Le Sezioni unite ammettono la confisca allargata per i delitti tentati aggravati da metodo mafioso
06 Novembre 2018
Massima
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, previsto dall'art. 12-sexies l. 356/1992 (ora art. 240-bis c.p.), può essere disposto per uno dei reati presupposto, commesso anche nella forma del tentativo aggravato dall'art. 7 l. 203/1991 (ora art. 416-bis.1 c.p.). Il caso
Il Gip del tribunale di Napoli aveva disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca ai sensi dell'art. 12-sexies del d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla l. 356/1992 (ora art. 240-bisc.p.),di beni mobili e immobili appartenenti a due coniugi, in relazione al delitto di tentata estorsione, aggravato dall'art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con la l.203/1991 (ora art. 416-bis.1 c.p.). Il tribunale di Napoli, in accoglimento parziale della richiesta di riesame, presentata dai predetti coniugi, aveva disposto la restituzione di tutti i beni da essi acquisiti nel periodo 1997-2015, sul rilievo della mancata dimostrazione della sproporzione tra il valore dei beni sequestrati e la loro capacità reddituale, mentre aveva mantenuto il sequestro rispetto a una quota della proprietà di un'imbarcazione, acquistata dal marito, nonché al saldo di conto corrente, intestato alla consorte, avendo ritenuto gli acquisti, effettuati nel 2016, non giustificabili alla luce del reddito complessivo della famiglia dell'indagato. Avverso quest'ultima ordinanza i difensori della coppia hanno proposto ricorsi per cassazione, deducendo come primo motivo, comune a entrambi i ricorsi, l'erronea applicazione della legge penale nonché la mancanza di motivazione in ordine all'applicazione del sequestro preventivo, in funzione dell'art. 12-sexies cit., con riferimento all'ipotesi del delitto di tentata estorsione, aggravata ai sensi dell'art. 7 l. 203/1991. Ad avviso dei ricorrenti, l'autonomia strutturale del delitto tentato, derivante dalla combinazione tra la norma di parte speciale e l'art. 56 c.p., non consentirebbe di estendere ad esso le conseguenze sfavorevoli previste dalla legge per un reato consumato. La seconda Sezione penale, con ordinanza del 9 gennaio 2018, ha rimesso i ricorsi alle Sezioni unite, prospettando l'esistenza, sulla questione oggetto del primo motivo, di tre contrastanti orientamenti e sottolineando l'opportunità di fare riferimento anche al quadro normativo ridefinito dal d.l. 148/2017, conv. nella l. 161 del 2017, pur non essendo il caso in esame interessato ratione temporis dalle recenti modifiche (trattandosi di sequestro preventivo disposto con decreto del 26 giugno 2017). Secondo la Sezione rimettente, il legislatore della novella, nel riscrivere integralmente il comma 1 dell'art. 12-sexies cit. (richiamando i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e collocando in elenco progressivo i delitti non indicati nell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., presenti precedentemente, oltre che nel comma 1, nei commi 2 e 2-quater d.l. 306/1992, che sono stati conseguentemente abrogati), pur non effettuando alcuna espressa menzione dell'ipotesi del tentativo, avrebbe tuttavia indifferentemente richiamato tutti i delitti, consumati o tentati, riconducibili alla previsione di cui all'art. 51, comma 3-bis c.p.p., e, dopo l'elencazione singulatim dei delitti già presenti, avrebbe fatto riferimento generico alla categoria dei delitti aggravati dall'art. 7 d.l.152/1991, con ciò, quindi, apparendo recepire l'opzione ermeneutica, valorizzata dall'orientamento estensivo. La questione
La questione di diritto, per la quale i ricorsi sono stati rimessi alle Sezioni unite, concerne, dunque, la possibilità di disporre – sulla base delle disposizioni normative vigenti prima della legge di riforma del codice antimafia (l. 17 ottobre 2017, n. 161 e l. 4 dicembre 2017, n. 172) – il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-sexiesd.l. 8 giugno 1992, n. 306, nel caso in cui i reati contemplati dalla predetta norma, e in particolare quello di estorsione, siano commessi nella forma del tentativo, aggravato dall'art. 7 d.l.152/1991, conv. con la l. 203/1991.
