Resta “eterno giudicabile” l'imputato fisicamente impedito
02 Luglio 2021
Massima
La causa di proscioglimento speciale prevista dall'art.72-bis c.p.p. non si applica per l'imputato che non possa partecipare al processo per condizioni di salute fisica e non mentale. Il caso
Il Tribunale di primo grado, facendo applicazione dell'art.72-bis c.p.p., emetteva sentenza di proscioglimento in virtù della ritenuta sussistente incapacità processuale irreversibile dell'imputato. Avverso tale sentenza proponeva ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di Appello, il quale deduceva la violazione di legge, in relazione all'art. 72-bis c.p.p., per avere il Tribunale erroneamente applicato la causa di definizione del procedimento prevista dal predetto articolo in un caso di asserita incapacità processuale irreversibile dell'imputato, dovuta a una malattia fisica e non (anche) a una malattia mentale. La Corte, accogliendo il ricorso del Procuratore Generale, evidenzia come tale norma, - introdotta, come noto, per risolvere il problema dei cosiddetti eterni giudicabili, cioè di quei soggetti che ritenuti incapaci di attendere coscientemente al processo per una malattia irreversibile rimanevano imputati in un processo sospeso sine die - sia espressamente riferita ai soli casi in cui la incapacità processuale sia dovuta a patologie che attengono allo stato “mentale” dell'imputato. Ciò, in particolare, si desumerebbe «tanto dalla inequivoca formula testuale impiegata dallo stesso art. 72-bisc.p.p.; quanto dal dettato del già richiamato art. 70, che nel disciplinare gli accertamenti sulla capacità dell'imputato a partecipare coscientemente al processo, ha espressamente fatto riferimento a quelle situazioni in cui la incapacità dell'imputato sia stata causata da una “infermità mentale”». In conclusione, poi, i Giudici della VI Sezione Penale chiariscono ulteriormente: «nulla autorizza, dunque a ritenere che sia le norme sulla sospensione del procedimento, sia quelle sulla eventuale adozione del provvedimento di proscioglimento riguardino anche l'imputato che si trovi impossibilitato a partecipare al processo per ragioni attinenti al suo stato di saluto fisica». La questione
In questa ottica la questione involge il tema della possibile estensione in via analogica della disciplina prevista e contenuta dall'art.72-bis c.p.p., ci si chiede, nello specifico, se è possibile estendere in via analogica all'incapacità fisica perpetua la disciplina sulla incapacità irreversibile dell'imputato prevista dall'art.72-bis c.p.p., e l'affermata illegittimità dell'art. 159, comma 1, c.p. ai casi di incapacità fisica irreversibile. Le soluzioni giuridiche
La sentenza della VI sezione della Suprema Corte sembra chiudere definitivamente le porte ad una serie di coraggiosi provvedimenti di merito che tendevano ad allargare in campo di applicazione dell'art. 72-bis c.p.p. A tal proposito, il Tribunale in composizione monocratica di Torino, con la sentenza n. 3162/2018, nel dichiarare il non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti dell'imputato affetto da incapacità fisica irreversibile aveva ritenuto di estendere «in via analogica e pro reo la disciplina prevista per l'incapacità psichica irreversibile in materia di prescrizione anche alle ipotesi di incapacità fisica perpetua, con conseguente decorrenza dei termini di prescrizione anche in tali ipotesi» Sul punto, il Giudice estensore, pur richiamando inizialmente nella parte motiva la sentenza della Corte Costituzionale n.243/2013 che aveva escluso la riconducibilità della disciplina di cui agli artt. 70 ss. c.p.p. alle ipotesi di incapacità fisica irreversibile evidenziando, tra gli altri, «l'argomento secondo cui le situazioni poste a confronto erano eterogenee, posto che l'infermità mentale preclude all'imputato ogni forma di cosciente partecipazione al processo, compresa quella che potrebbe estrinsecarsi nel consenso alla celebrazione del giudizio in absentia mentre per le incapacità fisiche tale considerazione potrebbe non valere sul presupposto che gli impedimenti di tal genere potrebbero essere transitori e non necessariamente precludono all'imputato l'esercizio di diritti diversi dalla personale partecipazione al processo», successivamente, ha il merito di aprire - senza ombra di dubbio - un percorso esegetico innovativo. Secondo il Giudice del merito, invero, «vista l'evoluzione successiva al 2013 della giurisprudenza della Corte Costituzionale e del legislatore, recependo i principi espressi dalla più recente giurisprudenza costituzionale e delle recenti modifiche normative, è dato estendere in via analogica e pro reo la disciplina prevista per l'incapacità psichica irreversibile in materia di prescrizione anche alle ipotesi di incapacità fisica perpetua, con conseguente decorrenza dei termini di prescrizione anche in tali ultime ipotesi. Invero, appare chiaro che anche nell'ipotesi di legittimo impedimento per incapacità fisica irreversibile, la situazione determinata dalla sospensione dei termini di prescrizione determinerebbe un irragionevole contrasto con la ratio stessa di tale ultimo istituto così come definito dalla Corte Cost. n. 45/2015. Né a questo giudicante pare possa sostenersi che la situazione di legittimo impedimento irreversibile sia diversa da quella dell'incapacità irreversibile a partecipare coscientemente al processo, così come ha inteso sostenere la Corte Costituzionale del 2013 asserendo che la prima non precluderebbe, pur nell'impossibilità dell'imputato di partecipare al processo, l'esercizio di altri suoi diritti di difesa, in quanto l'esercizio di tali altri diritti, nell'assenza non liberamente prescelta dall'imputato ma imposta dal suo stato fisico irreversibile, si svuoterebbe del significato e della funzione propria riducendosi a garanzia formale frustrando quanto la partecipazione personale in giudizio garantisce e vorrebbe garantire (l'ascolto delle testimonianze, la possibilità di rendere dichiarazioni e fornire spiegazioni sui fatti, etc) nella logica di un contraddittorio diretto tra le parti processuali. Per quanto illustrato deve ritenersi che il termine di prescrizione non sia mai stato sospeso fronte dei rinvii disposti per legittimo impedimento irreversibile dell'imputato, sicché imponendosi il suo proscioglimento per essere maturato il termine di prescrizione».
