Il differimento per infermità fisica dell'esecuzione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità disposta ex art. 186, comma 9-bis cod. strada
29 Ottobre 2019
Massima
In caso di applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità (nel caso di specie disposta ai sensi dell'art. 186, comma 9-bis del cod. strada) la competenza a pronunciarsi sull'istanza di differimento di esecuzione della pena di cui agli artt. 146 e 147 c.p. spetta non al giudice dell'esecuzione, ma al Tribunale di Sorveglianza. Il caso
La Corte di Appello di Ancona aveva condannato il prevenuto alla pena di sei mesi di arresto per il reato di guida in stato di ebbrezza disponendo nei confronti del medesimo l'applicazione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità di cui all'art. 186, comma 9-bis del cod. strada [norma introdotta dall'art. 33, comma 1, lett.d) della legge 29 luglio 2010, n. 120]. Il condannato aveva chiesto al Tribunale di Macerata, individuato quale giudice dell'esecuzione ex art. 665 c.p.p., il differimento di esecuzione della pena ex artt. 146 o 147c.p. allegando la sussistenza di una grave infermità fisica costituita da un trauma cranico subito a seguito di un sinistro stradale. Il Tribunale di Macerata dichiarava la propria incompetenza a decidere sull'istanza e trasmetteva gli atti al Tribunale di Sorveglianza di Ancona che, a sua volta, declinava la competenza a pronunciarsi in merito all'istanza di differimento determinando così l'insorgenza di un conflitto (negativo) di competenza di cui all'art. 28 c.p.p. risolto dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento. La questione
L'art. 186, comma 9-bis,cod. strada prevede che il giudice possa disporre la sostituzione della pena, detentiva e pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'art 54 del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 74, secondo le modalità ivi previste, e consistente nella prestazione di attività non retribuita a favore della collettività da svolgersi, in via prioritaria, nel settore della sicurezza e dell'educazione stradale presso enti territoriali o organizzazioni di assistenza sociale e volontariato o centri specializzati nel contrasto al fenomeno delle dipendenze. L'applicazione della pena sostitutiva è subordinata: a) alla insussistenza di due condizioni ostative costituite: a1) dalla circostanza aggravante di cui all'art 186, comma 2-bis, relativa al caso in cui il conducente in stato di ebbrezza abbia provocato un incidente stradale; a2) dalla pregressa fruizione di analoga pena sostitutiva (sul punto cfr. Cass. pen., Sez. I, 22 febbraio 2019, n. 17263, Bastelli, in C.E.D. Cass., n. 275243, a tenore della quale il giudice dell'esecuzione non può, però, revocare il provvedimento di sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità emesso dal giudice della cognizione in violazione del divieto di concessione della sanzione sostitutiva per più di una volta in quanto una simile causa di revoca non è prevista né dal comma 9-bis dell'art. 186 del cod. strada né dalle disposizioni relative al lavoro di pubblica utilità dettate dal d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, cui la stessa fa riferimento). b) alla sussistenza del requisito positivo della non opposizione dell'imputato (così, tra tante e da ultimo, Cass. pen., Sez. I, 2 maggio 2018,n. 3648, Piras, inedita). Deve pertanto ritenersi che la pena sostitutiva possa essere applicata anche in forza di una iniziativa assunta ex officio dal giudice (che procederà in tal senso nel caso in cui ritenga tale tipo di sanzione maggiormente funzionale al recupero sociale del reo). Per altro la scelta a favore della pena sostitutiva è incentivava dai benefici conseguibili in caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità: in tale ipotesi il giudice oltre a dichiarare estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo. L'estinzione del reato a seguito del positivo espletamento del lavoro di pubblica utilità non impedisce al giudice procedente, presupponendo l'avvenuto accertamento del fatto, di tenerne conto in un successivo processo quale precedente specifico ai fini del giudizio circa la “recidiva nel biennio”, prevista dall'art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 7 gennaio 2016, n. 1864, Oberoffer, in C.E.D. Cass., 265583). L'applicazione del lavoro di pubblica utilità è comunque rimessa alla valutazione discrezionale del giudice che del tutto legittimamente può escluderne la meritevolezza in ragione della negativa personalità dell'imputato che risulti gravato da numerosi precedenti penali (Cass. pen., Sez. II, 7 febbraio 2019, n.17421, Negri, inedita; nello stesso senso cfr. anche Cass. pen., Sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 9464, Cernigliano, inedita, a tenore della quale la scelta non può che essere ancorata ai criteri di determinazione della pena previsti dall'art. 133 