Le soluzioni giuridiche
Con la sentenza n. 40985 del 19 aprile 2018 le Sezioni unite hanno risolto il contrasto, affermando che «il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, previsto dall'art. 12-sexies decreto legge 8 giugno 1992 n. 306, convertito dalla legge 356 del 1992 (attuale art. 240-bisc.p.), può essere disposto per uno dei reati presupposto anche nella forma del tentativo aggravato dall'art. 7 legge 203 del 1991». Il Supremo Consesso ha così ritenuto corretta la soluzione che si colloca in una posizione intermedia rispetto alle altre due, del tutto contrapposte. Difatti, un orientamento, espresso in alcune sentenze della Seconda e della Quinta Sezione penale (Cass. pen., Sez. II, n. 36001/2010, Fasano; Cass. pen., Sez. V, n. 38988/2013, P.M. in proc. Musolino; Cass. pen., Cass. pen., Sez. V, n. 2164/2013, Sannino e altro), negava la possibilità di disporre la confisca “allargata” dei beni in relazione al delitto di tentata estorsione, anche se aggravato dall'art. 7 l. 203/1991, in ragione del fatto che l'art. 12-sexies cit.prevederebbe espressamente i soli delitti consumati, con conseguente esclusione di quelli tentati, che costituiscono fattispecie autonome. Di contro, un altro orientamento, formulato in alcune sentenze della Prima Sezione penale (Cass. pen., n. 22154/2005, Secchiano; Cass. pen., n. 27189/2013, Guarnieri), affermava che la confisca di cui all'art. 12-sexies poteva essere disposta anche in conseguenza di una condanna per estorsione tentata, poiché il richiamo contenuto nell'art. 12-sexies al delitto previsto dall'art. 629 c.p. in mancanza di ulteriori specificazioni, non autorizzerebbe alcuna distinzione fra la fattispecie consumata e quella tentata. Le due richiamate soluzioni, oltre che sull'antitetica interpretazione del dato costituito dall'omessa espressa menzione, nell'art. 12-sexies, dei delitti tentati, facevano leva anche su considerazioni ulteriori: la prima poneva l'accento sull'inammissibilità dell'interpretazione in malam partem in un ambito governato dai principi di legalità e tassatività nonché dalla tutela costituzionale e convenzionale del diritto di proprietà; la seconda richiamava la finalità della confisca allargata, non collegata al provento o al profitto del reato contestato ma ai beni di cui il condannato non può giustificare la provenienza, indipendentemente dalla loro fonte. L'orientamento intermedio, invece, espresso da alcune pronunce della Prima Sezione penale (Cass. pen., n. 45172/2016, Masullo; Cass. pen., n. 45173/2016, Brito; Cass. pen., n. 45174/2016, Palladino), proponeva una soluzione differenziata a seconda che venisse in considerazione il primo o il secondo comma dell'art. 12-sexies, che hanno una differente formulazione. Quest'ultimo orientamento, quindi, ammetteva l'applicazione della confisca allargata anche in conseguenza di una condanna per tentata estorsione, purché aggravata dall'art. 7 d.l. 152/1991, atteso che il generico riferimento, contenuto nel secondo comma dell'art. 12-sexies, ai delitti aggravati ex art. 7 (agevolazione o metodo mafioso), indipendentemente dallo specifico titolo di reato, era ritenuto chiaramente comprensivo di ogni delitto in tal guisa aggravato, consumato o tentato che sia. Di contro, il primo comma dell'art. 12-sexies, indicando nominativamente i singoli delitti, farebbe riferimento ai soli delitti consumati, dovendosi ritenere che gli effetti sfavorevoli, previsti con specifico richiamo a determinate norme incriminatrici, siano riferiti alla sola ipotesi di reato consumato e non anche al tentativo, in quanto le norme sfavorevoli sono di stretta interpretazione e non possono estendersi, salvo espressa previsione normativa, anche al delitto tentato. A quest'ultimo orientamento hanno aderito le Sezioni Unite, le quali hanno innanzitutto ricordato che anche in altri ambiti (amnistia ed indulto; cause di non punibilità ex art. 649, ult. comma, c.p.; art. 4-bis l. 354/1975 in tema di benefici