Nello stesso solco si ponevano le pronunce n. 3794/2019, Tribunale di Torino, e la sentenza del Tribunale di Brescia del 25 giugno 2020 poi annullata dalla pronuncia in commento. La Corte, in particolare, esclude espressamente che i termini della questione esaminata nel 2013 dai Giudici delle leggi siano mutati a seguito della introduzione della nuova causa di proscioglimento dell'imputato regolata dal più volte menzionato art.72-bisc.p.p. Restano, in tal senso, insuperabili le considerazioni sviluppate dalla Corte Costituzionale in una precedente pronuncia in materia, con la quale, affrontando una questione relativa a un prospettato contrasto con l'art. 3 Cost., era stato sottolineato come le situazioni poste a raffronto dovessero essere nettamente differenziate in quanto: «solo l'infermo di mente non è capace in alcun modo di comprendere gli avvenimenti processuali e di decidere la propria condotta, impedendo in radice lo svolgimento del processo penale, laddove l'infermità fisica, non incidendo sulla capacità di autodeterminazione, non impedisce all'imputato di orientare le proprie scelte processuali, ad esempio permettendo la legittima prosecuzione del processo in sua assenza»(Corte Cost.n. 67/1999). Del resto, secondo il Collegio, le situazioni poste a confronto non risultano neppure omogenee laddove si osservi che la nozione di incapace processuale è costruita esclusivamente in relazione alle gravi patologie di tipo psichico perché considerate più stabili di quelle fisiche: «indipendentemente dal fatto che queste ultime nel tempo tendono a risolversi, in ogni caso, a differenza di quelle neurologiche, che impediscono stabilmente la partecipazione dell'imputato in giudizio, non escludono la possibilità che la presenza l'imputato in udienza possa essere assicurata con l'impiego di eccezionali modalità di trasporto e con la prestazione di adeguate forme di servizio di assistenza medica». In conclusione, ad avviso dei Giudici, nulla autorizza dunque a ritenere che sia le norme sulla adozione della sentenza di proscioglimento, sia anche le norme che regolano la sospensione del processo e del corso della prescrizione riguardino anche l'imputato che si trovi impossibilitato a partecipare al processo per ragioni attinenti alle sue condizioni fisiche. Osservazioni
La questione degli “eterni giudicabili” era stata più volte sottoposta alla verifica di legittimità della Corte Costituzionale che, dopo aver più volte dichiarato non fondate varie eccezioni delineate esclusivamente sotto il profilo della normativa processuale, pervenne poi all'adozione di una pronuncia inquadrabile nel novero delle decisioni definite in dottrina “sentenze monito”. In particolare, con ordinanza n.23/2013, la Corte costituzionale, pur dichiarando inammissibile la prospettata eccezione di costituzionalità dell'art. 159 comma 1 c.p., sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, comma 2, e 111, comma 2, Cost., nella parte in cui prevedeva la sospensione del corso della prescrizione anche in presenza delle ipotesi di cui agli artt. 71 e 72 c.p.p., e cioè anche laddove fosse stata accertata la sussistenza di un'incapacità irreversibile dell'imputato a partecipare coscientemente al processo, sollecitò comunque il legislatore ad intervenire immediatamente in materia, onde evitare il prolungarsi di tale situazione. Il Giudice delle Leggi, mostrando una notevole sensibilità giuridico-sociale, avvertì invero, che non appariva più tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al problema prospettato dalla sollevata eccezione di legittimità. Conseguentemente, a seguito di una nuova eccezione di incostituzionalità, e visto che il Parlamento non fu peraltro recettivo ad accogliere subitaneamente il rilievo di tale pronuncia, la Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 45/2015, dichiarò l'illegittimità costituzionale di tale disposto nella parte in cui, ove lo stato mentale dell'imputato fosse tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento e questo fosse stato sospeso, non escludeva la sospensione del decorso della prescrizione neppure qualora fosse risultata accertata l'irreversibilità di tale stato. La Corte Costituzionale osservò che «l'indefinito protrarsi nel tempo della sospensione del processo – con la conseguenza della tendenziale perennità della condizione di giudicabile dell'imputato, dovuta all'effetto a sua volta sospensivo della prescrizione –presenta il carattere della irragionevolezza, giacché entra in contraddizione con la ratio posta a base, rispettivamente, della prescrizione dei reati e della sospensione del processo. La prima è legata, tra l'altro, sia all'affievolimento progressivo dell'interesse della comunità alla punizione del comportamento penalmente illecito, valutato, quanto ai tempi necessari, dal