Bancarotta per distrazione e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: un caso di concorso apparente di norme e “duplicazione” delle cautele reali
23 Aprile 2020
Massima
In caso di concorso dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, la circostanza che siano stati precedentemente sottoposti a sequestro preventivo (finalizzato alla confisca diretta) i beni oggetto della condotta distrattiva, non impedisce che siano sottoposti a sequestro per equivalente i beni degli amministratori della società, che abbiano agito per nome e per conto di quest'ultima, nemmeno qualora il valore dei beni già sequestrati sia idoneo a soddisfare il debito fiscale. Il caso
Il Tribunale di Roma aveva respinto la richiesta di riesame presentata dagli indagati avverso l'ordinanza del Gip del Tribunale di Tivoli, con cui, ritenendo sussistenti indizi della realizzazione dei reati di bancarotta fraudolenta e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, era stato disposto il sequestro diretto dei beni trasferiti dalla società gestita dagli indagati ad altro ente, nonché il sequestro per equivalente dei beni dei ricorrenti – amministratori della società medesima - in relazione al reato di cui all'art. 11 d.lgs. 74/2000. Avverso il rigetto del riesame, gli indagati presentavano ricorso per Cassazione, sollevando i seguenti motivi di doglianza. Le questioni giuridiche
Con il primo motivo, gli indagati si dolevano dell'insussistenza del requisito necessario ai fini dell'applicazione del sequestro per equivalente, costituito dall'impossibilità di disporre un sequestro diretto del profitto del reato. Invero, nel caso di specie, il profitto del reato di cui all'art. 11 d.lgs. 74/2000 era rappresentato da beni oggetto delle simulate e fraudolente alienazioni, beni che erano stati individuati e sui quali era già stato disposto il sequestro diretto, sia pure in relazione al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. Secondo i ricorrenti, pertanto, tale ultimo sequestro non era da considerarsi ostativo alla esecuzione del sequestro sui medesimi beni anche in relazione al reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, essendo il valore degli stessi idoneo a soddisfare il debito fiscale e costituendo tali beni il profitto del reato. I ricorrenti rilevavano quindi che, aderendo al ragionamento del Tribunale delle Libertà, si sarebbe concessa un'indebita duplicazione di garanzie, in quanto il medesimo credito tributario, pari a euro 1.200.000,00, era stato oggetto di insinuazione nel passivo fallimentare e risultava garantito sia dal sequestro diretto dei beni oggetto delle distrazioni e delle alienazioni fraudolente, sia dal sequestro per equivalente disposto sui beni degli amministratori della società. Le soluzione giuridiche
Prima di affrontare il tema relativo alla sussistenza dei requisiti necessari per l'applicazione del sequestro per equivalente, la Corte di Cassazione, nella pronuncia in commento, sgombra il campo da ogni possibile equivoco richiamando l'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, che ritiene configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione. A tale fine ripropone la massima giurisprudenziale, secondo la quale “è configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione in quanto le relative disposizioni incriminatrici non regolano la stessa materia ai sensi dell'art. 15 c.p. stante la diversità del bene giuridico tutelato, la natura delle fattispecie astratte, la diversità del soggetto-autore degli illeciti e dell'elemento soggettivo dei due reati” (pag. 4 della sentenza). Sulla base di tale assunto, la Suprema Corte osserva che, nel caso di specie, il sequestro preventivo dei beni oggetto delle distrazioni, mediante le quali sarebbe stato commesso il delitto di bancarotta fraudolenta, è stato disposto a fini impeditivi, allo scopo di evitare il compimento di ulteriori atti di disposizione e la loro dispersione. Tale misura è pertanto destinata a permanere come confisca, o a convertirsi in sequestro conservativo, a garanzia dei creditori ai sensi dell'art 323, commi 3 e 4, c.p.p. Sia nel primo che nel secondo caso, il vincolo di indisponibilità già applicato sui beni preclude la possibilità di imporre un altro vincolo strumentale alla confisca sui medesimi beni, in quanto “tale ulteriore vincolo risulterebbe inutilmente apposto” perché avente ad oggetto beni già finalizzati a soddisfare altre esigenze. La Corte afferma inoltre che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto nei confronti degli amministratori di una società, quando risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nel patrimonio dell'ente, e precisa che ai fini dell'accertamento di tale impossibilità non è necessaria “l'inutile escussione del patrimonio sociale se già vi sono elementi sintomatici dell'inesistenza di beni in capo all'ente”. Nel caso di specie l'esistenza di un vincolo di indisponibilità sui beni della società è stato ritenuto elemento sintomatico dell'impossibilità di eseguire il sequestro diretto, venendo con ciò a sussistere il presupposto per l'applicazione del sequestro per equivalente. Quanto alla doglianza relativa alla duplicazione delle garanzie a tutela del credito dell'Erario, la Cassazione precisa che non sussiste alcuna duplicazione, in quanto nel caso in cui il credito venga soddisfatto attraverso i beni oggetto della confisca diretta o sul ricavato della loro vendita, il sequestro per equivalente dovrà essere ridotto del valore corrispondente a quanto ottenuto dal creditore. Osservazioni
