La consapevolezza del convivente in merito alla detenzione di sostanze stupefacenti integra il concorso nel reato?
18 Settembre 2019
Massima
In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, all'interno dell'immobile di proprietà comune, integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si ponga in essere un consapevole contributo morale o materiale all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente. Il caso
In data 5 giugno 2018 la Corte di Appello di Roma confermava la penale responsabilità dell'imputato per il reato di cui all'art. 73, comma 4, del d.P.R. n. 309/1990 per aver detenuto, in concorso con il fratello, n. 102 piante di marijuana rinvenute all'interno di un box facente parte dell'azienda agricola familiare e rideterminava la pena rispetto a quella inflittagli dal giudice di primo grado, confermando la confisca dei beni in sequestro, compreso il cellulare del medesimo. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione l'imputato adducendo tre motivi: in relazione al vizio motivazionale, l'insussistenza di elementi probatori a fondamento del delitto contestato e l'insussistenza della premessa fattuale su cui è stato fondato il giudizio di colpevolezza, per avere i giudici di appello, pur riconoscendo la vastità dell'area nella disponibilità dei due fratelli ed escludendo che il messaggio rinvenuto sul cellulare dell'imputato fosse riferibile alla detenzione di droga, ritenuto erroneamente un collegamento tra il luogo in cui erano state rinvenute le piante di marijuana ad essiccare ed il prevenuto; in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 73 del d.P.R. n. 309/1990 e 110 c.p. e al vizio motivazionale, la non configurabilità del concorso con il fratello, coimputato, difettando i presupposti per la ravvisabilità di un contributo causale apportato all'azione delittuosa alla luce del fatto che egli aveva tenuto una condotta meramente passiva di mancata opposizione alla detenzione della droga che poteva rivestire soltanto gli estremi della connivenza non punibile, poiché la frequentazione da parte di costui dei luoghi nei quali veniva detenuta la droga, non era sufficiente ad integrare un contributo neppure morale alla causazione del reato; in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 240, comma 1, c.p. e al vizio motivazionale, l'illegittimità della confisca del telefono cellulare in mancanza di un legame strumentale di carattere continuativo tra l'apparecchio dell'imputato e il reato ascrittogli. La Suprema Corte con la Sentenza di cui si tratta, ha accolto il primo e secondo motivo di ricorso, restando il terzo assorbito, annullando la sentenza con rinvio per nuovo giudizio. La questione
La questione presa in esame è la seguente: come deve essere qualificata la condotta di colui che è consapevole della detenzione di sostanze stupefacenti da parte del soggetto con il quale convive, concorso nel reato o connivenza non punibile? Le soluzioni giuridiche
Preliminarmente, è bene sottolineare quale sia la distinzione tra connivenza non punibile e concorso di persone nel reato commesso da altro soggetto. Rilevante a tale fine è certamente anche il contesto in cui si realizza il reato che comprende soprattutto il rapporto tra il connivente/concorrente e l'autore dello stesso. La connivenza non punibile presuppone un atteggiamento passivo o di evidente inerzia da parte del soggetto preso in esame, il quale, nonostante sia a conoscenza della commissione di un reato, resta estraneo allo svolgimento e alla configurazione dello stesso. Il concorso di cui all'art. 110 c.p. richiede, invece, un contributo causale, materiale o psicologico, che abbia consentito una più agevole commissione del delitto, stimolando o rafforzando il proposito criminoso del concorrente. In tale condotta sono ravvisabili gli elementi del concorso nel reato, sia quello soggettivo, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla realizzazione del reato, sia quello oggettivo della connessione tra condotta ed evento. Peraltro, ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Pertanto, anche l'atteggiamento di "non intervento" idoneo ad aumentare la possibilità di produzione del fatto illecito e di contribuire apprezzabilmente alla realizzazione del delitto attraverso il rafforzamento della volontà dell'esecutore materiale, può assumere il significato di vera e propria adesione all'altrui azione criminosa quando risulta evidente che il concorrente morale si sia rappresentato l'evento del reato ed abbia partecipato ad esso esprimendo una volontà criminosa uguale a quella dell'autore materiale. Tale condotta può essere manifestata anche solo assicurando all'altro concorrente stimolo all'azione o un maggior senso di sicurezza nella propria condotta, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa. Il contributo partecipativo, quindi, può essere di qualsiasi genere, anche minimo, purché sia caratterizzato, sotto il profilo psicologico, dalla coscienza e volontà di arrecare un contributo concorsuale alla realizzazione dell'evento illecito. Secondo la Suprema Corte, la declinazione di tali principi al reato di detenzione di sostanze stupefacenti rinvenute in un immobile nella proprietà o nel possesso in comune con chi è incontroverbilmente dedito al traffico di stupefacenti, si interseca con la necessità di individuare il limite che il godimento comune dell'immobile comporta rispetto al concorso nella detenzione della droga. Pertanto, la semplice condotta omissiva del connivente, il semplice comportamento negativo di quest'ultimo che si limita ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisce od ostacola in vario modo l'esecuzione, non è sufficiente a fondare