Caso Vannini: applicazione del concorso anomalo
29 Gennaio 2021
Massima
Mentre nel dolo intenzionale il soggetto agisce prevedendo e volendo l'evento come conseguenza della propria azione od omissione, nel dolo eventuale l'agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenta la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria azione (da lui non volute perché si ricadrebbe nell'ipotesi del c.d. dolo intenzionale) e, nonostante ciò, agisca accettando il rischio di cagionarle, a differenza che per la colpa cosciente che sussiste allorché il soggetto agisca per un determinato fine pur rappresentandosi la possibilità che possa verificarsi un evento diverso e più grave, non soltanto da lui non voluto ma nella assoluta convinzione di poterne evitare l'accadimento; In tema di concorso di persone, l'istituto di cui all'art. 116 c.p. costituisce una particolare ipotesi di aberratio delicti, nel senso che il correo nolente viene chiamato a rispondere, a titolo di dolo, di reato diverso da quello voluto; mentre, però, con riferimento all'aberratio delicti, il delitto diverso viene commesso per errore nell'uso dei mezzi d'esecuzione del reato (o per altra causa), nella fattispecie del concorso anomalo il reato diverso è effettivamente voluto dall'autore materiale e la responsabilità a titolo di dolo nei riguardi del correo nolente si giustifica, rispetto a quella colposa prevista nella fattispecie di cui all'art. 83 c.p., per la maggiore pericolosità che presenta la forma di commissione plurisoggettiva del reato. Inoltre, ove il diverso reato sia commesso per errore, s'applicherà alla fattispecie concorsuale, il disposto di cui all'art. 83 c.p. a tutti i concorrenti che risponderanno dunque, a titolo di colpa, del diverso reato commesso se tale titolo di responsabilità sia previsto dalla norma che contempla il reato erroneamente commesso. Il caso
Il fatto da cui prende avvio la vicenda processuale è notorio e non richiede particolari sforzi descrittivi. Nel maggio 2015, un ventenne, Marco Vannini, rimane ferito a seguito di un colpo d'arma da fuoco mentre si trova presso l'abitazione della sua compagna. Il proiettile esploso per gioco dal padre della fidanzata trafigge il giovane in corrispondenza del braccio destro, sino ad attingere il lobo superiore del polmone destro e, sfortunatamente, il cuore. Nonostante Marco Vannini fosse evidentemente ferito, nessuno dei presenti in casa – quasi tutti appartenenti al nucleo familiare della fidanzata – chiama i soccorsi, se non in un secondo momento. Peraltro, sia al telefono che in occasione dell'arrivo sul posto dei sanitari del 118, vengono fornite false informazioni sulle cause del dolore manifestato dal giovane. Tali reticenze conducono i sanitari a trasportare il ragazzo presso il più vicino P.I.T. (presidio di pronto intervento), non riuscendo a cogliere l'effettiva dinamica dell'accaduto. Allorquando il padre della fidanzata, non senza indugio, racconta la reale successione degli eventi, i medici della struttura tentano un disperato elitrasporto in ospedale del paziente. Tuttavia, a fronte della gravità delle lesioni, il ritardo accumulato provoca la morte di Marco Vannini per anemia emorragica.