La sentenza qui in commento offre l'occasione per approfondire il tema del concorso apparente di norme da sempre molto dibattuto in giurisprudenza e in dottrina e sul quale non esiste tuttora unanimità di vedute, nonostante le diverse pronunce a Sezioni Unite sull'argomento. Infatti, nel caso che qui occupa – come detto – la Suprema Corte ha ritenuto necessario, al fine di rispondere alle doglianze dei ricorrenti, affermare a chiare lettere ed in linea di principio, che il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte concorrono. Vale a dire che la condotta distrattiva di beni appartenenti alla società integra al contempo sia la fattispecie di cui all'art. 216, comma 1,l. fall., che quella prevista all'art. 11 d.lgs. 74/2000. Tale concorso conduce all'applicazione di un duplice vincolo ablatorio: l'uno, in relazione al reato di bancarotta fraudolenta, quale sequestro finalizzato alla confisca diretta sui beni oggetto della distrazione; l'altro, in relazione al reato di sottrazione al pagamento delle imposte, che - risultando impossibile il sequestro del profitto del reato (perché costituito dai medesimi beni già sottoposti al vincolo per il reato fallimentare) - assume le forme del sequestro per equivalente, sui beni dei soggetti agenti, gli amministratori della società. Sul punto, una prima considerazione: se la condotta distrattiva avente ad oggetto beni appartenenti alla società può integrare al contempo sia il reato di bancarotta che quello di sottrazione fraudolenta e se da ciò consegue la necessità di applicare un duplice vincolo di indisponibilità sui beni oggetto della distrazione/alienazione simulata, allora è sempre necessario fare ricorso al sequestro per equivalente per l'impossibilità di disporre il sequestro diretto del profitto in relazione all'uno o all'altro reato. I beni oggetto della condotta integrano infatti profitto sia del reato di bancarotta che del reato di sottrazione fraudolenta: se tali beni sono sottoposti a sequestro in relazione alla prima fattispecie, in relazione alla seconda sarà sempre necessario ricorrere al sequestro per equivalente. Il nodo problematico, più che nella sussistenza dei requisiti per l'applicazione del sequestro per equivalente, che – come visto – discende quasi automaticamente dal concorso fra i reati, sarebbe allora da ravvisare nella configurabilità stessa del concorso tra i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Prima di procedere all'analisi del detto nodo problematico, pare opportuno ripercorrere brevemente lo stato dell'arte in tema di concorso apparente di norme, al fine di poter fare applicazione dei principi in materia al caso di specie. Ebbene, ricorre un'ipotesi di concorso apparente di norme allorquando allo stesso fatto sembrano applicabili più norme, mentre in realtà una sola di esse è applicabile. Quando viene in considerazione lo stesso fatto il concorso apparente di norme può essere adeguatamente compreso se si considerano le tre fasi nelle quali si articola la relativa problematica:
È in relazione alla seconda fase che si pone la problematica relativa alla contrapposizione tra concezione unitaria e concezione pluralistica: secondo la prima tesi, l'unico criterio applicabile per risolvere il concorso apparente di norme sarebbe quello della specialità; la seconda, invece, ritiene che il criterio della specialità, il solo espressamente previsto dalla legge, non è da solo sufficiente a risolvere adeguatamente i casi di concorso apparente di norme e pertanto ad esso vanno affiancati altri criteri, quali la sussidiarietà, la consunzione, l'assorbimento. L'unico criterio espressamente previsto dal legislatore per risolvere i casi di concorso apparente di norme è il criterio della specialità, di cui all'art. 15 c.p., secondo il quale “quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”. Secondo il primo orientamento giurisprudenziale, il principio di specialità sarebbe da intendere quale specialità unilaterale in astratto: è speciale la norma che presenta tutti gli elementi di altra norma (generale) e in più almeno un altro elemento (c.d. specializzante). Diverse sono state le pronunce della Corte di cassazione a Sezioni Unite che hanno riconosciuto il criterio della specialità unilaterale in astratto quale unico criterio rilevante in tema di concorso apparente di norme e il conseguente rifiuto dei criteri valutativi, ritenuti contrari al principio di legalità. Fra le più recenti si richiamano: Cass. pen., S.U. 23.02.2017,n. 