penitenziari; art. 303, comma 1, lett. a), n. 3 e lett. b), n. 3-bis, c.p.p. in materia di termini di durata massima della custodia cautelare) la giurisprudenza –a fronte dell'analoga formulazione delle norme, che accosta elenchi nominativi di delitti all'indicazione di categorie di delitti – ha optato per un'interpretazione delle stesse comprensiva del delitto tentato e ciò solo quando l'indicazione dei delitti è generica (non anche, quindi, in presenza di un'elencazione specifica e nominativa dei delitti). Il medesimo Consesso ha di seguito rimarcato che l'argomento della natura autonoma del delitto tentato, «centrale e risolutivo»,era stato ignorato dal secondo orientamento, che, nel ritenere sempre applicabile la confisca allargata ai delitti tentati, non aveva dato rilievo al fatto che l'art. 12-sexies, primo comma, nell'indicare specificamente alcuni reati, «omette di menzionare delitti certamente esistenti, vale a dire i delitti tentati»mentrenon era stato applicato fino in fondo dal primo orientamento, che aveva trascurato che la parola delitto, contenuta nel secondo comma dell'art. 12-sexies senza ulteriore specificazione, è comprensiva anche dei delitti tentati. Secondo le Sezioni unite, «se il delitto tentato rappresenta una fattispecie criminosa autonoma, risultante dalla combinazione di una norma principale – la norma incriminatrice – e di una norma secondaria, prevista dall'art. 56 c.p., allora è corretto sostenere che il Legislatore, quando menziona, ad es., il delitto previsto dall'art. 314 c.p., intenda riferirsi al solo delitto consumato ma non è altrettanto corretto ritenere che, quando viene evocato un delitto commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, il riferimento non sia fatto anche ai delitti tentati… L'insieme descritto dall'art. 12-sexies, comma 2,d.l. 306 del 1992 comprende gli elementi aventi due caratteristiche: a) la natura di delitto; b) l'essere esso stato commesso avvalendosi delle condizioni… etc.; ebbene, i delitti tentati aggravati ai sensi dell'art. 7 d.l. 152/1991 le possiedono entrambe». L'orientamento intermedio, invece, nel rimarcare che la diversa formulazione della norma impone la differente soluzione per i delitti previsti dai due commi della norma, fa una corretta interpretazione del principio dell'autonomia del delitto tentato, attribuendo, al contempo, alla legge il senso fatto palese dal significato proprio delle parole, atteso che il generico riferimento, contenuto nel secondo comma dell'art. 12-sexies, ai delitti aggravati ex art. 7 (agevolazione o metodo mafioso), è da ritenersi chiaramente comprensivo di ogni delitto in tal guisa aggravato, consumato o tentato. Esso, inoltre, oltre a rispettare i principi di legalità e tassatività e a mantenere inalterata la caratteristica tipica della confisca allargata, ossia il mancato collegamento tra i beni confiscati e il provento o il profitto del reato, risponde anche a criteri di ragionevolezza: «In effetti, se è ragionevole ritenere che il singolo delitto tentato non aggravato dalle modalità o dalle finalità mafiose non costituisca una spia significativa di una complessa attività illecita che produce un illecito arricchimento, altrettanto non può dirsi per i delitti tentati aggravati ai sensi dell'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, che evocano collegamenti con la criminalità organizzata, anche se non portati a compimento». Questi ultimi delitti, inoltre,appartengono al nucleo dei delitti spia in considerazione dei quali è stato creato l'istituto della confisca allargata, la cui funzione “originaria” era proprio quella di permettere, nei processi per reati di criminalità organizzata o a questi collegati, dinanzi ad una situazione di evidente sproporzione tra beni e reddito, di aggredire i patrimoni illecitamente costituiti. La soluzione adottata, secondo le Sezioni unite, appare corretta anche alla luce della normativa sopravvenuta. L'art. 240-bis c.p. non contiene alcun