Il 18 aprile 2018 la Corte d'Assise di Roma, al termine del dibattimento, afferma la penale responsabilità di Antonio Ciontoli, ossia colui che ha materialmente esploso il colpo di pistola, in ordine ai reati di cui agli artt. 110 e 575 c.p., sotto il profilo del dolo eventuale; gli altri imputati, invece, vengono condannati per omicidio colposo in concorso. Per quanto riguarda la posizione di Antonio Ciontoli, i Giudici di primo grado ritengono colposa la prima fase della condotta consistita nell'avere esploso un colpo di arma da sparo, e dolosa la seconda fase, in termini di dolo eventuale (da intendersi, dopo il caso Thyssen-Krupp, come determinazione ad agire comunque, anche, eventualmente, a costo di cagionare l'evento dannoso). Il 29 gennaio 2019, in riforma della sentenza di primo grado, la Corte d'Assise di Appello di Roma derubrica l'originaria imputazione del principale imputato in omicidio colposo, con considerevole riduzione della pena inflitta. Nel dettaglio, la Corte di secondo grado ritiene che nel fatto omicidiario ascritto al Ciontoli sia ravvisabile la colpa cosciente, ossia la mera possibilità del verificarsi di un evento più grave (il decesso), nella convinzione che l'evento non si sarebbe verificato. A seguito di ricorso per Cassazione proposto da tutte le parti, la Suprema Corte, con sentenza del 7 febbraio 2020, annulla con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Assise d'Appello di Roma la sentenza, ai fini di procedere ad un nuovo giudizio in ordine all'elemento soggettivo in capo a tutte le parti che hanno preso parte all'omicidio di Marco Vannini, anche con riferimento alle già concesse attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis c.p. Secondo i Giudici di legittimità, infatti, le pronunce di merito hanno approfondito l'analisi dell'elemento soggettivo riferito ad Antonio Ciontoli, senza soffermarsi sufficientemente sul nesso di causalità tra la condotta tenuta dopo il ferimento colposo e la morte di Marco Vannini. La questione
La Corte di legittimità ha ben evidenziato che la tragica vicenda può essere scomposta in due fasi:
Con riguardo a quest'ultimo profilo, autorevole dottrina (SPINA) ha messo in luce le difficoltà interpretative. In particolare, si è posto il dubbio se il complesso delle condotte serbate dagli interessati sia normativamente ascrivibile ad un facere, con conseguente qualificazione di azione commissiva, ovvero ad un non facere e, quindi, rappresentino un'azione omissiva. Inoltre, nell'ipotesi in cui si opti per la prevalenza della componente omissiva, occorre domandarsi se sia configurabile una posizione di garanzia – con i risvolti di cui all'art. 40 c.p. – oppure se si ricada negli estremi dell'omissione di soccorso ex art. 593 c.p. Di qui, una volta affermata la ricorrenza dell'obbligo impeditivo ai sensi dell'art. 40 c.p., ci si deve domandare se la morte di Marco Vannini sia stata voluta con dolo eventuale dai familiari presenti (ossia gli individuati garanti), con conseguente loro responsabilità per omicidio volontario mediante omissione. Le questioni evidenziate sono fortemente interconnesse tra di loro. Si noti, in particolare, che il profilo attinente al dolo eventuale viene in luce solamente se si ritiene sussistente la posizione di garanzia in capo agli imputati. Diversamente, infatti, la morte sarebbe ascrivibile quale elemento della fattispecie di omissione di soccorso aggravata (art. 593, comma 3, c.p.) che, secondo i principi generali, può essere indifferentemente voluta o non. Ne consegue la pregiudizialità delle questioni riguardanti l'omissione e la posizione di garanzia rispetto a quella afferente al dolo eventuale. Le soluzioni giuridiche
In ordine alla sollevata pregiudizialità, occorre premettere che le sentenze della vicenda processuale in esame concordano nel ritenere che l'insieme degli atteggiamenti, per così dire “secondari”, degli imputati integrano un'omissione (identificata dalla Suprema Corte come omissione di una tempestiva sollecitazione di utili soccorsi). Ciò posto, la Corte d'Assise d'Appello di Roma, con la sentenza in commento, ripercorre gli approdi giurisprudenziali che chiariscono le modalità di imputazione causale dell'evento nell'ipotesi di condotte omissive. A tal riguardo, di particolare rilievo è la pronuncia delle Sezioni Unite n. 30328 resa il 10 luglio 2002, che, sancendo il superamento dell'alternativa tra certezza e probabilismo, ha statuito che il giudice del merito, per la ricostruzione del fatto, non può attingere a criteri di mera probabilità statistica; occorre infatti far riferimento alla probabilità logica che consente “la verifica aggiuntiva, sulla base dell'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell'accertamento giudiziale”. Di qui, il giudizio di certezza sul ruolo salvifico della condotta omessa deve essere effettuato ex post sulla base di tutte le circostanze conosciute e conoscibili dall'agente al momento del fatto. La sentenza, inoltre, corroborando un solido indirizzo giurisprudenziale, sostiene che le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche vengono superate attraverso l'analisi del “singolo comportamento storico”, della “singola situazione storica”, della “singola conseguenza storica”, che viene in rilievo nel caso di specie, quando l'apprezzamento conclusivo può esprimersi in termini di elevata probabilità logica (Cass. pen., sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786; Cass. pen., sez. IV, 6 dicembre 1990, n. 4793).