cod. pen. Nel caso di specie, il rigetto della richiesta è stato motivato in relazione alle modalità del fatto, connotato dalla circostanza che il superamento del limite di legge era avvenuto in pieno centro cittadino e in orario in cui era ancora intenso il traffico di persone e mezzi, alla gravità della condotta, alla luce del tasso alcolemico rilevato - 2,13 e 2,16 g/l nelle prove mediante alcoltest - e, infine, alla personalità negativa dell'imputato, gravato da un precedente specifico e da un ulteriore precedente per ricettazione). Per completezza deve essere ricordato che la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità è disposta, appunto in assenza di una contraria volontà dell'imputato, unicamente dal giudice della cognizione essendo preclusa ogni statuizione in fase esecutiva (così Cass. pen., Sez.IV, 20 gennaio 2012, 10881, Marcucci, in C.E.D. Cass., n. 251988). Come detto il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità comporta l'estinzione del reato. Muovendo dal presupposto che il provvedimento dichiarativo dell'estinzione del reato non può essere equiparato ad una sentenza di condanna, si è affermato che la sentenza con la quale è stata disposta l'applicazione del lavoro di pubblica utilità può essere legittimamente ritenuta causa ostativa al riconoscimento della sospensione condizionale della pena in relazione ad un altro reato giudicato separatamente (Cass. pen., Sez. I,28 marzo 2019, n.17414, Delledonne, in C.E.D. Cass., n. 274249; in senso contrario cfr. Cass. pen., Sez. I,20 febbraio 2019, n.22078, Ghezzi, ivi, n.276264). La violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità integra gli estremi del reato di cui all'art. 56 del d.lgs. n. 74 del 2000 e comporta la revoca della pena sostitutiva ed il conseguente ripristino della pena sostituita. Occorre rammentare che in sede di revoca il giudice non può disporre l'integrale ripristino della pena sostituita: la revoca comporta infatti il ripristino della sola pena residua calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di corretto svolgimento del lavoro di pubblica utilità (Cass. pen., Sez. I,31 marzo 2016, n.32416, Bergamini, in C.E.D. Cass., n. 267456; Cass. pen., Sez. I,25 maggio 2017, n.46551, Nigro, ivi, n.271130, relativa al lavoro di pubblica utilità applicato ai sensi dell'art 73, comma 5-bis,d.P.R.n.309 del 1990 e s.m.i.). Sul punto cfr. anche Cass. pen., Sez. I,15 gennaio 2018, n.8164, Virlan, inedita, che in motivazione ha evidenziato che la violazione di tale principio comporta che «la pena ripristinata, nella parte eccedente, si configura senza meno come pena illegale, applicata in danno del condannato, circostanza che di per sé legittima il potere di intervento di ufficio di questa Corte ai sensi dell'art. 609, comma 2, c.p.p.». Nel caso di specie la Corte ha annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata procedendo direttamente alla determinazione della pena ripristinata in danno del condannato che aveva subito la revoca della pena sostitutiva). La revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità non ha dunque efficacia retroattiva, ma opera ex nunc analogamente a quanto avviene, giusto il disposto dell'art. 66 della legge n. 689 del 1981 e s.m.i., in caso di conversione delle pene sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata a seguito della violazione delle prescrizioni inerenti a tali pene. Sul punto appare opportuno evidenziare come analoga disposizione sia dettata dall'art. 108 della citata legge n. 689 del 1981 in caso di violazione anche solo di una delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata, ivi comprese quelle attinenti al lavoro sostitutivo, conseguenti alla conversione delle pene pecuniarie della multa o dell'ammenda. In sede di revoca il giudice non dispone la sospensione condizionale della pena ripristinata (Cass. pen., Sez. I, 15 gennaio 2018, n.8164, Virlan, cit.) mentre deve ritenersi che, ove ne ricorrano le condizioni, il Pubblico Ministero debba procedere ex art. 656, comma 5, c.p.p. alla sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordine di carcerazione avente ad oggetto la pena detentiva ripristinata in modo da mettere in condizione il condannato di presentare al Tribunale di Sorveglianza competente per territorio istanza di misura alternativa alla detenzione. Per altro appare difficile ipotizzare che il condannato possa essere considerato meritevole di espiare la pena ripristinata per effetto della revoca del lavoro di pubblica utilità in regime di affidamento in prova: la violazione delle prescrizioni inerenti la pena sostitutiva che costituisce il fondamento giustificativo della revoca, dovrebbe infatti integrare una circostanza incompatibile, o comunque difficilmente conciliabile, con la possibilità di formulare il giudizio prognostico positivo al quale è subordinata ex art. 47 ord. pen. l'applicazione dell'affidamento.
