L'individuazione degli atti interruttivi della prescrizione nel processo avverso gli enti collettivi

Ciro Santoriello
23 Settembre 2019

Nel risolvere la questione inerente l'individuazione del momento della produzione degli effetti interruttivi della contestazione, la sentenza in esame ricorda che alcune pronunce hanno sostenuto che «in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto atto di contestazione dell'illecito...
Massima

In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio

Il caso

Nell'ambito di un procedimento penale per infortunio sul lavoro, cui era coinvolta, oltre alla persona fisica del datore di lavoro, anche la società presso il quale svolgeva le proprie funzioni l'infortunato, il Tribunale di Rimini ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della persona giuridica per intervenuta prescrizione dell'illecito di cui all'art. 25-septies, comma 2, d.lgs. 231/2001, in relazione al reato di cui all'art. 590, commi 2 e 3,c.p. La sentenza di merito, dato atto che il termine di prescrizione di cui all'art. 22 d.lgs. 231/2001, regolante la disciplina della prescrizione dell'illecito amministrativo, dipendente da reato dell'ente, è di cinque anni, a far data dalla commissione dell'illecito e che il secondo comma della disposizione dispone che detto termine si interrompa a seguito della contestazione dell'illecito amministrativo fatta a norma dell'art. 59 d.lgs. 231/2001, si fondava sulla considerazione che la richiesta di rinvio a giudizio, in quanto atto di contestazione dell'illecito, produce l'effetto interruttivo solo se, oltre che emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo applicarsi, ai sensi dell'art. 11, primo comma, lett. r), l. 29 settembre 2000, n. 300, le norme del codice civile sull'interruzione della prescrizione (Cass. pen., Sez.VI, 12 febbraio 2015, n. 18257); essendo nel caso di specie il decreto di rinvio a giudizio stato ritualmente notificato solo oltre il detto termine di cinque mesi, l'illecito era ritenuto estinto per prescrizione.

La sentenza è stata impugnata in Cassazione dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Rimini, contestando l'intervenuta prescrizione e ciò in quanto nel procedimento in parola il decreto di citazione a giudizio risultava già stato notificato una prima volta prima dei cinque anni. In particolare, in sede dibattimentale, alla prima udienza, il Tribunale, accogliendo l'eccezione della difesa che lamentava l'omessa notifica al difensore d'ufficio della società, rimetteva gli atti al Procuratore della Repubblica, che provvedeva all'emissione di nuovo decreto di rinvio a giudizio, ritualmente notificato dopo il termine prescrizionale; secondo l'ufficio di Procura, tuttavia, la natura civilistica dell'istituto della prescrizione dell'illecito amministrativo, impone di ritenere che, nonostante la dichiarazione di nullità, la prescrizione si sia interrotta in occasione della prima notifica e ciò in quanto le notifiche irregolari dell'atto di citazione, in quanto contenenti gli estremi dell'addebito, se non consentono il corretto esplicarsi del diritto di difesa nel procedimento sanzionatorio, allorquando sia omessa la notifica al difensore della persona giuridica, nondimeno, instaurano nei suoi confronti il rapporto processuale. In proposito, viene richiamata la giurisprudenza penalistica e del lavoro, secondo cui la domanda giudiziale invalida riveste la natura di atto di costituzione in mora, avente efficacia interruttiva della prescrizione, che dimostra, ancorché non perfettamente in termini, che il vizio dell'omessa notifica al difensore, in quanto vizio processuale, non si ripercuote sulla natura sostanziale del decreto di citazione, idoneo ad interrompere la prescrizione.

La questione

Come è noto, la disciplina in tema di prescrizione nel processo contro gli enti prevede che

«1. le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato. 2. Interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell'illecito amministrativo a norma dell'articolo 59. 3. Per effetto della interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione. 4. Se l'interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell'illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio» (in giurisprudenza, cfr. Cass. pen., Sez. II, 15 dicembre 2001, Cerasino, in Mass. Uff., n. 256705, secondo cui «in tema di responsabilità da reato degli enti, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica intervenuta entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe il corso della prescrizione e lo sospende fino alla pronunzia della sentenza che definisce il giudizio»; Cass. pen., Sez. V, 4 aprile 2013, Citibank, in Mass. Uff., n. 255415, secondo cui, l'intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all'ente dell'illecito non ne determina l'estinzione per il medesimo motivo, giacché il relativo termine, una volta esercitata l'azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica).

Le ragioni per cui il legislatore è pervenuto a una regolamentazione dell'istituto della prescrizione nell'ambito del procedimento contro le persone giuridiche così divergente rispetto al regime che il medesimo istituto ha in sede di processo penale nei confronti di persone fisiche sono rinvenute nella presente decisione nella circostanza che da un lato l'illecito dell'ente è un illecito amministrativo e quindi pare opportuno il richiamo a quanto in tema di prescrizione dispone l'art. 28 legge n.689/1981 e dall'altro che la disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 231/2019 realizza un adeguato bilanciamento fra le esigenze di durata ragionevole del processo - essendo comunque previsto un termine di prescrizione breve, pari a soli cinque anni dalla consumazione dell'illecito - e le esigenze di garantire un'adeguata completezza dell'accertamento giurisdizionale riferito a una fattispecie complessa come quella relativa all'illecito amministrativo dell'ente. In particolare, l'effetto di un tale bilanciamento risiede nella tendenziale riduzione del rischio di prescrizione una volta che, esercitata l'azione penale, si instauri il giudizio, con il contrappeso rappresentato dalla ridotta durata del termine di prescrizione, fissato per tutti gli illeciti in cinque anni, termine sensibilmente più breve rispetto a quanto previsto dal codice penale.

