quando viene commessa la prima azione, già sono state deliberate tutte le altre, come facenti parte di un tutto unico. Le singole condotte, quindi, devono ricollegarsi ad un'unica previsione iniziale, per cui i diversi reati ne costituiscono la concreta realizzazione; in altri termini, i reati successivamente commessi devono essere delineati fin dall'inizio nelle loro connotazioni essenziali, non potendo identificarsi il requisito psicologico indicato nell'art. 81 cod. pen. con un generico programma delinquenziale o, più in generale, con una condotta di vita dedita al crimine. Appare evidente pertanto, al di la della opzione ermeneutica scelta, che a una materia che impatta su diritti così fondamentali dell'individuo abbisogna forse, di una maggiore coerenza e certezza che consenta a tutti gli operatori del diritto di muoversi evitando salti logici e senza alcuna ambiguità. |