Legislatore, secondo scelte di politica criminale legate alla gravità dei reati, sia al “diritto all'oblio “dei cittadini, quando il reato non sia così grave da escludere tale tutela. La seconda poggia sul diritto di difesa, che esige la possibilità di una cosciente partecipazione dell'imputato al procedimento». Orbene, dopo circa due anni da detta pronuncia, il legislatore intervenne al fine di rendere organica la questione, in virtù dell'art. 1, comma 22, l. n. 103/2017, con cui venne introdotto l'art. 72-bis c.p.p. (Definizione del procedimento per incapacità irreversibile dell'imputato) in base al quale «Se, a seguito degli accertamenti previsti dall'articolo 70, risulta che lo stato mentale dell'imputato è tale da impedire la cosciente partecipazione al procedimento e che tale stato è irreversibile, il giudice, revocata l'eventuale ordinanza di sospensione del procedimento, pronuncia sentenza di non luogo a procedere o sentenza di non doversi procedere, salvo che ricorrano i presupposti per l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca».
Poste le premesse che precedono, il provvedimento della Suprema Corte in commento, che, chiudendo a qualsivoglia altra interpretazione estensiva, ritiene applicabile l'art.72-bis c.p.p. ai soli casi di incapacità psichica, sebbene in totale conformità a quanto evidenziato alla Corte Costituzionale, lascia tuttavia perplessi sotto il profilo della reale effettività del diritto di difesa. Invero, infatti, non può non osservarsi come, sia in caso di incapacità perpetua di natura psichica, sia anche nel caso in cui l'incapacità irreversibile sia di natura fisica, l'effetto sul processo è inevitabilmente il medesimo: l'imputato non può difendersi! E se nel primo caso la giustificazione all'intervento normativo è data dalla circostanza (lapalissiana) che il vizio mentale insanabile comporta che l'imputato non si rende conto di ciò che accade intorno a lui e non può esprimere consapevolmente la propria volontà “nel processo e per il processo”, al contrario, è bene sottolinearlo , in caso di impedimento fisico perpetuo l'imputato (comunque e con altrettanta certezza) non è in grado di sapere cosa accade nel suo processo perché non può (e non potrà mai) essere presente. In questo caso, quindi, con tutta evidenza, l'assenza dell'imputato nel processo, dovuta a impedimenti fisici, qualora questa fosse cronica, priverebbe di contenuti l'esercizio del diritto di difesa, snaturandone la funzione. Il diritto di difesa, tutelato dall'art. 24, comma 2, Cost., che ne sancisce l'inviolabilità in ogni stato e grado del procedimento, come noto, nasce e trova attuazione all'interno del procedimento penale, nella duplice accezione della difesa tecnica, che non interessa nell'economia del presente lavoro, e della c.d. autodifesa o difesa personale. In dottrina si distinguono tradizionalmente due aspetti dell'autodifesa: l'autodifesa attiva, che trova la più rilevante manifestazione nella facoltà per l'indagato e/o l'imputato di fornire il proprio apporto conoscitivo alla ricostruzione fattuale senza dover soggiacere agli obblighi di verità che caratterizzano la testimonianza; l'autodifesa passiva, intesa come facoltà di difendersi tacendo o, più in generale, come facoltà di non fornire elementi in proprio danno. Va da se, secondo tale schema logico, che in caso di assenza dell'imputato legata a problematiche fisiche irreversibili, verrebbe meno la possibilità di gestire autonomamente le scelte e i comportamenti processuali dello stesso imputato, che la partecipazione personale in giudizio vorrebbe garantire nella logica di un contraddittorio diretto tra le parti processuali che consenta, all'imputato presente: l'ascolto delle testimonianze, la possibilità di rendere dichiarazioni e fornire spiegazioni sui fatti, la possibilità di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni carico, la possibilità di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a difesa nelle stesse condizioni dell'accusa, la possibilità di ottenere l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova . Sebbene, come peraltro è stato chiarito dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento, l'imputato impedito perpetuamente alla partecipazione al giudizio, conservando le proprie facoltà mentali, ha certamente la possibilità di rinunziare alla partecipazione al processo; tuttavia, è proprio la concreta (e definitiva) impossibilità di partecipazione al processo, che genera la conseguenza di non poter mai e in alcun modo esercitare i diritti connessi. In questa prospettiva, “la scelta” dell'imputato fisicamente impedito di non partecipare al processo, rinunciando però a qualsivoglia diritto di ordine processuale, non potrebbe che essere l'unica opzione per essere giudicato e per non sentirsi eterno giudicabile. |