riferimento a reati consumati e a delitti tentati. L'indicazione dei delitti, che in caso di condanna impongono la confisca, è nominativa, con l'eccezione di quelli commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale nonché di quelli previsti dall'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale; norma quest'ultima che, oltre ad indicare nominativamente specifici delitti, menziona quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, vale a dire quelli aggravati ai sensi dell'art. 416-bis c.p. (già art. 7 d.l. 152/1991). Tuttavia, la presenza nell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. della dizione delitti consumati o tentatinon è decisiva al fine di giungere a conclusione diversa da quella adottata, ossia per sostenere che, avendo il Legislatore specificato, per i delitti indicati nominativamente, che nell'elenco sono compresi anche i delitti tentati, abbia voluto per gli altri delitti, non compresi nell'elenco, riferirsi soltanto a quelli consumati. Secondo le Sezioni unite, infatti, la differente formulazione è conseguenza della natura processuale della norma richiamata e «non pare possa trarsi un argomento per interpretare diversamente una norma dalla lettera di altre norme dettate per finalità differenti». Osservazioni
La sentenza in commento merita piena condivisione. Come già osservato in una precedente nota del 30 marzo 2018 (v. PACILLI, Sequestro preventivo finalizzato alla confisca “allargata” e tentata estorsione) nessun ostacolo si rinviene nel dato letterale dell'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, al fine di ricomprendere nella sua orbita anche i delitti tentati aggravati dall'art. 7 d.l.n. 152/1991. Il secondo comma dell'art. 12-sexies (nella formulazione vigente prima della riforma del codice antimafia ed applicabile al caso all'esame delle Sezioni unite), infatti, recita testualmente che le disposizioni del comma uno si applicano anche nei casi di condanna«per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale, ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo»e, quindi, in sostanza nell'ipotesi di delitto aggravato ai sensi dell'articolo 7 d.l.13 maggio 1991, n. 152. Il richiamo, contenuto nella norma, al delitto, anziché a reati specificamente indicati mediante l'elencazione degli articoli di legge che li prevedono, consente di ricomprendere anche i delitti tentati, come pacificamente osservato nella giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. II, 14 dicembre 1998, n. 7441: orientamento consolidato), che ha precisato che solo nel caso in cui una disposizione ricolleghi determinati effetti giuridici sfavorevoli alla commissione di reati specificamente indicati mediante l'elencazione degli articoli di legge che li prevedono, senza ulteriori specificazioni, dovrà ritenersi che i menzionati effetti si producano esclusivamente per le fattispecie consumate e non anche per quelle tentate, in virtù del divieto di analogia in malam partem. Il riconoscimento della possibilità di disporre la confisca “allargata” anche nel caso di condanna per i delitti tentati aggravati ai sensi dell'art. 7 d.l. 152 del 1991 (ora art. 240-bis c.p.) non trova inoltre un ostacolo nemmeno nella finalità dell'istituto, del quale, anzi, come osservato dalle Sezioni unite, «recupera la funzione originaria». È noto, infatti, che la confisca allargata è stata introdotta in seguito ai gravissimi episodi criminali del 1992 (seppure inserita nel corpo del citato d.l. 306/1992 in forza del d.l. 399/1994, convertito con modificazioni nella l. 501/1994, a seguito dell'intervento della Corte cost. n. 48/1994) ed era diretta ad offrire un efficace strumento per il contrasto alla criminalità organizzata. L'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, come evidenziato nella sentenza delle Sezioni unite n. 920 del 17 dicembre 2003 (Montella), «è espressione di una scelta di politica criminale del legislatore, operata con l'individuare delitti