Come evidenziato nella motivazione della sentenza, nel caso previsto dall'art. 186 cod. strada il lavoro di pubblica utilità persegue la finalità «di consentire a soggetti che si siano resi responsabili di violazioni delle regole sulla circolazione stradale legate all'uso di sostanze alcoliche e/o stupefacenti, di essere avviati ad un recupero sociale specifico comportante una vera e propria opera di rieducazione al rispetto delle norme stradali nell'ottica di un maggiore rispetto verso la collettività attraverso l'espletamento di attività collegate alla normativa generale della circolazione stradale ed agli enti che operano in tale specifico settore dell'ordinamento». L'art. 186 del cod. strada richiama l'art. 54 del d.lgs. n. 74 del 2000 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace) in forza del quale:
Tuttavia, in deroga a quanto previsto dall'art. 54 cit., in caso di condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza la durata del lavoro di pubblica utilità corrisponde a quello della pena detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando la somma di 250,00 euro ad un giorno di lavoro. Mette conto rammentare che il rinvio all'art. 54 del d.lgs. n. 74 del 2000 è contenuto anche nell'art. 73, commi 5-bis e 5-ter, del d.P.R. n. 309 del 1990 norme riguardanti la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità applicabile all'imputato tossicodipendente o assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope; il comma 5-bis si riferisce ai reati previsti dallo stesso articolo 73 a condizione che ricorra l'ipotesi di cui al comma 5 della norma (fatto di lieve entità); il comma 5-ter riguarda il caso in cui il tossicodipendente abbia commesso, per una sola volta, un reato diverso da quelli previsti dall'art. 73, comma 5, purché non ricompreso nell'elenco di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. e purché non si tratti di un reato contro la persona. Diversamente da quanto previsto dall'art 186 del cod. strada che allude alla “non opposizione” dell'imputato, l'applicazione del lavoro di pubblica utilità al tossicodipendente è subordinata alla richiesta dell'interessato.
Ciò premesso il caso oggetto della sentenza in commento riguarda l'individuazione del giudice competente a pronunciarsi sull'istanza di differimento di esecuzione della pena. Il codice penale prevede due tipi di differimento (rectius rinvio):
Il beneficio di cui all'art. 147 c.p. non può essere concesso se il giudice di sorveglianza ritiene che sussista “il concreto pericolo di commissione di delitti”, profilo che, viceversa, è irrilevante nei casi previsti dall'art 146 c.p.. Mette conto rammentare che il provvedimento applicativo del differimento può essere adottato sia prima che abbia avuto inizio l'esecuzione della pena (in tal caso l'esecuzione viene rinviata, o, appunto, differita), sia dopo che il condannato abbia fatto ingresso in carcere con conseguente inizio dell'esecuzione della pena: in tal caso se il giudice di sorveglianza ordina sic e simpliciter la liberazione del condannato, l'esecuzione viene ad essere sospesa. Occorre infatti tener presente che in forza di quanto stabilisce l'art. 47-ter, comma 1-terord. penit. il giudice di sorveglianza può disporre, in alternativa al differimento, sia obbligatorio che facoltativo, l'applicazione della detenzione domiciliare: in questo caso l'esecuzione della pena non viene sospesa, ma prosegue in un regime diverso e sicuramente meno afflittivo.
