Concorso esterno in associazione mafiosa e principio di legalità CEDU: in attesa delle Sezioni Unite, un altro stop per i “fratelli minori” di Contrada
28 Agosto 2019
Massima
Deve escludersi che la sentenza Contrada sia riuscita a dimostrare il carattere non tassativo dell'incriminazione del concorso esterno nel reato associativo e che possa porsi, già in astratto, come parametro di valutazione della coerenza, rispetto all'articolo 7 CEDU, di condanne diverse da quelle del ricorrente vincitore a Strasburgo. Il caso
La difesa di Marcello Dell'Utri aveva presentato istanza di revisione della condanna inflitta con sentenza della Corte d'appello di Palermo del marzo 2013, che l'aveva ritenuto responsabile del delitto di concorso esterno in associazione mafiosa per condotte contestate sino all'anno 1992, azionando il peculiare strumento della revisione c.d. europea introdotta nel 2011 dalla Corte costituzionale per consentire l'adeguamento dell'ordinamento interno (mediante riapertura del processo) alle pronunce della Corte europea, al fine di garantirne l'effetto conformativo previsto dall'art. 46 CEDU. L'istanza di revisione propugnava la tesi secondo cui sarebbe possibile estendere ad altri condannati (e dunque anche a Dell'Utri) la portata della sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell'uomo aveva accolto il ricorso proposto da Bruno Contrada contro l'Italia (Corte EDU, Sez. IV, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia), ritenendo che la condanna subita da quest'ultimo per il reato di cui agli artt. 110 e 416-bis c.p., posto in essere prima del 1994 (ossia prima dell'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite Demitry), rappresentasse una violazione dell'art. 7, par. 1 CEDU, in quanto pronunciata sulla base di una norma incriminatrice che, al momento della commissione dei fatti, non era sufficientemente chiara e prevedibile. La Corte d'appello di Caltanissetta aveva rigettato la richiesta di revisione avanzata da Dell'Utri, con sentenza avverso la quale il condannato aveva proposto ricorso per cassazione. La Quinta Sezione Penale della Suprema Corte, con la pronuncia in commento, respingeva il ricorso, escludendo espressamente che la sentenza emessa dalla Corte europea nel caso Contrada potesse spiegare effetti anche nei confronti dei suoi “fratelli minori”. La questione
L'annoso dibattito sulla configurabilità giuridica del reato di concorso esterno in associazione mafiosa si salda, nella pronuncia in commento, con la tematica del rispetto dei requisiti di determinatezza del precetto penale e di prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie a esso associate, sanciti a livello sovranazionale dall'art. 7 CEDU, così come interpretato dalla Corte EDU nell'affaire Contrada c. Italia (Corte EDU, Sez. IV, 14 aprile 2015, Contrada c. Italia). In detta pronuncia la Corte di Strasburgo aveva censurato lo Stato italiano per la violazione del principio di legalità e dei suoi corollari di irretroattività e determinatezza, in relazione alla condanna irrevocabile pronunciata a carico dell'allora ricorrente per la fattispecie di “concorso esterno” nel reato dell'art. 416-bis c.p., con riferimento a fatti commessi tra il 1979 e il 1988. La Corte europea, chiamata a valutare se l'incriminazione fosse sufficientemente chiara, prevedibile e basata su una previsione legale, muovendo dalla nozione convenzionale “estesa” di law (comprensiva non soltanto del diritto scritto, ma anche dell'elaborazione giurisprudenziale), aveva ritenuto che la condanna irrogata al ricorrente avesse applicato la fattispecie – ritenuta di matrice giurisprudenziale – in spregio del principio di irretroattività della norma penale, poiché le condotte contestate risalivano a un'epoca in cui non era ancora consolidato il dibattito pretorio sull'ammissibilità del concorso eventuale nei reati associativi, infine sedato dall'intervento risolutore delle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 5 ottobre 1994, n. 16, Demitry). Per tale ragione, la Corte di Strasburgo aveva ritenuto violato il canone di prevedibilità (foreseeability) del precetto penale e della relativa sanzione – che fonda, insieme al requisito di accessibilità (accessibility) della norma penale, il principio di legalità convenzionale: secondo il giudice europeo, lo stato “fluido” della giurisprudenza, al momento della condotta, avrebbe impedito all'agente di essere pienamente consapevole delle conseguenze giuridiche del proprio agire e, dunque, di determinarsi in modo libero e consapevole rispetto al perimetro