particolarmente allarmanti, idonei a creare un'accumulazione economica, a sua volta possibile strumento di ulteriori delitti, e quindi col trarne una presunzione, iuris tantum, di origine illecita del patrimonio “sproporzionato” a disposizione del condannato per tali delitti»: presunzione (solo relativa, potendo il condannato vincerla, giustificando la provenienza dei beni) ritenuta non irragionevole dal giudice delle leggi (v. ordinanza n. 18 del 1996). L'introduzione della misura ablatoria de qua – oggetto poi nel tempo di modifiche legislative relative soprattutto al novero dei reati presupposti (non sempre in verità legati da un nesso di coerenza, se si consideri, ad es., che l'innesto dei reati di terrorismo, dovuto alla l. 45/2002, risponde alla finalità di colpire i beni “mezzo” e non “fine” dell'attività delittuosa) – nel disegno originario del legislatore trovava, dunque, la sua ragione nella volontà di colpire le illecite accumulazioni di ricchezza da parte della criminalità organizzata: fenomeno particolarmente allarmante, a fronte tanto del possibile reimpiego delle risorse per il finanziamento di ulteriori attività illecite, quanto del loro investimento nel sistema economico legale, con effetti distorsivi del funzionamento del mercato. Di qui, dunque, la tendenza, diffusa anche in plurimi altri Stati, a introdurre speciali tipologie di confisca, caratterizzate sia dall'allentamento del rapporto di pertinenzialità tra l'oggetto dell'ablazione e il singolo reato sia da un affievolimento degli oneri probatori dell'accusa. A fronte di tale rilievo non può quindi sottacersi che i delitti aggravati dall'art. 7 d.l. 152/1991, pur se non portati a compimento, sono considerati tipici della criminalità organizzata (e mafiosa in particolare) e costituiscono anch'essi una spia significativa di una complessa attività illecita che produce un illecito arricchimento. Essi, inoltre,come evidenziato nell'ordinanza di rimessione, costituiscono«una forma di reato comunque allarmante e indice di una capacità criminale, che pur arrestandosi prima della consumazione, può ritenersi connotata da disvalore analogo o addirittura superiore rispetto a taluni reati consumati, cui è collegata la confisca, come desumibile dal trattamento sanzionatorio ad essi riservato». Non vi è dubbio allora che, come già osservato (v. in questo sito la nota richiamata) «al cospetto di siffatti delitti sussiste immutata quella primigenia esigenza che ha portato il Legislatore del ‘94 ad introdurre la misura ablatoria de qua quale efficace strumento di contrasto patrimoniale alla criminalità». L'inclusione, nella previsione dell'art. 12-sexies d.l.8 giugno 1992, n. 306, dei tentati delitti aggravati dall'art. 7 d.l.152/1991 non si scontra nemmeno con l'esigenza che – a fronte del progressivo processo di accrescimento della compagine dei reati cui è correlata la misura ablativa speciale - ha portato la Corte costituzionale, nella recentissima pronuncia n. 33 del 2018, a non astenersi dal formulare l'auspicio che la selezione dei “delitti matrice” da parte del legislatore avvenga individuando «tipologie e modalità di fatti in sé sintomatiche di un illecito arricchimento del loro autore, che trascenda la singola vicenda giudizialmente accertata, così da poter veramente annettere il patrimonio “sproporzionato” e “ingiustificato”, di cui l'agente dispone, ad un'ulteriore attività criminosa rimasta “sommersa”». I delitti tentati, aggravati dall'art. 7 d.l. 152/1991, costituiscono fattispecie criminose perpetrate in forma professionale e si collocano in una cornice criminale istituzionalmente dedita al lucro economico, così da porsi quali spia di un'illecita accumulazione di ricchezza, che trascende la singola vicenda giudizialmente accertata, e da integrare appieno il modello di fattispecie criminose che, anche secondo l'insegnamento della Consulta, vale a fondare la presunzione di un'illecita accumulazione economica da parte del condannato. |