Come detto il Tribunale di Macerata, investito dal condannato in funzione di giudice dell'esecuzione, si era dichiarato incompetente ed aveva disposto la trasmissione degli atti al Tribunale di Sorveglianza di Ancona; quest'ultimo, a sua volta, aveva escluso la propria competenza affermando che il differimento di esecuzione della pena può essere concesso soltanto al condannato che deve espiare una pena vera e propria mentre non può essere considerata tale il lavoro di pubblica utilità; inoltre in forza di quanto prevede l'art. 47-ter, comma 1-terord. penit. il giudice di sorveglianza è legittimato, a fronte di una domanda di differimento, ad applicare in luogo di tale beneficio, la misura alternativa della detenzione domiciliare, soluzione che comporterebbe la sottoposizione del condannato ad un trattamento sanzionatorio più grave rispetto a quello stabilito dal giudice della cognizione, senza che ciò possa essere giustificato da una condotta negativa del condannato stesso. Secondo il Tribunale di Sorveglianza l'istanza del condannato doveva essere qualificata come richiesta volta ad ottenere la modifica delle modalità di esecuzione dei lavoro di pubblica utilità, con la conseguenza il giudice competente a pronunciarsi su tale richiesta deve essere individuato nel giudice dell'esecuzione. Le soluzioni giuridiche
Come anticipato la Corte di Cassazione ha disatteso le argomentazioni svolte dal Tribunale di Sorveglianza e ha risolto il conflitto di competenza nel senso indicato dal Tribunale di Macerata. Le ragioni addotte dalla Suprema Corte a fondamento di questa decisione sono sostanzialmente due: la prima riguarda la natura giuridica del lavoro di pubblica utilità, la seconda attiene alla qualificazione dell'istanza avanzata dal condannato. In primo luogo la Corte afferma che il lavoro di pubblica utilità costituisce una vera e propria sanzione penale. La sentenza in commento conferma l'orientamento espresso da Cass. pen., Sez. I,28 marzo 2007, n.37949, in C.E.D. Cass., n. 238087 (relativa al lavoro di pubblica utilità applicabile ai sensi dell'art 73, comma 5-bis D.P.R. n. 309 del 1990 e s.m.i.) e da Cass. pen., Sez. I,7 novembre 2012, n.20726, Cinciripini, in C.E.D. Cass., n. 254997 secondo cui «la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità costituisce una norma di diritto penale sostanziale che trova applicazione secondo i principi generali previsti dell'art. 2 c.p. e che in concreto risulta più favorevole del beneficio di cui all'art. 163 c.p.» (nella motivazione la Corte ha affermato anche il principio della incompatibilità tra sospensione condizionale e lavoro di pubblica utilità: «[...] invero sarebbe quanto mai singolare ed irrazionale che l'eventuale lavoro sostitutivo comporti, comunque, il mantenimento della sospensione condizionale in quanto l'effetto estintivo del reato - ma anche il dimezzamento della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida – derivante per l'imputato dall'esito positivo dell'attività lavorativa sostitutiva, in tanto può verificarsi in quanto quell'attività venga effettivamente prestata»; sull'incompatibilità tra i due istituti cfr., anche e tra le altre, Cass. pen., Sez. IV, 2 luglio 2015, n.30365, Zuncheddu, inedita). In merito alla natura giuridica del lavoro di pubblica utilità cfr. anche Cass. pen., Sez. I,9 luglio 2019, n. 35396, Cesselli, inedita, che con riferimento alla pena sostitutiva prevista dall'art. 73, comma 5-bis D.P.R. 309/1990 e s.m.i., ha statuito che «la prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, incidendo sulla libertà personale e venendo disposta in sostituzione della pena detentiva, riveste pacificamente la qualità di sanzione penale, partecipando della natura afflittiva propria di tale tipologia di sanzioni. Pertanto, ove si verifichi l'ipotesi della revoca della sanzione per il parziale adempimento della prestazione, occorre tener conto nella determinazione della pena da scontare delle restrizioni subite dal condannato». In secondo luogo la Corte afferma che l'istanza avanzata dal condannato che aveva allegato la sussistenza di motivi di salute incompatibili con l'esecuzione di una pena, doveva essere qualificata non come una richiesta di modifica delle modalità di esecuzione della pena sostitutiva, ma come una vera e propria istanza di differimento di esecuzione della pena ex artt. 146 e 147 c.p. Pertanto mentre nel primo caso (istanza di modifica) la competenza a decidere spetta al giudice dell'esecuzione (Cass. pen., Sez. I,2 luglio 2013, n. 29227, in C.E.D. Cass., n. 256800), nel secondo la competenza