del rimprovero penale. Il problema consequenziale, esaminato dalla Cassazione con la sentenza in commento, attiene dunque alla possibilità di estendere direttamente, senza passare attraverso il “filtro” del giudizio europeo, i principi enunciati nel caso Contrada ai suoi “fratelli minori”, ossia a quei soggetti che, pur senza aver adito la Corte europea, si trovino in una posizione sostanziale identica rispetto al ricorrente vittorioso a Strasburgo. Sul medesimo tema, peraltro, è recentemente intervenuta la Sesta Sezione della stessa Suprema Corte, che, in una pregevole ordinanza pubblicata poco prima della sentenza in commento (Cass. Pen., Sez. VI, ord. 23 marzo 2019, n. 21767, Genco), ha rimesso alle Sezioni Unite la complessa e articolata questione dell'estensibilità dei principi enunciati nella sentenza Contrada alle vicende dei “fratelli minori”, formulando, alla luce del frastagliato panorama giurisprudenziale in materia, alcuni quesiti sulla portata generale delle sentenze della Corte europea e sui rimedi concretamente percorribili dai condannati non ricorrenti a Strasburgo ai fini della rimozione del giudicato convenzionalmente illegittimo. Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento segue un itinerario argomentativo diverso da quello tracciato dalla ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite e, ponendosi in posizione di aperta critica degli approdi della sentenza Contrada, rileva come in essa mancherebbe una compiuta analisi della giurisprudenza sul tema del concorso esterno, ritenuta imprescindibile proprio per il fatto che nell'elaborazione giurisprudenziale, secondo la Corte europea, tale fattispecie affonderebbe le proprie radici. Nel vaglio preliminare di ammissibilità del ricorso presentato da Dell'Utri, peraltro, la Suprema Corte riconosce la correttezza del “canale” processuale utilizzato dal ricorrente – la revisione c.d. europea aggiunta nel catalogo dell'art. 630 c.p.p. dall'intervento additivo della Consulta – dedicando un pregevole excursus sulla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi in relazione alla sorte processuale delle vicende giudiziarie dei “fratelli minori”, già definite con sentenza irrevocabile e non investite da ricorso dinanzi alla Corte europea. In linea di principio, infatti, l'obbligo di “recepimento” delle disposizioni convenzionali, così come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, non concerne i casi diversi da quelli oggetto dello scrutinio avanti al giudice europeo, risultando in tal modo salvaguardata l'intangibilità del giudicato formatosi nei confronti di coloro che, esauriti i ricorsi interni, non si siano rivolti al sistema della giustizia della CEDU (così, Corte cost., 3 luglio 2013, n. 210). Nondimeno – rileva la Corte – detta regola soffre di una deroga applicativa dinanzi all'accertamento da parte della Corte europea di una «violazione di sistema» (quale è, ad esempio, il deficit di prevedibilità di una fattispecie incriminatrice), giacché l'assolutezza del giudicato finirebbe per eludere e sterilizzare proprio quell'effetto conformativo imposto dall'articolo 46 CEDU (in questi termini, Corte cost. 23 marzo 2016, n. 57). Risulta pertanto decisivo, secondo la Cassazione, verificare non solo, a valle, la natura sistematica della violazione, ma anche, a monte, il carattere consolidato della giurisprudenza della Corte europea sul tema controverso, onde poter selezionare, infine, lo strumento interno idoneo a garantire la tutela del condannato in via definitiva. Pur giudicato ammissibile lo strumento della revisione cd. europea per i “fratelli minori” di Contrada, e dunque anche per Dell'Utri, la Cassazione ritiene tuttavia infondate le censure avanzate dal condannato, imperniate sulla tesi della natura strutturale della violazione ex art. 7 CEDU e del carattere “consolidato” della giurisprudenza espressa nel caso Contrada c. Italia, già rigettata dal giudice della revisione. La chiave di volta delle argomentazioni della Cassazione è rinvenibile nei principi affermati dalla nota pronuncia costituzionale (Corte cost., 26 aprile 2015, n. 49) secondo cui il giudice nazionale è tenuto a uniformarsi alla giurisprudenza europea soltanto ove essa sia espressione di un “diritto consolidato” ovvero costituisca essa stessa una sentenza c.d. pilota (nozione oggi riconosciuta nell'art. 61 del Regolamento della Corte europea e nata dalla sua prassi giurisprudenziale, cfr. Corte EDU, 22 giugno 2004, Broniowski c. Polonia); nessun obbligo, al contrario, sussiste a fronte di pronunce che non siano espressive