Amministrazione dei beni sequestrati e tutela dei terzi: incertezze sulla competenza a decidere sull'impugnazione dei provvedimenti del giudice delegato
29 Luglio 2020
Massima
L'opposizione proposta avverso i provvedimenti di rigetto dell'istanza di ammissione dei crediti, sorti prima del sequestro, allo stato passivo emessi dal GIP, nella veste di giudice delegato, qualificandosi come vera e propria impugnazione, deve essere proposta innanzi al Tribunale del Riesame Reale, come organo collegiale, non trovando applicazione la disciplina dell'incidente di esecuzione prevista dall'art. 667, comma 4, codice di rito penale. Il caso
La vicenda che giunge al vaglio della II Sezione della Cassazione è la seguente. Il GIP presso il Tribunale di Napoli ha respinto il ricorso in opposizione, ex art. 667, comma 4, c.p.p., allo stato passivo presentato da una SPA, quale mandataria nell'interesse di altra società di capitali, cessionaria del credito originariamente concesso da un importante istituto di credito italiano in favore di una società per azioni, il cui capitale è stato interamente sottoposto a confisca nell'ambito di un processo penale relativo ai reati di reimpiego di proventi derivanti da un'organizzazione camorristica. Nel respingere la detta opposizione, dopo avere riportato per esteso tutti i capi d'imputazione oggetto del giudizio di cognizione, all'esito del quale era stata disposta, in primo grado, la confisca dei beni della SPA di derivazione camorristica, ha ritenuto sussistenti i due presupposti della strumentalità del credito riguardo ai reati di riciclaggio contestati e dell'assenza di buona fede del terzo creditore. Avverso il detto provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione il procuratore speciale della società cessionaria del credito, deducendo non solo plurime violazioni dell'art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011, sia in relazione al requisito della strumentalità del credito sia in relazione al concetto di buona fede, ma anche vizio di motivazione ovvero omessa motivazione su specifiche deduzioni difensive articolate nel corso dell'istruttoria svoltasi innanzi al GIP impugnato. Ciò posto, la Cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento per carenza di motivazione sia in merito alla strumentalità del credito sia in merito alla buona fede dell'istituto finanziatore e del cessionario. Dalla decisione di annullamento con rinvio la Corte ha fatto discendere, quale conseguenza ulteriore (sebbene non eccepita dal ricorrente), l'individuazione del Tribunale del Riesame Reale quale giudice competente in ordine all'impugnazione dei provvedimenti emessi dal GIP, nella veste di giudice delegato, in linea con i principi già espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 48126 del 20 luglio 2017 in ordine all'impugnazione del terzo avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di restituzione in ipotesi di confisca non definitiva. La questione
La questione innovativa involge il tema del giudice competente in relazione all'impugnazione dei provvedimenti del giudice delegato.
Sebbene il ricorrente non abbia dedotto censure in ordine alla competenza del GIP a decidere in sede di opposizione, la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha stabilito che l'opposizione che il creditore escluso può proporre – entro trenta giorni dalla comunicazione della esecutività del decreto di formazione dello stato passivo emesso dal GIP nella qualità di giudice delegato – vada qualificata come una vera e propria impugnazione da proporsi nelle forme e nei termini di cui all'art. 59, comma 6, innanzi al Tribunale del Riesame, quale organo collegiale, non trovando applicazione lo strumento dell'incidente di esecuzione previsto dall'art. 667 c.p.p., comma 4, il quale ultimo, secondo l'orientamento maggioritario, non è mezzo di impugnazione e si propone dinanzi al medesimo giudice che ha emesso il provvedimento inaudita altera parte, per rendere possibile, ex post, il contraddittorio con la parte interessata. Le soluzioni giuridiche
La II Sezione della Corte di Cassazione – con la sentenza annotata - ha chiarito che le questioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati, nonché quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione dei sequestri rientranti nell'alveo dell'art. 104-bis disp. att. c.p.p., sono regolate dalle norme previste dal codice antimafia, stante l'esplicito richiamo al predetto codice operato dal comma 1-quater dell'art. 104-bis, disp. att. c.p.p. Ai fini presenti occorre rilevare che la sentenza che si annota opera un (improprio) richiamo ai principi espressi dalle Sezioni Unite Muscari del 2017, le quali avevano stabilito che, in tema di misure cautelari reali, il terzo rimasto estraneo al processo, formalmente titolare di diritti reali sul bene in sequestro, di cui sia stata disposta con sentenza la confisca, può chiedere al giudice della cognizione, prima che la pronuncia sia divenuta irrevocabile, la restituzione del bene e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al Tribunale del Riesame, precisando, in motivazione che, qualora fosse stata erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione (nelle forme di cui all'art. 667, comma 4, c.p.p.) questa andava qualificata come appello e trasmessa al Tribunale del riesame. Osservazioni