A questo punto, i Giudici del rinvio, nell'analizzare la condotta omissiva colposa addebitata alla famiglia Ciontoli, passano ad ipotizzare – controfattualmente – se l'evento lesivo si sarebbe potuto evitare “al di là di ogni ragionevole dubbio” attraverso la dovuta condotta. Il riferimento normativo di questo passaggio motivazionale è l'art. 192 c.p.p. in materia di prova indiziaria (il giudice non può desumere l'esistenza di un fatto da indizi “a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti”). Citando copiosa giurisprudenza, la pronuncia in commento sottolinea che si deve procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari che presentano una potenziale rilevanza probatoria rispetto al “thema probandum”, verificando che essi non contrastino tra di loro e con altri dati probatori “certi” e “di segno contrario”, così da poter trarre la conclusione che le circostanze indizianti convergono nella medesima direzione. Nella medesima prospettiva, la dottrina ha evidenziato che l'ipotesi sorretta da una pluralità di indizi concordanti può ragionevolmente essere posta a fondamento della decisione giudiziale quando è congruente rispetto ai fatti accertati ed è quindi, tra le ipotesi disponibili, l'unica capace di dare un senso alla successione fattuale che si propone per la ricostruzione della vicenda che forma oggetto dell'indagine.
Passando, poi, ad esaminare la questione dell'elemento soggettivo, la Corte d'Assise d'Appello recepisce la qualificazione del fatto di specie – operata dalla Suprema Corte – in termini di concorso in omicidio mediante omissione, rinvenendo una posizione di garanzia ex art. 40 c.p., in capo agli imputati presenti sul luogo del delitto in forza “di una assunzione de facto delle cure del ferito”. Di qui la necessità di approfondire l'elemento soggettivo degli interessati; analisi che costituisce il punto più criticato della sentenza in esame. Sul punto, si afferma che “mentre nel dolo intenzionale il soggetto agisce prevedendo e volendo l'evento come conseguenza della propria azione od omissione, nel dolo eventuale l'agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenta la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze della propria azione (da lui non volute perché si ricadrebbe nell'ipotesi del c.d. dolo intenzionale) e, nonostante ciò, agisca accettando il rischio di cagionarle, a differenza che per la colpa cosciente che sussiste allorchè il soggetto agisca per un determinato fine pur rappresentandosi la possibilità che possa verificarsi un evento diverso e più grave, non soltanto da lui non voluto ma nella assoluta convinzione di poterne evitare l'accadimento”. Tanto premesso, la Corte passa ad esaminare, per ognuno degli imputati, la rispondenza agli elementi individuati dalle Sezioni Unite – caso Espenhahn, sent. 24 aprile 2014, n. 38343 – per accertare la configurabilità del dolo eventuale. Al termine di questa rigorosa esposizione, viene quindi affermata la responsabilità di Antonio Ciontoli per il reato di omicidio volontario sotto il profilo del dolo eventuale in danno di Marco Vannini, con ciò confermando le motivazioni del giudice di prime cure. Diversamente dalla prima sentenza, tuttavia, la pronuncia in esame sostiene la responsabilità ex art. 116 c.p. anche degli altri imputati.
