Sospensione del procedimento per messa alla prova e giudizio immediato: la Consulta estende l'area dei diritti informativi
16 Marzo 2020
Massima
L'art. 456, comma 2, c.p.p. è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l'avviso della facoltà dell'imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Il caso
Il Tribunale militare di Roma espone di essere chiamato a pronunciarsi sulla colpevolezza di un soggetto imputato di reati previsti dal codice penale militare di pace, a seguito dell'emissione da parte del giudice per le indagini preliminari di un decreto di giudizio immediato, privo dell'avviso della facoltà dell'imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. Nel corso della prima udienza dibattimentale, l'imputato aveva eccepito la nullità del decreto di giudizio immediato, perché privo dell'avviso della facoltà di chiedere la messa alla prova, ravvisando in ciò una nullità di ordine generale ai sensi dell'art.178, comma 1, lettera c), c.p.p. Secondo l'imputato, una tale soluzione si sarebbe imposta nonostante la mancata menzione espressa dell'obbligatorietà di tale avviso nell'art. 456 c.p.p., omissione cui dovrebbe porsi rimedio mediante una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, prospettandosi altrimenti un dubbio di illegittimità costituzionale della norma medesima. Il giudice, ritenendo non praticabile la proposta interpretazione conforme, stante il silenzio dell'art. 456 c.p.p., ha sollevato questione di legittimità costituzionale, sottolineando come, dall'eventuale accoglimento della medesima, deriverebbe la possibilità di dichiarare la nullità del decreto di giudizio immediato, con conseguente rimessione in termini dell'imputato per beneficiare della sospensione del procedimento con messa alla prova. La non manifesta infondatezza della questione, ad avviso del rimettente, emerge considerando due parametri di riferimento. Da un lato rileva il primo comma dell'art. 3 Cost.: la disciplina posta dall'art. 456, comma 2, c.p.p. - ove si prevede che il decreto di giudizio immediato contenga l'avviso relativo alla facoltà per l'imputato di chiedere il giudizio abbreviato ovvero l'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., ma non anche l'avviso circa la facoltà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova - introduce una disparità di trattamento nel regime assicurato ai procedimenti in questione, che è del tutto irragionevole considerando che, anche rispetto alla messa alla prova, assume rilievo il diritto dell'imputato di chiedere di essere ammesso ad un procedimento speciale con effetti premiali, alternativi all'ordinario giudizio dibattimentale. In secondo luogo, secondo il rimettente, la disciplina in parola violerebbe altresì l'art. 24 Cost., in quanto dall'omesso avviso nel decreto di giudizio immediato della facoltà di formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova entro quindici giorni dalla notifica dello stesso deriverebbe una lesione del diritto di difesa dell'imputato, considerando il rischio - concretizzatosi nel giudizio a quo - di incorrere nei termini di decadenza che discendono dal combinato disposto degli artt. 464, comma 2-bis, e 458, comma 1, c.p.p. La questione
La questione è relativa alla necessità che il decreto di giudizio immediato contenga l'avviso dell'opportunità di accedere alla sospensione del procedimento con messa alla prova in modo da consentire all'imputato la formulazione della richiesta di sospensione prima che si determini, nella fase predibattimentale, la preclusione stabilita dalla legge. In precedenza, la Corte costituzionale era già stata investita di un analogo dubbio di legittimità costituzionale sull'art. 456, comma 2, c.p.p. (v. Corte costituzionale, ordinanza 20 aprile 2018, n. 85; Corte costituzionale, ordinanza 29 marzo 2019, n. 71). L'impostazione delle relative questioni, nonostante il richiamo ai medesimi parametri costituzionali evocati dal giudice a quo nel caso in esame, aveva tuttavia condotto ad una declaratoria di manifesta inammissibilità. Nelle ordinanze di rimessione, infatti, risultava non solo l'omessa descrizione della fattispecie concreta, con conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, ma emergeva anche che taluni dei reati contestati risultavano puniti con pene che superavano il limite edittale entro cui è ammessa, ai sensi dell'art. 168-bis, c.p., la messa alla prova. Si trattava, pertanto, di situazioni per le quali valeva l'approdo prospettato dalla Corte di cassazione la quale ha escluso che, in tema di sospensione con messa alla prova, la sospensione possa essere disposta, previa separazione dei processi, soltanto per alcuni dei reati contestati per i quali sia possibile l'accesso al beneficio, in quanto la messa alla prova tende alla eliminazione completa delle conseguenze antisociali del reato e sarebbe incompatibile con le finalità dell'istituto una rieducazione parziale (Cass. pen., Sez. II, 12 marzo 2015, n. 14112). Le soluzioni giuridiche