La II Sezione della Cassazione – con la sentenza in commento – avrebbe dovuto spingere più in profondità il discorso, annullando ex officio per incompetenza funzionale del giudice che si è pronunziato sulla opposizione del creditore non ammesso, essendosi perfezionata una nullità assoluta del provvedimento (si veda, sul punto, l'autorevole precedente della Cassazione, Sez. I, sent. nr. 8329/2020, del 2 marzo 2020). Occorre, infatti, chiarire quale sia la radice normativa che deve essere posta come riferimento in ordine alle conclusioni cui si è appena pervenuti. E, per far ciò, bisogna partire dal dato fenomenico esaminato dalla Corte di Cassazione con la sentenza che si annota: la decisione in sede di opposizione alla formazione dello stato passivo (d.lgs. n. 159 del 2011, art. 59) è stata, nel caso in esame, emessa dal medesimo giudice (Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli) che aveva emesso il provvedimento, contrariamente alle vigenti disposizioni (comprensive delle modifiche apportate con l. n. 161 del 2017) che attribuiscono al Tribunale collegiale la competenza a decidere sulla opposizione. La prova è data da una lettura cursoria dell'art. art. 59 il quale, al comma 6, stabilisce: “Entro trenta giorni dalla comunicazione di cui al comma 3, i creditori esclusi possono proporre opposizione mediante ricorso al tribunale che ha applicato la misura di prevenzione. Ciascun creditore può impugnare nello stesso termine e con le stesse modalità i crediti ammessi, ivi compresi quelli di cui all'art. 54-bis”; al comma 7 dispone che “il tribunale tratta in modo congiunto le opposizioni e le impugnazioni fissando un'apposita udienza in camera di consiglio, della quale l'amministratore giudiziario dà comunicazione agli interessati”; al comma 9 sancisce che “all'esito il tribunale decide con decreto ricorribile per cassazione nel termine di trenta giorni dalla sua notificazione (...). Ciò posto, è dunque del tutto evidente che, nell'ambito di un sistema procedimentale come quello della prevenzione - che conosce la figura del giudice delegato quale titolare di poteri giurisdizionali autonomi – laddove il legislatore si limiti ad indicare il Tribunale, realizza un preciso riferimento all'organo collegiale. Tale attribuzione, peraltro, va ritenuta inderogabile proprio in funzione della particolare natura del mezzo di critica che, pur non essendo del tutto assimilabile a una impugnazione in senso proprio (sul tema v. anche Sez. I, sent. nr. 12172/2019, n.m.), ne assimila la maggior parte delle caratteristiche, trattandosi di manifestazione di dissenso ad una prima decisione, altrimenti vincolante. Ma, al di là del nomen iuris adoperato dal legislatore della riforma delle misure di prevenzione, già significativo (ricorso al Tribunale), è indubbio che trattasi della manifestazione di un dissenso argomentato nei confronti del primo provvedimento (diniego di tutela della posizione prospettata come creditoria) che trasferisce la potestà decisoria ad un organo giudicante diverso (pur se composto anche dal giudice delegato): il che esclude - quantomeno nelle ipotesi di applicazione della disposizione di legge nella sua sede tipica delle misure di prevenzione - che la decisione sulla opposizione possa essere adottata dal medesimo giudice (il giudice delegato) che ha emesso il provvedimento contestato. In altre parole, l'esistenza di un modello legale tipizzato - e contenente le precise indicazioni lessicali di cui sopra - esclude che possa ritenersi applicabile il (diverso) modello legale della fase dell'esecuzione penale ed in particolare quello delineato dall'art. 667 c.p.p., comma 4, (modello nel cui ambito ad un prima decisione de plano segue una fase eventuale in contraddittorio chiamata opposizione, espressamente affidata al medesimo giudice). In conclusione, nel caso della esclusione di una posizione creditoria vi è una immediata incidenza su una posizione giuridica di (prospettato) diritto soggettivo, il che giustifica - in termini sistematici – l'attribuzione del potere di rivalutazione in via esclusiva ad un organo diverso che – nell'orditura normativa