Il concorso anomalo disciplinato dall'art. 116 c.p., letto alla luce della sentenza Corte Costituzionale del 13 maggio 1965 n. 42, prevede la punibilità del concorrente per il fatto diverso rispetto a quello originariamente pattuito, anche se da lui non voluto, purchè costituisca uno sviluppo logicamente prevedibile del reato oggetto del programma criminoso. La Corte d'Assise d'Appello ricorda, così, che la responsabilità del concorrente per il fatto doloso del correo è “sostanzialmente colposa”, dal momento che richiede la mancanza di volontà relativa al fatto diverso e la prevedibilità della commissione dello stesso (da intendersi come violazione della norma cautelare insita nell'affidarsi all'altrui cooperazione illecita). Nello medesimo senso, si evidenzia che il concorso anomalo ex art. 116 c.p. è subordinato a due limitazioni negative:
Dopo aver ripercorso il contenuto e gli indirizzi interpretativi sottesi all'istituto di cui all'art. 116 c.p., i Giudici sostengono che, a differenza della posizione di Antonio Ciontoli – descritto come figura autoritaria, complice anche l'età e la mansione di militare in carriera nonché di addetto di sicurezza del servizio segreto –, il ruolo dei familiari concorrenti non consente di ravvisare, senza alcun ragionevole dubbio, l'elemento del dolo (eventuale) con riferimento alla morte del Vannini. Si sostiene, in particolare, che tali imputati, pur rendendosi conto della gravità della ferita inferta alla vittima e del peggioramento delle sue condizioni di salute, si siano prefigurati un evento meno grave rispetto a quello ravvisato ed accettato da Antonio Ciontoli, ossia quello delle lesioni gravi. Per questi motivi, in parziale riforma della sentenza della Corte d'Assise di Roma resa il 18 aprile 2018, i correi di Antonio Ciontoli sono stati condannati alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis c.p. Diversamente, è stata confermata la condanna dell'imputato principale alla pena detentiva di anni quattordici di reclusione. Osservazioni
La vicenda processuale in esame interroga l'interprete sul fondamento di alcuni capisaldi della materia penalistica. Com'è stato osservato, nozioni di frequente uso come condotta, azione, omissione, dovere di soccorso e obbligo di garanzia, dietro alla loro apparente affidabilità teorica si rivelano “strumenti di lavoro” dalle sfumature incerte e delicate (SPINA). Particolarmente interessante (e criticabile) si rivela la scelta della Suprema Corte di corroborare la configurabilità della posizione di garanzia, in termini di “stretta confidenzialità”, in capo al nucleo familiare della fidanzata di Marco Vannini. A tal proposito, si discorre di una sorta di contatto sociale qualificato (dato dalla parentela di fatto) che avrebbe ingenerato una puntuale aspettativa di protezione in capo alla vittima, sorta ben prima del ferimento ed avente ad oggetto ogni sorta di pericolo che avrebbe potuto generarsi all'interno dell'abitazione. In questa sede, non si può che fare rinvio ai numerosi commenti pubblicati in occasione del deposito delle motivazioni della Corte di Cassazione (rese con sentenza dello scorso 7 febbraio 2020), ai fini di approfondire la scelta dei Giudici del rinvio di far applicazione del concorso anomalo.
Innanzitutto, in relazione alla apparente attribuzione del diverso reato a titolo di responsabilità oggettiva (l'art. 116 c.p. testualmente richiede la sola causalità materiale: “... ne risponde, se l'evento è conseguenza della sua azione...”), va considerato che la sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 42 del 1965 ha riletto la disposizione in conformità al principio costituzionale di colpevolezza ritenendo, appunto, necessario un coefficiente di colpevolezza consistente nella rappresentazione che il reato diverso, pur se fuori dalla volontaria previsione ed accettazione, è comunque uno sviluppo logicamente prevedibile di quello programmato. Ponendosi in linea con tale premessa, uno dei principi di diritto eloquentemente statuiti dalla Corte d'Assise d'Appello evidenzia che il concorso anomalo costituisce una particolare ipotesi di aberratio delicti, nel senso che il correo nolente viene chiamato a rispondere, a titolo di dolo, di reato diverso da quello voluto. Anche la dottrina, a ben vedere, sottolinea che mentre nell'ipotesi descritta dall'art. 83 c.p. l'evento diverso realizzato deve essere il risultato di un errore nell'uso dei mezzi di esecuzione (errore-inabilità) oppure effetto di altra causa, nell'art. 