La rilevanza della questione, con esclusivo riferimento all'art. 24 Cost., ha condotto la Corte costituzionale a pronunciarsi per l'accoglimento della questione e a dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 456, comma 2, c.p.p. «nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l'avviso della facoltà dell'imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova». Il percorso argomentativo strutturato dalla Consulta si sviluppa a partire dalla natura del procedimento con messa alla prova: come più volte evidenziato, esso si configura come un istituto di natura tanto sostanziale, laddove dà luogo all'estinzione del reato, quanto processuale, traducendosi in un nuovo procedimento speciale, alternativo al giudizio (sentenze n. 131 del 2019, n. 91 del 2018, n. 201 del 2016 e n. 240 del 2015). Proprio in quanto rito suscettibile di porsi come alternativo al modulo dibattimentale, anche in relazione all'accesso alla messa alla prova viene riaffermato il valore dell'insegnamento - costante nella giurisprudenza costituzionale - secondo cui la richiesta di riti alternativi costituisce una modalità, tra le più qualificanti (sentenza n. 148 del 2004), di esercizio del diritto di difesa» (ex plurimis, sentenze n. 201 del 2016 e n. 237 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 219 del 2004 e n. 497 del 1995). Ecco perché può essere valorizzata la prospettiva - evidenziata a partire dalla sentenza n. 148 del 2004 e, più di recente, riaffermata nella sentenza n. 201 del 2016, secondo cui «quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, sicché la mancanza o l'insufficienza del relativo avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di accedervi», l'omissione di un tempestivo avviso all'imputato della sua facoltà di accedere a tali riti si risolve in una violazione del diritto di difesa. Sulla base di questa premessa, del resto, la Corte costituzionale aveva già affrontato una questione, per molti aspetti analoga a quella in esame, relativa al procedimento per decreto. Con la sentenza n. 201 del 2016, infatti, era stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 460, comma 1, lett. e, c.p.p., nella parte in cui non prevedeva che il decreto penale di condanna contenesse l'avviso della facoltà dell'imputato di chiedere mediante l'opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova. La medesima conclusione è replicabile nel caso in esame e, dunque, viene ribadita con riferimento al giudizio immediato. Da un punto di vista generale, la sospensione del procedimento con messa alla prova può essere richiesta dall'imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, già nella fase delle indagini preliminari (previa formulazione dell'imputazione da parte del pubblico ministero). Per la richiesta formulata dopo la chiusura delle indagini preliminari, invece, l'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. contempla termini finali diversificati in ragione dei diversi riti, termini che nel giudizio immediato sono di quindici giorni dalla notifica del relativo decreto (artt. 464-bis, comma 2, e 458, comma 1, c.p.p.). Da queste due disposizioni del codice di rito deriva che, in caso di mancata presentazione entro tale termine della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, l'imputato decade dalla relativa facoltà. Analogamente a quanto avviene con riguardo al procedimento per decreto, dunque, l'eventuale omissione del relativo avviso nel decreto di giudizio immediato può determinare un pregiudizio irreparabile del diritto di difesa. Anche sotto il profilo delle conseguenze procedimentali la Corte riafferma la propria precedente giurisprudenza e, in particolare, le implicazioni già da tempo precisate in relazione all'omesso o inesatto avviso della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato nel decreto che dispone il giudizio immediato (sentenza n. 148 del 2004). Di conseguenza, laddove il dibattimento sia stato aperto a seguito di un decreto di giudizio immediato privo dell'avviso relativo alla facoltà di chiedere la messa alla prova, si configura una nullità di ordine generale ai sensi dell'art. 178, comma 1,lettera c), c.p.p.