un'affermazione di responsabilità a titolo di concorso nel reato in quanto non sussiste, in tale caso, un obbligo giuridico di impedire l'evento, come invece disposto dall'art. 40, comma 2, c.p. Alla luce di ciò, essere semplicemente a conoscenza dell'altrui attività di spaccio e il conseguente comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in casa di droga da parte di altri, non costituisce segno univoco di partecipazione morale. Di contro, per la configurazione del concorso, è sufficiente la partecipazione all'altrui attività criminosa con la volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all'agente una certa sicurezza (ad esempio consenso all'occultamento della droga) ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nell'altro di poter contare su una propria attiva collaborazione. Per aversi concorso nel reato e non mera connivenza non punibile, quindi, è necessario che il convivente non tenga un comportamento meramente passivo, ma quanto meno agevoli la detenzione della droga consentendone l'occultamento. Per detenzione deve intendersi l'avere la disponibilità di una determinata cosa, cioè la concreta possibilità di prenderla, in qualsiasi momento, senza la necessaria collaborazione di altri. In definitiva, alla luce di giurisprudenza ormai granitica, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato va individuata nel fatto che la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, che si realizza anche solo assicurando all'altro concorrente lo stimolo all'azione criminosa o un maggiore senso di sicurezza, rendendo in tal modo palese una chiara adesione alla condotta delittuosa, anche attraverso forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente (Cass. pen., Sez. III, n. 34985/2015 e n. 41055/2015; Sez. VI, n. 47562/2013; n. 44633/2013 e n. 14606/2010; Sez. IV, n. 4948/2010 e n. 11392/2006). Su tali presupposti, la giurisprudenza di legittimità ha applicato più volte i suddetti principi a diversi casi, ritenendo: che non è sufficiente a integrare il concorso nel reato di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, la consapevolezza di un soggetto della detenzione di droga con finalità di spaccio da parte del convivente e la mancanza di denuncia all'autorità giudiziaria o di polizia (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 11383/1994); che non è sufficiente per configurare il concorso nella detenzione di sostanza stupefacente, il semplice accertamento di un rapporto di coabitazione nell'appartamento in cui la droga era custodita (Cass. pen., Sez. III, sentenza n. 41055/2015); che la responsabilità per concorso in detenzione di sostanze stupefacenti di donna convivente non può essere desunta dalla circostanza che la droga sia conservata nel frigorifero e nell'armadietto del bagno della casa familiare, sul rilievo che trattasi di zone di pertinenza e di cura della donna, in quanto, anche prescindendo dalla evoluzione dei costumi a riguardo della vocazione un tempo domestica della donna, non è consentita una ripartizione di zone di pertinenza maschile o femminile della casa o degli oggetti comuni per inferirne una conseguente responsabilità penale, altrimenti da estendere a tutti i componenti il nucleo familiare quali codetentori delle cose di uso comune. Una siffatta responsabilità - ma solo a titolo contravvenzionale - è talvolta prevista dall'ordinamento, come per l'obbligo di denunzia all'autorità da parte di chiunque abbia notizia che in un luogo da lui abitato si trovano armi o munizioni (art. 697, comma 2, c.p.), ma nessun obbligo specifico in tal senso grava sulle persone conviventi con il detentore di sostanze stupefacenti, onde la semplice convivenza non può essere assunta quale prova del concorso morale (Cass. Sez. VI, n. 7370/1991).
In conclusione, quindi, si ha concorso nel reato ai sensi dell'art. 110 c.p. e non semplice connivenza, ogni qualvolta l'agente partecipi in qualsiasi modo alla realizzazione dell'illecito e quindi anche quando con la propria presenza agevoli o rafforzi il proposito criminoso altrui, poiché tale situazione è ben diversa, sotto il profilo ontologico e giuridico dell'adesione interna ad una altrui realizzazione criminosa, che nessun contributo arreca alla commissione del delitto. Deve, invece, essere escluso il concorso del convivente in ipotesi di semplice comportamento negativo di quest'ultimo che si limiti ad assistere passivamente alla perpetrazione del reato e non ne impedisca od ostacoli in vario modo l'esecuzione. Sulla base di quando esposto, la Corte ha rilevato che, nel caso di specie, l'ubicazione del box all'interno dell'azienda agricola di comproprietà dei due fratelli non consentiva di attribuire la detenzione della marijuana rinvenuta all'imputato ricorrente e che la Corte di Appello di Roma non aveva chiarito in cosa fosse consistito il contributo causale da questi fornito all'azione criminosa definitivamente accertata nei confronti del fratello. Osservazioni
Le affermazioni di principio contenute nella sentenza, ribadiscono la costante e pacifica giurisprudenza che ormai da anni tratta l'argomento. La Corte di Cassazione, però, ha affrontato una situazione sempre attuale e nella quale i confini tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto sono sì ben delineati, ma allo stesso tempo molto sottili, come è dimostrato, nel caso di specie, dall'esito del giudizio di cassazione (annullamento con rinvio), a fronte di una conforme pronuncia di condanna nei due gradi del giudizio di merito. È stato, pertanto, ancora una volta necessario chiarire la differenza esistente tra le due condotte al fine di dirimere i dubbi interpretativi che possono sorgere nelle diverse fattispecie concrete. |