116 c.p. esse deve essere voluto da taluno dei correi (FIANDACA). Inoltre, nell'aberratio delicti non è richiesta la prevedibilità dell'evento, elemento su cui si focalizza la riflessione dottrinale e giurisprudenziale a proposito del concorso anomalo. In questo senso, il più recente filone giurisprudenziale pretende, ai fini della sussistenza del concorso ex 116 c.p., la prevedibilità in concreto del reato diverso. In sostanza, ponendosi nella prospettiva dell'uomo medio, occorrerebbericostruire in concreto il programma criminoso pattuito e, di qui, verificare la possibilità di prevedere la deviazione delle modalità concordate verso la realizzazione del reato diverso (cfr. Cass. pen., sez. V, 10 febbraio 1998, n. 2998; Cass. pen., Sez. VI, 7 novembre 2000, n. 11417). Nel 2014, la Suprema Corte ha poi sancito che “si ha responsabilità a titolo di concorso anomalo di cui all'art. 116 c.p., qualora sussista la volontà di partecipare con altri alla realizzazione di un determinato evento criminoso ed allorchè l'evento diverso e più grave, pur costituendo il logico sviluppo del reato meno grave da lui voluto, secondo l'ordinario svolgersi e concatenarsi dei fatti umani, non sia stato da lui effettivamente previsto, al punto che, in ordine ad esso, non sia stato accettato il relativo rischio, posto che l'accettazione di tale ultimo rischio avrebbe comportato il concorso pieno, di cui all'art. 110 c.p.”. Così, l'accertamento della prevedibilità in concreto del reato diverso deve dare rilievo alla sua concreta rappresentabilità, alla personalità dell'imputato e alle circostanze ambientali nelle quali si è svolta l'azione, alle circostanze del caso, alle circostanze ed ad ogni altro profilo di fatto concreto.
Scendendo sul piano delle concretezze, la responsabilità ex art. 116 c.p. è stata affermata:
Diversamente, il concorso anomalo è stato negato nei casi in cui il reato diverso (e più grave) era del tutto fuori dalla prevedibilità:
Tanto premesso, la sentenza in commento realizza un'apprezzabile applicazione dei principi posti alla base del concorso anomalo, valorizzando il coefficiente di colpevolezza alla luce dagli insegnamenti della Corte Costituzionale. Quel che stride, semmai, è la premessa di tale approdo, ossia la configurabilità, in capo alla fidanzata e agli altri familiari “di fatto” del Vannini, della posizione di garanzia. I riferimenti civilistici richiamati dai Giudici di legittimità per rafforzare la posizione qualificata degli imputati non paiono coerenti nemmeno con il medesimo ordinamento civile. In questo senso, ad esempio, la familiarità di fatto – cui è inapplicabile l'art. 147 c.c. – non può certo costituire fonte di precostituiti obblighi di impeditivi in capo a soggetti che, quandanche fossero stati congiunti in senso tecnico, sarebbero comunque posti di fronte a naturali istanze di auto-responsabilità e auto-tutela proprie dell'interessato. Si badi che, per regole comunemente accettate (SGUBBI, FIANDACA), nelle ipotesi di delitti alla persona, la posizione di garanzia si esprime prima che si manifesti il tragico decorso della malattia. Assumere, come è stato fatto nel caso di specie, che la posizione di garanzia è insorta in conseguenza alla lesione, significa ipotizzare un obbligo discendente da assunzione volontaria. Nondimeno, il figurato accordo, secondo il diritto privato, sarebbe senz'altro rescindibile se non addirittura annullabile o nullo per l'indisponibilità del bene negoziato o per immeritevolezza o illiceità della causa o, ancora, dell'oggetto (dal momento che Vannini avrebbe disposto della propria integrità psico-fisica in violazione del disposto di cui all'art. 5 c.c.). Quel che emerge dal caso Vannini, quindi, è un'esasperazione dei doveri di solidarietà (art. 2 Cost.) che, anche al costo di sacrificare il principio di legalità – che avrebbe richiesto di inquadrare la fattispecie attorno all'obbligo di soccorso anziché a quello di garanzia –, hanno determinato l'urgenza sociale di punire in modo esemplare il comportamento di chi privilegia le aspirazioni lavorative di un uomo rispetto alla giovane vita di un ragazzo, ferito letalmente per errore, e lasciato morire per cautelarsi.
SPINA, Il caso Vannini. Brevi note su azione, omissione e obblighi di garanzia, in Archivio penale, fasc. 3, 16 ottobre 2020; FRAGASSO, La Cassazione sul caso Vannini: i rapporti tra omicidio mediante omissione e omissione aggravata dall'evento morte in un noto caso di cronaca, in Sist. Pen., 23 aprile 2020. |