del codice antimafia – viene individuato nel Tribunale collegiale. E allora, rebus sic stantibus, l'incompetenza funzionale del GIP diventa di palmare evidenza. Va rilevato, però, per proseguire nell'intrapreso raffronto, che la decisione in commento presenta carattere di novità ed è in contrasto con alcuni arresti antecedenti, sia pure non incentrati sul punto specifico, al netto dell'operato riferimento da parte della sentenza che si annota al caso analogo deciso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 48126 del 2017 (relativa alle modalità di impugnazione del diniego alla restituzione del bene su domanda del terzo titolare di diritto reale). In alcune decisioni la Cassazione ha, sul tema, percorso un diverso crinale. Sotto tale profilo vanno richiamate alcune sentenze di Cass. pen., Sez. I n. 4691 del 2020 ric. Francia (rv 278189), che ha annullato una decisione che era stata emessa – in ambito penale e su opposizione del creditore escluso ex art. 59 codice antimafia – dal GIP che aveva elaborato lo stato passivo (nel caso esaminato, il rinvio è stato fatto al medesimo GIP), nonché Cass., Sez. V, n. 411 del 2020, rv 278300, la quale ultima ha trattato un caso in cui il Tribunale di Bologna aveva escluso il credito, prima, e ritenuto di qualificare la opposizione proposta dal creditore come ricorso per cassazione (in questo caso, la V Sezione ha ritenuto applicabile la previsione di legge di cui all'art. 59 comma 6 d.lgs. n.159 del 2011, restituendo gli atti al Tribunale della cognizione, non al Tribunale del Riesame). Ora, se attraverso il prisma del contrasto giurisprudenziale evidenziato, si mette correttamente a fuoco il tema della individuazione del giudice competente - in sede penale - a trattare le opposizioni dei creditori non ammessi allo stato passivo (la disposizione di cui all'art. 59, dettata per la prevenzione, attribuisce al giudice delegato il compito di formare lo stato passivo ed al Tribunale -che ha applicato la misura - la competenza a decidere sulle opposizioni, vedi tra le altre Sez. I n. 8329/2020), è possibile concordare sulla valenza distonica delle conclusioni cui è pervenuta la II Sezione della Cassazione sul punto. Infatti, se da un lato è giusto operare, anche in ambito penale, una scissione tra giudice che ‘forma' lo stato passivo (tendenzialmente il GIP ai sensi dell'art. 104bis co.1ter) e giudice che decide sulla opposizione (atto avente natura di impugnazione, sia pure sui generis) del creditore escluso, dall'altro non è condivisibile l'attribuzione della competenza al Tribunale del Riesame reale (come risulta dalla decisione della II sezione qui esaminata), posto che, le Sezioni Unite Muscari del 2017, hanno espresso il suo principio di diritto in relazione a domande di restituzione del bene oggetto di confisca proposte da parte del titolare di un diritto reale, mentre qui – con la sentenza che si annota - viene in gioco una situazione soggettiva diversa, il diritto di credito (anche se assistito da diritto reale di garanzia). E non è una differenza di poco momento, atteso che il diritto reale è caratterizzato da assolutezza, potendo essere fatto valere erga omnes, a differenza del diritto di credito, che può essere esercitato esclusivamente nei confronti del soggetto passivo del rapporto obbligatorio. Ma l'opinione in esame è favorita dalla riconosciuta unitarietà concettuale del modello legale dettato per l'intero sistema delle misure di prevenzione, che – indiscutibilmente – fa riferimento al “Tribunale che ha applicato la misura” come organo che decide sulle opposizioni e ciò in quanto la legge prescrive che la decisione sulla posizione del creditore escluso venga presa dal giudice che ha ‘trattato' il procedimento: dunque, dal Tribunale di primo grado della fase della cognizione. Ovviamente, se la decisione di primo grado è stata emessa in abbreviato, il giudice “diverso” competente a decidere sull'opposizione dovrebbe essere individuato nel Giudice dell'udienza preliminare. Se ci si muove, invece, nella prospettiva inversa, individuando, cioè, nel Tribunale del Riesame reale l'organo che decide sulle opposizioni, si opererebbe un'indebita equiparazione tra diritti reali e diritti di credito che le Sezioni Unite Muscari del 2017 avevano tenuto ben distinti e si uscirebbe fuori dal perimetro tracciato dall'art. 104-bis, disp. att. al c.p.p, comma 1-quinquies, che recita: «Nel processo di cognizione devono essere citati i terzi titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in stato di sequestro, di cui l'imputato risulti avere la disponibilità a qualsiasi titolo»; disposizione che non fa menzione del diritto di credito. Aspettiamo, sul punto, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. |