Osservazioni
Con la pronuncia in esame la Corte costituzionale aggiunge un ulteriore tassello per la ricostruzione del perimetro di garanzia riconducibile alla sospensione del processo con messa alla prova. La cornice è quella tracciata da una linea interpretativa già pienamente consolidata: la scelta di un rito speciale rappresenta una espressione del diritto di difesa per il cui efficace esercizio è conditio sine qua non la consapevolezza delle opzioni procedimentali disponibili. È l'esigenza di tutela del diritto di difesa, del resto, che induce a valorizzare la centralità dell'avviso; la garanzia in questione, infatti, non può ritenersi assicurata dalla sola nomina di un difensore nei casi in cui la scelta delle alternative procedimentali al giudizio dibattimentale debba essere compiuta entro brevi termini di decadenza che maturino fuori udienza o in limine alla stessa, quando cioè non può ritenersi assunta la funzione di controllo degli atti processuali assicurata dalla difesa tecnica. Quella prospettata per il caso in esame - soprattutto considerando i precedenti approdi della Corte costituzionale - appare, pertanto, una conclusione annunciata e, quantomeno nelle implicazioni del decisum, già metabolizzata dalla giurisprudenza di legittimità. La mancanza o l'insufficienza dell'avviso determina la perdita della facoltà di accedere alla messa alla prova, integrando in tal modo una nullità di carattere generale (art. 178, comma 1, lett. c, c.p.p.). A tal proposito, si può ricordare, infatti, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 148 del 25 maggio 2004, nel dichiarare non fondata, in riferimento agli artt.3, 24 e 111 Cost., la questione di legittimità dell'art. 456 c.p.p. - nella parte in cui non prevede la nullità del decreto che ha disposto il giudizio immediato nel caso di mancanza, insufficienza o inesattezza dell'avviso che l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena - ha ribadito che la richiesta di riti alternativi costituisce una modalità di esercizio del diritto di difesa (sentenze n. 497 del 1995, n. 76, n. 101 e n. 214 del 1993, n. 265 del 1994, n. 70 del 1996, tutte nel senso che sarebbe lesivo del diritto di difesa precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali per un errore a lui non imputabile; nella sentenza n. 120 del 16 aprile 2002, proprio in relazione al termine per presentare richiesta di giudizio abbreviato dopo la notificazione del decreto di giudizio immediato, la Corte ha puntualizzato che il diritto di difesa va qui inteso come possibilità di ricorrere anche all'assistenza tecnica del difensore, stabilendo che il termine deve decorrere dall'ultima notificazione, all'imputato o al difensore, del decreto ovvero dell'avviso della data fissata per il giudizio immediato). La Consulta ha precisato che l'effettivo esercizio della facoltà di chiedere i riti alternativi costituisce una delle più incisive forme di «intervento» dell'imputato, cioè di partecipazione attiva alle vicende processuali, con la conseguenza che ogni illegittima menomazione di tale facoltà, risolvendosi nella violazione del diritto sancito dall'art. 24, comma 2, Cost., integra la nullità di ordine generale sanzionata dall'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p. A partire da questa premessa, riaffermata anche in occasione della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 460, comma 1, lett. e, c.p.p. in relazione al decreto penale di condanna, l'omissione dell'avviso della facoltà per l'imputato di chiedere la messa alla prova è stata qualificata in termini di nullità di ordine generale non assoluta che, ove non eccepita dalla parte che vi assiste, immediatamente dopo il suo compimento, rimane sanata ai sensi degli artt. 180 e 182, comma 2, c.p.p.: cfr. Cass. pen., Sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 21897, nonché, più di recente, Cass. pen., sez. III, 30 ottobre 2018, n. 8694 e Cass. pen., Sez. IV, 14 febbraio 2019, n. 17659, nelle quali si considera tempestiva l'eccezione di nullità sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione, trattandosi di nullità verificatasi in data successiva alla sentenza di primo grado a seguito della sentenza additiva della Corte costituzionale. Restano aperti degli ulteriori fronti problematici soprattutto sul terreno del rafforzamento dei diritti informativi dell'imputato all'interno del processo. Il problema investe, ad esempio, la citazione diretta a giudizio la quale, pur non costituendo un procedimento speciale, può certamente essere considerata come una variante al