Si ricorda comunque che, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice deve comunque procedere all'accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Cass. pen., Sez. VI, 25 gennaio 2013, Barla, in Mass. Uff., n. 255369).

La disciplina suddetta è già stata denunciata per contrasto con gli artt. 3, 24, secondo comma, e 111 Cost., ma la Cassazione (Cass. pen., Sez. VI, 10 novembre 2015, Bonomelli, in Mass. Uff., n. 267047; Cass. pen., Sez. II, 27 settembre 2016, Riva, sul punto non massimata) ha ritenuto manifestatamente infondata la questione di legittimità, atteso che la diversa natura dell'illecito che determina la responsabilità dell'ente, e l'impossibilità di ricondurre integralmente il sistema di responsabilità ex delicto di cui al d.lgs. n. 231 del 2001 nell'ambito e nella categoria dell'illecito penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione. Inoltre, si ritiene che non vi sia alcuna violazione del principio della ragionevole durata del processo e del diritto di difesa anche perché il legislatore ha tenuto conto di tali esigenze, da un lato fissando, all'art. 22 d.lgs. n. 231 del 2001, il termine massimo di cinque anni dalla data di consumazione del reato perché la prescrizione possa essere impedita mediante un atto interruttivo, e dall'altro escludendo in ogni caso, mediante l'art. 60 d.lgs. n. 231 del 2001, la possibilità di procedere alla contestazione dell'illecito all'ente se prima del compimento di tale atto si sia estinto per prescrizione il reato presupposto. Quanto al possibile contrasto con gli artt. 41 e 117 Cost in riferimento all'art. 6 della Convenzione Edu, si ritiene che la previsione nel d.lgs. n. 231 del 2001 di limiti temporali raccordati alla generale disciplina civilistica in materia di prescrizione esclude l'incompatibilità del regime dettato per la prescrizione dell'illecito amministrativo dipendente da reato con il principio di libertà dell'iniziativa economica, mentre la dedotta violazione dell'art. 117 Cost. in riferimento all'art. 6 della Convenzione Edu sarebbe insussistente non potendosi qualificare la responsabilità degli enti collettivi come avente natura penale. Inoltre, la pronuncia di sentenza di prescrizione nei confronti degli imputati persone fisiche non produce alcun pregiudizio per l'ente, sia perché non implica per questo alcun vincolo formale in ordine alla ricostruzione del fatto, sia perché non esonera l'accusa dal dimostrare puntualmente l'esistenza del reato presupposto, sia perché non impedisce all'ente di chiedere l'ammissione e produrre prove utili ad escludere o a far ragionevolmente dubitare della sussistenza del fatto di reato quale imprescindibile componente della «fattispecie complessa» da cui discende la responsabilità amministrativa.

Le soluzioni giuridiche

Nel risolvere la questione inerente l'individuazione del momento della produzione degli effetti interruttivi della contestazione, la sentenza in esame ricorda che alcune pronunce hanno sostenuto che «in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231» (cfr. Cass. pen., Sez. II, 20 giugno 2018, n. 41012; Cass. pen., Sez. II, 20 marzo 2012 n. n. 10822), mentre altre pronunce hanno sostento che, sempre in tema di responsabilità da reato degli enti, «la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione, in quanto atto di contestazione dell'illecito, solo se, oltre che emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo trovare applicazione, ai sensi dell'art. 11, primo comma, lett. r), l. 29 settembre 2000, n. 300, le norme del cod. civ. che regolano l'operatività dell'interruzione della prescrizione» (Cass. pen., Sez. VI, 30 aprile 2015, n. 18257).

Secondo il primo orientamento, dunque, deve considerrasi risolutivo il rinvio dell'art. 59 del d.lgs n. 231 del 2011 all'art. 405, comma 1, c.p.p., che individua fra gli atti di contestazione dell'illecito la richiesta di rinvio al giudizio, ovverosia un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica alle parti, posto che «il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consente di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo; del pari, non è consentito interpolare la norma riconducendo l'effetto interruttivo alla notifica dell'avviso di udienza, ovvero ad un atto a cui la legge non riconosce tale effetto»; di conseguenza, anche nell'ambito del procedimento verso gli enti collettivi, deve ritenersi operante la giurisprudenza secondo cui «in tema dì interruzione della prescrizione del reato, va riconosciuta anche agli atti processualmente nulli la capacità di conseguire lo scopo. Gli atti interruttivi della prescrizione, infatti, hanno valore oggettivo, in quanto denotano la persistenza nello Stato dell'interesse punitivo» (Cass. pen., Sez. V, 2 febbraio 1999, n. 1387). Al contrario, la seconda linea interpretativa valorizza la lettera dell'art. 11 della legge delega n. 300/2000, per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, la cui lett. r) espressamente stabilisce di "prevedere che le sanzioni amministrative di cui alle lettere g), i) e l) si prescrivono decorsi cinque anni dalla consumazione dei reati indicati nelle lettere a), b), c) e d) e che l'interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile".