20664, Stalla; Cass. pen., S.U. 22.06.2017, n. 41588, La Marca; Cass. pen., S.U. 19.01.2012, n. 22225 Micheli; Cass. pen., S.U. 28.10.2010, n. 1235, Giordano. Resta un problema di grande rilevanza pratica quello dell'interpretazione della locuzione “stessa materia” di cui all'art. 15 c.p. L'affermazione secondo la quale essa andrebbe interpretata come indicante il bene giuridico tutelato è ancora molto diffusa in giurisprudenza, malgrado le plurime pronunce a Sezioni Unite che hanno fortemente criticato questa tesi. Da tale interpretazione, infatti, consegue che l'operatività del principio di specialità viene subordinata all'ulteriore requisito dell'identità (talora si parla più genericamente di omogeneità) dei beni giuridici tutelati dalle norme astrattamente applicabili al caso concreto, nonostante la norma non faccia alcun riferimento a tale requisito. Un ulteriore orientamento giurisprudenziale interpreta il criterio di specialità di cui all'art. 15 c.p., non solo nel senso sopra evidenziato di specialità unilaterale, ma anche nel senso di specialità c.d. bilaterale o reciproca: sussisterebbe un rapporto di specialità anche allorquando ciascuna norma è ad un tempo generale e speciale, perché entrambe presentano, accanto ad un nucleo di elementi comuni, elementi specifici ed elementi generici rispetto ai corrispondenti elementi dell'altra. Restano tuttavia di difficile individuazione i parametri in base ai quali deve essere scelta la norma in concreto applicabile. In giurisprudenza, il criterio generalmente proposto è quello della maggiore gravità della pena prevista per il reato. Accanto a questa prima concezione, la dottrina ne propone una diversa: la concezione pluralistica. Secondo tale concezione, come già detto, il criterio della specialità non è da solo sufficiente a risolvere adeguatamente i casi di concorso apparente di norme e necessita dell'integrazione di altri criteri, di natura valutativa. La giurisprudenza, salvo sporadici casi, non adotta tali criteri al fine di risolvere i casi di concorso apparente di norme. Ci si limita pertanto in questa sede a un mero richiamo degli stessi: i) criterio di sussidiarietà, secondo il quale sussiste il rapporto di specialità quando due norme contemplano gradi o stadi diversi di offesa allo stesso bene giuridico, così che l'offesa maggiore assorbe la minore; ii) criterio di consunzione, il quale rappresenta un rapporto di valore tra le norme in base al quale l'apprezzamento negativo del fatto appare tutto già compreso nella norma che prevede il reato più grave, di guisa che l'applicare anche la norma che prevede il reato meno grave condurrebbe ad un ingiusto moltiplicarsi della sanzione; iii) il criterio dell'assorbimento, il quale prevede che quando la realizzazione di un reato comporta secondo l'id quod plerumque accidit la commissione di un secondo reato più grave, il quale perciò finisce, ad una valutazione normativo-sociale, con l'apparire assorbito dal primo. Ebbene, ciò posto, alla luce della massima giurisprudenziale più sopra richiamata, con la quale la Corte di cassazione, nella pronuncia in commento, ha affermato la configurabilità del concorso fra i reati di cui all'art. 216, comma 1,l. fall. e art. 11 d.lgs.74/2000, appare evidente che la stessa abbia fatto applicazione della tesi che interpreta la locuzione “stessa materia” di cui all'art. 15 c.p. come necessaria omogeneità dei beni giuridici tutelati. Affermare che le due norme concorrono, in quanto le stesse “tutelano beni giuridici diversi” significa applicare erroneamente il criterio della specialità in astratto, così come interpretato dalla giurisprudenza a Sezioni Unite sopra richiamata. Se si dovessero dunque ripercorrere in questa sede le tre fasi di analisi (sopra menzionate), al fine di risolvere l'ipotesi di concorso apparente fra i reati di cui si discute, si procederebbe nel modo seguente. Allo stesso fatto, costituito dalla cessione fraudolenta di beni della società in una fase di crisi finanziaria, sono astrattamente applicabili due fattispecie incriminatrici (appunto) rappresentate da quella prevista all'art. 216, comma 1,l. fall. e da quella di cui all'art. 11 d.lgs. 74/2000. Come sopra evidenziato l'unico criterio applicabile al fine di comprendere se si tratti di un'ipotesi di concorso apparente di norme o di concorso di reati, è rappresentato dal criterio di specialità in astratto, declinabile nelle forme del criterio di specialità unilaterale o bilaterale. Il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione punisce la condotta dell'imprenditore, dichiarato fallito, che abbia distratto i suoi beni. Si tratta di un reato proprio di condotta, a dolo generico posto a tutela dei creditori. Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte punisce la condotta di colui che, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Si tratta in questo caso di un reato comune di condotta, a dolo specifico posto a tutela dell'Erario. Dalla lettura delle due norme emergono elementi in base ai quali poter affermare che fra i due reati sussiste un rapporto di specialità bilaterale. Invero, per quanto concerne la condotta tipica non possono sussistere dubbi sul fatto che la condotta di alienazione fraudolenta ricada nel più ampio genus delle condotte distrattive. In entrambi i casi il soggetto agente si libera simulatamente dei suoi beni, sicché può ritenersi che le due fattispecie condividano l'elemento costitutivo della condotta tipica. Accanto a questo nucleo in comune, da un lato, il reato di bancarotta fraudolenta presenta l'elemento specifico del soggetto attivo della condotta, che si qualifica per essere un imprenditore dichiarato fallito (condizione obiettiva di punibilità); dall'altro, il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte presenta l'elemento specifico del dolo: la condotta deve essere finalizzata a sottrarsi al pagamento delle imposte. Risulta evidente dunque che ciascuna norma è ad un tempo generale e speciale, perché entrambe presentano, accanto ad un nucleo di elementi comuni, elementi specifici ed elementi generici rispetto ai corrispondenti elementi dell'altra. Il fatto che le norme sono poste a tutela di beni giuridici diversi, come sostenuto dalla Cassazione nella pronuncia in commento, non è elemento dirimente per ritenere insussistente il rapporto di specialità fra le stesse. Si è richiamata sul punto la giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo la quale il concetto di “stessa materia” non deve essere interpretato nel senso che le fattispecie incriminatrici in analisi devono essere poste a protezione dello stresso bene giuridico. Quanto appena detto, alla luce della giurisprudenza delle Sezioni Unite richiamata, sarebbe sufficiente di per sé per considerare le due norme in concorso apparente, con la conseguente applicazione al caso di specie di una sola fra le due, ovvero quella di bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto punta più gravemente. Tuttavia, si consideri inoltre che anche facendo applicazione del criterio valutativo dell'assorbimento, si giungerebbe ad affermare che la condotta di sottrazione fraudolenta potrebbe inserirsi in una complessiva strategia distrattiva, volta a danneggiare coloro che sui beni sottratti avrebbero titolo per soddisfarsi, fra cui rientra senza dubbio anche l'Erario. Se tale strategia è finalizzata al fallimento, ovvero posta in essere in vista di questo, ovvero ancora se il fallimento ad essa segue, non si comprende come mai la sottrazione all'Erario debba essere oggetto di separata considerazione, o meglio, considerata due volte. La controprova fattuale di quanto considerato si ravvisa nel caso di specie, proprio nel fatto che l'Erario, così come gli altri creditori, si è insinuato nel passivo della società fallita. Oltre a ciò, data la indebita applicazione di entrambe le fattispecie incriminatrici, il credito dell'erario, non solo risulta garantito dal sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto in relazione al reato di bancarotta fraudolenta, ma anche dal sequestro per equivalente disposto sui beni dei soggetti agenti. Sul punto appare opportuno richiamare un precedente giurisprudenziale (Cass. pen.,Sez. V, sentenza n. 42156/2011) che, facendo corretta applicazione dei principi della sentenza a SU Giordano, ha ritenuto la sussistenza di un rapporto di specialità fra le norme, giungendo a ritenere le due fattispecie incriminatrici in concorso apparente. In quella sede la Corte di cassazione ha infatti affermato che “le condotte di distrazione, occultamento, distruzione, dissipazione, di cui all'art. 216 L. fall., sono sicuramente comprensive delle condotte di simulazione, ovvero delle condotte integranti “atti fraudolenti”, di cui all'art. 11 d.lgs. 74/2000. Né le modalità con le quali il reato da ultimo indicato può essere commesso lo rendono “altro” rispetto alla bancarotta fraudolenta patrimoniale”. E ancora“la condotta è la medesima, e medesima è anche la finalità, vale a dire quella di danneggiare i creditori, non potendo far differenza il diverso status giuridico di uno di essi, vale a dire il Fisco” (pag. 4 della sentenza). Da quanto illustrato fino ad ora, appare palese che se la Corte avesse fatto applicazione del criterio logico della specialità unilaterale espresso dalle SU La Marca, sarebbe giunta a considerare le fattispecie incriminatrici contestate agli imputati in concorso apparente fra loro. Da ciò sarebbe conseguita, in primo luogo, l'applicazione al caso concreto della fattispecie più grave e, in secondo luogo, l'apposizione di un solo vincolo penale ablatorio sul profitto del reato. Tuttavia, come detto, il concorso apparente di norme resta tuttora tema sul quale si confrontano diverse tesi interpretative, che non consentono un approccio unitario. Sarebbe utile sul punto che quantomeno la giurisprudenza si coordinasse nell'applicazione di un solo dei criteri, quello della specialità unilaterale o bilaterale in astratto, unico ad essere conforme al principio di legalità.
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