giudizio ordinario dato che l'esercizio dell'azione penale non passa attraverso l'udienza preliminare. In questo contesto, tuttavia, l'avviso di cui all'art. 552, comma 1, lett. f), c.p.p. - esattamente come nei casi di cui agli artt. 456, comma 2, e 460, comma 1, lett. e), c.p.p. - prevede che l'imputato sia notiziato unicamente della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta delle parti. La sospensione con messa alla prova, pertanto, è destinata a rimanere l'unica opzione premiale rispetto alla quale non sussiste il diritto al preavviso e, correlativamente, la possibilità di ipotizzare alcuna conseguenza invalidante. Nonostante il caso di citazione diretta sia da inquadrare tra quelli in relazione ai quali il termine ultimo per avanzare la richiesta di messa alla prova viene a cadere all'interno di un contesto partecipativo (cfr., sul punto, Corte cost., 309/2005), resta il sospetto di un assetto che mal si concilia con il disposto degli artt. 3 e 24 Cost. In relazione ad un possibile vulnus del diritto di difesa, invero, la Corte di cassazione già si è espressa in senso negativo: il mancato avviso, nel decreto di citazione diretta a giudizio, della facoltà di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, non comporta - nell'economia di tale orientamento - un effetto pregiudizievole per l'imputato, in quanto l'applicazione del beneficio può essere richiesta alla prima udienza (Cass. pen., Sez. II, 23 dicembre 2016, n. 3864, in motivazione). Qui, in altri termini, si valorizza il ruolo del difensore, proiettando su questo soggetto la responsabilità informativa altrimenti affidata all'avviso. Così opinando, tuttavia, il diritto di difesa finisce per appiattirsi sulla difesa tecnica, risultando considerevolmente depotenziato nei casi in cui - di fatto - resti frustrato l'affidamento nei confronti del difensore. Chi garantisce che l'imputato sia realmente consapevole della facoltà di chiedere la sospensione per messa alla prova nei casi - non infrequenti - caratterizzati dall'assenza di previ contatti con il legale, specie se nominato d'ufficio? O ancora, chi assicura che l'imputato abbia il tempo necessario per prendere contatto con l'Ufficio esecuzione penale esterna per predisporre il programma da sottoporre all'approvazione del giudice? L'idea che, al verificarsi di simili circostanze, l'omissione dell'avviso possa configurare una limitazione del diritto di difesa è tutt'altro che remota, tanto che una apertura in tal senso sembra potersi cogliere anche nelle due occasioni in cui la Corte costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sul punto (v. Corte costituzionale 18 gennaio 2018, n. 85; Corte costituzionale 29 marzo 2019, n. 71). Qui, sebbene l'omessa descrizione della fattispecie concreta e il conseguente difetto di motivazione sulla rilevanza, abbiano condotto ad altrettante declaratorie di manifesta inammissibilità, viene accennata la fisionomia del percorso argomentativo che, presumibilmente, fungerà da tracciato per la soluzione delle questioni di legittimità costituzionale che verranno sollevate, per i profili esaminati, in relazione all'art. 552, comma 1, lett. f), c.p.p. Sottolinea, in particolare, la Consulta che l'insufficiente descrizione, tra l'altro, dello stato in cui si trovava il giudizio impedisce il necessario controllo in punto di rilevanza; rilevanza che, ad ogni modo, è ritenuta sussistente rispetto ai casi - analoghi a quelli rispetto a cui si è posta la questione che ha investito gli artt. 456, comma 2 e 460, comma 1, lett. e, c.p.p. - in cui «si sia verificata la preclusione conseguente all'apertura del dibattimento, e sussista l'intenzione di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova»; in queste circostanze, infatti, si riconosce l'esistenza di un «interesse alla declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio che non contenga l'avvertimento relativo a tale facoltà». Sembra così configurarsi un orizzonte possibilista nella direzione di un rafforzamento dei diritti informativi dell'imputato - peraltro sollecitato dalla normativa sovranazionale (v., ad esempio, direttiva UE 2012/13 sul diritto all'informazione nei procedimenti penali, nonché direttiva UE 2012/29 in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime) - che passa anche attraverso l'attribuzione di una autonoma rilevanza al diritto ad essere informati sul compimento di attività soggette a termini decadenziali, in particolar modo se tali attività investono possibili scelte differenziate.
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