La Cassazione, con la sentenza in commento, aderisce al primo orientamento, determinandosi per l'annullamento della decisione di merito impugnato. Infatti, anche nell'ipotesi di cui al d.lgs. n. 231 del 2001, l'interruzione della prescrizione è posta a presidio della tutela della pretesa punitiva dello Stato, sicché il regime non può che essere quello previsto per l'interruzione della prescrizione nei confronti dell'imputato e coincidere con l'emissione della richiesta di rinvio a giudizio, in modo del tutto indipendente dalla sua notificazione. Il rinvio alla lettera r) dell'art. 11 della legge delega n. 300/2000 alle norme del codice civile, con cui l'efficacia interruttiva della prescrizione viene ricollegata, dall'indirizzo minoritario, alla notificazione della richiesta di rinvio a giudizio (o più in generale dell'atto di contestazione), che peraltro manca di esplicita attuazione, va nondimeno inteso facendo riferimento al regime previsto dall'art. 2945, comma 2, c.c., nel senso che una volta interrotta la prescrizione, con l'emissione della richiesta di rinvio a giudizio, essa 'non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio', ma ciò nulla a che fare con il momento della produzione degli effetti dell'atto interruttivo, ma solo con il contenuto di quegli effetti, rispetto ai quali, diversamente da quanto previsto per la prescrizione del reato con l'art. 160 c.p., l'interruzione impedisce la decorrenza del termine prescrizionale fino a che il giudizio non sia terminato.

Secondo i giudici di legittimità, la scelta legislativa di far riferimento alla disposizione civilistica, anziché alle previsioni di cui all'art. 160 c.p., deriva dalla natura della pretesa punitiva che sanziona la violazione da parte dell'impresa di norme che implicano limiti di compatibilità dell'azione imprenditoriale con l'interesse generale, come espresso dall'art. 41 Cost., il quale non può declinare di fronte al vantaggio dell'attività d'impresa. Siffatta prevalenza determina la necessità del ricorso ad una normativa - quella civilistica appunto - che renda indifferente il tempo del processo all'irrogazione della sanzione, al fine di non stravolgere priorità collettive, costituzionalmente garantite.

Osservazioni

La sentenza della Cassazione lascia perplessi. Infatti, se è vero che il più volte citato art. 11, primo comma, lett. r), L. 29 settembre 2000, n. 300 espressamente dispone di «prevedere che le sanzioni amministrative [che verranno poi introdotte con il d.lgs. n. 231 del 2001] si prescrivono decorsi cinque anni dalla consumazione dei reati […] che l'interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile" - il quale come detto, configura l'atto di citazione a giudizio come atto ricettizio che esplica i suoi effetti – anche ai fini dell'interruzione della prescrizione – solo se notificato alla controparte. È altresì vero che l'art. 59 del d.lgs. n. 231 del 2011 rinvia al 405, comma 1, c.p.p. che individua come atto di contestazione dell'illecito, ove prevista, la richiesta di rinvio al giudizio, ovvero un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica alle parti, che non è prevista dalla legge, mentre il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consentirebbe di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo.

Orbene, se è pacifico, come la stessa Corte di legittimità espressamente riconosce, che secondo il legislatore delegante la disciplina in tema di interruzione della prescrizione nell'ambito del sistema della responsabilità da reato degli enti collettivi dovesse seguire le cadenze previste per l'analogo istituto dal codice civile, allora la circostanza che il decreto legislativo adottato in esecuzione della predetta legge delega si sia discostato dalle indicazioni di questa ed abbia individuato nell'atto interruttivo della prescrizione l'emissione della richiesta di rinvio a giudizio senza attribuire rilievo alla circostanza che la stessa sia stato meno notificata all'indagato, non dovrebbe indurre la Corte di legittimità a riconoscere prevalenza all'atto delegato piuttosto che alla volontà del delegante quanto far optare la Suprema Corte per una denunzia di costituzionalità della disciplina in oggetto per violazione della legge delega.

Guida all'approfondimento

GALLUCCIO, Ancora in tema di sospensione condizionale e procedimento penale a carico dell'ente, in Cass. Pen., 2012, 3516;

BENDONI, Il rapporto fra confisca per equivalente e prescrizione, ivi, 2014, 1226; SALVATORE, L'interruzione della prescrizione nel sistema del d.lgs 231/2001, in Riv. Resp. Amm. Enti, 2/2009;

BELTRANI, La responsabilità dell'ente da reato prescritto (Commento a Cass. pen., n. 21192, 25 gennaio 2013), ivi,2/2014.

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