deve essere attribuita al Tribunale di Sorveglianza quale giudice «precipuamente configurato per bilanciare il diritto alla salute di un condannato con l'esigenza di garantire l'effettività all'esecuzione della sentenza di condanna». Tale soluzione trova una indiretta conferma nell'art. 684, comma 1, c.p.p. nella parte in cui questa norma attribuisce al Tribunale di Sorveglianza la competenza a decidere in merito al differimento, facoltativo ed obbligatorio, non solo delle pene detentive, ma anche di quelle sostitutive della semidentenzione e della libertà controllata di cui agli artt. 55 e 56 della legge n. 689 del 1981 e s.m.i. In questa prospettiva la Corte considera particolarmente significativo il riferimento alla libertà controllata che consente di escludere «ogni dubbio sul fatto che anche le sanzioni non detentive possono essere rinviate in caso di problematiche sanitarie». Osservazioni
Come accennato il Tribunale di Sorveglianza chiamato a decidere su una domanda di differimento di esecuzione della pena, in virtù di quanto prevede l'art. 47-ter, comma 1-ter,ord.penit., può concedere al condannato, in luogo del differimento la detenzione domiciliare. Sembra tuttavia da escludersi che tale potere di scelta sia esercitabile nel caso in cui la domanda di differimento di esecuzione sia stata avanzata dal condannato al quale è stata applicata la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità. Tale soluzione comporterebbe infatti la sottoposizione del reo ad un trattamento sanzionatorio più rigoroso di quello stabilito dal giudice della cognizione, essendo evidente che la detenzione domiciliare comporta, in termini di limitazioni della libertà personale, un grado di afflittività superiore a quello che connota il lavoro di pubblica utilità. Risulterebbe così violato il principio generale in forza del quale il trattamento sanzionatorio determinato dal giudice dell'esecuzione non può essere più afflittivo rispetto a quello stabilito dal giudice della cognizione. D'altra parte nessuna norma prevede che il lavoro di pubblica utilità possa essere “sostituito” in executivis con la detenzione domiciliare. Occorre inoltre rammentare che l'art. 147 c.p. prevede che il differimento di esecuzione della pena possa essere concesso soltanto in caso di grave infermità fisica, mentre resta escluso dall'ambito di applicazione del beneficio il caso in cui il condannato sia affetto da una malattia psichiatrica. In argomento è di recente intervenuta la Corte Costituzionale che con la sentenza 19 aprile 2019 n. 99 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1-ter ord. penit. nella parte tale norma non prevede che in caso di grave infermità psichica, il Tribunale di Sorveglianza possa disporre l'applicazione del condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di pena (quattro anni) di cui al comma 1 dello stesso art. 47-ter. Per effetto di tale sentenza in casi di grave infermità psichica del condannato il giudice di sorveglianza non potrà disporre il differimento di esecuzione della pena (l'art. 147 c.p. non è stato inciso dalla sentenza della Corte Costituzionale cosicché l'ambito di applicazione del differimento resta circoscritto all'ipotesi della infermità fisica), ma eventualmente applicare la detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1–terord. penit., beneficio che in questo caso particolare (infermità psichica) non rappresenta una alternativa al differimento, ma la misura destinata a subentrare al ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario (ricovero oggi da eseguirsi nelle Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza - R.E.M.S.) di cui all'art. 148 c.p. (norma che secondo la Corte Costituzionale è divenuta inapplicabile perché superarata da disposizioni legislative che, pur senza disporne espressamente l'abrogazione, l'hanno completamente vuotata di contenuto precettivo). Si profila pertanto il problema dell'individuazione del beneficio applicabile nel caso in cui la persona che deve espiare la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità abbia avanzato una domanda di differimento di esecuzione allegando una grave infermità psichica: da un lato non sembra concedibile il differimento di cui all'art. 147 c.p. perché, anche dopo la sentenza n. 99 del 2019, l'ambito di applicazione di tale istituto rimane circoscritto alla accertata sussistenza di una grave infermità fisica, dall'altro, per le ragioni sopra accennate, deve escludersi la possibilità che il giudice di sorveglianza possa disporre l'applicazione della detenzione domiciliare. |