Giochi d'azzardo: la restrizioni devono essere coerenti con l'obiettivo di lotta alla criminalità
05 Agosto 2015
La sentenza Gambelli (Corte di Giustizia, 6 novembre 2003, Gambelli et al., C-243/2001) si segnala soprattutto, ma non solo, per aver correttamente interpretato gli artt. 43 e 49 Ce; nel trattare tale problematica, la Corte di Giustizia ha altresì provveduto ad elaborare - sul piano della tutela generale - il “principio di coerenza”, in forza del quale lo stesso Trattato consente deroghe ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi per motivi di interesse generale (si pensi, a titolo esemplificativo, alla tutela dei consumatori ovvero alla salvaguardia dell'ordine e della pubblica sicurezza). Con la citata sentenza i giudici comunitari, nel ribadire alcuni dei principi già espressi dalla giurisprudenza di legittimità in punto di giochi e scommesse, hanno affermato che “la restrizione oggetto della causa principale possa essere considerata, tenuto conto delle particolarità connesse all'offerta di giochi d'azzardo su Internet, giustificata dall'obiettivo di lotta contro la frode e la criminalità”. Prima di illustrare il responso della C.G.E. al quesito di diritto sottoposto alla sua attenzione, al fine di consentire una migliore comprensione delle statuizioni rese sul punto, si rende necessaria una brevissima esposizione dei fatti oggetto di causa. La sentenza in esame costituisce l'epilogo di una controversia che trae origine dall' ordinanza del 30 marzo 2001 con cui il Tribunale di Ascoli Piceno ha sottoposto alla Corte di Lussemburgo, a norma dell'art. 234 Ce, una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt. 43 e 49 Ce. La questione summenzionata è stata sollevata nell'ambito di un procedimento penale a carico del sig. Gambelli e di altri 137 indagati accusati di aver organizzato abusivamente scommesse clandestine e di essere proprietari di centri che effettuerebbero attività di raccolta e trasmissione di dati in materia di scommesse, pur non avendo ottenuto alcuna concessione dallo Stato. Ebbene, sul punto, la Corte di Giustizia ha ritenuto che la “normativa nazionale contenente divieti — penalmente sanzionati — di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 Ce e 49 Ce. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi”. I punti saldi fissati dalla sentenza Gambelli, dunque, sono rappresentati dalla necessaria coerenza tra le rationes delle restrizioni dei principi tutelati dai trattati e le politiche concretamente perseguite dallo Stato membro, oltreché dall'imprescindibile proporzionalità e adeguatezza di tali restrizioni rispetto agli obiettivi che ciascuno Stato si è prefissato di raggiungere. |