di un orientamento ormai divenuto definitivo, nei termini di un «well established case law» ricorrente allorché quel filone interpretativo sia stato «consistently applied by a Chamber» (secondo quanto previsto dall'Explanatory Report al Prot. 14 CEDU, modificativo dell'art. 28 CEDU). La Suprema Corte, apparentemente senza voler sminuire il valore interpretativo associato a ogni sentenza della Corte europea, pone dunque il tema di «come ricostruire il significato della giurisprudenza europea, soggetta, come qualunque riflessione giuridica, a continui approfondimenti e verifiche», nell'ottica di stabilire l'«indiscusso valore vincolante del precedente nel caso sottoposto alla Corte europea», in quanto tale idoneo a irradiare i propri effetti sulle vicende dei “fratelli minori”. Se non è in dubbio, infatti, la centralità del principio affermato dalla Corte europea nel 2015 – sotto il profilo della sufficiente chiarezza della base incriminatrice e della prevedibilità delle conseguenze dell'agire umano, quale espressione del più ampio principio di legalità – a giudizio della Suprema Corte è tuttavia censurabile «il modo in cui il principio è stato declinato nel caso Contrada […] alla luce della naturale evoluzione della riflessione giuridica e soprattutto attraverso una analisi della pertinente giurisprudenza che nella sentenza Contrada è del tutto carente». La parzialità della lettura operata dalla Corte europea rinverrebbe un proprio indice sintomatico nell'affermazione – allora non ritenuta in discussione tra le parti del giudizio europeo – circa l'origine “giurisprudenziale” (infraction d'origin jurisprudentielle) del concorso esterno in associazione mafiosa: considerazione che, lungi dall'attestare l'ovvio – ossia che l'incriminazione nasce dall'applicazione integrata tra norma generale sul concorso eventuale e fattispecie di parte speciale – tradirebbe l'omessa/erronea considerazione del giudice europeo degli stessi principi in tema di «certezza applicativa derivante dalla costante applicazione delle Corti» recepiti in seno all'istituzione convenzionale. E, proprio nell'ottica di dimostrare la fallacia delle conclusioni raggiunte nel caso Contrada, la sentenza in commento valorizza alcuni precedenti della Corte europea (Corte EDU, 22 novembre 1995, S.W. c. Regno Unito; Corte EDU, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna) ove la stessa ha cercato di definire lo “statuto” della prevedibilità del precetto penale, declinata nella sua accezione giurisprudenziale pacificamente coperta dall'articolo 7 CEDU (Corte EDU, 25 marzo 1993, Kokkinakis c. Grecia). In breve, secondo la Cassazione, se la Corte europea avesse fatto buon governo dei canoni in materia di prevedibilità dei flussi giurisprudenziali, meglio e diversamente avrebbe potuto apprezzare i precedenti di legittimità in tema di concorso esterno che riconoscevano consistenza applicativa all'istituto del concorso eventuale nei reati necessariamente plurisoggettivi, e, parimenti, avrebbe potuto attribuire il giusto “peso” alle sporadiche oscillazioni pretorie antecedenti alla sentenza Demitry del 1994, quali step di assestamento della fisiologica evoluzione giurisprudenziale, all'epoca dei fatti contestati in tutto prevedibile. L'annotato (temporaneo) epilogo del caso Dell'Utri segna dunque una battuta d'arresto nel procedimento di revisione convenzionalmente imposta delle condanne per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti commessi (quantomeno) prima del 1994, se è vero che – come asserito dalla Cassazione – deve «escludersi che la sentenza Contrada sia riuscita a dimostrare il carattere non tassativo dell'incriminazione […] e che, in definitiva, possa porsi, già in astratto, come parametro di valutazione della coerenza di condanne diverse da quelle del Contrada rispetto all'art. 7 della Convenzione». S. BERNARDI, Troppe incertezze in tema di “fratelli minori”: rimessa alle Sezioni Unite la questione dell'estensibilità erga omnes della sentenza Contrada c. Italia, in Dir. pen. cont., 13 giugno 2019; M. DONINI, Fattispecie o case law? La “prevedibilità del diritto” e i limiti alla dissoluzione della legge penale nella giurisprudenza, in Quest. giust., 4/2018, pp. 79 ss.; F. VIGANÒ, Il principio di prevedibilità della decisione giudiziale in materia penale, in C.E. Paliero, S. Moccia, G.A. De Francesco, G. Insolera, M. Pelissero, R. Rampioni e L. Risicato (a cura di), La crisi della legalità. Il «sistema vivente» delle fonti penali”, pp. 213 ss.; A. BIGIARINI, Il caso Contrada e l'esecuzione delle sentenze della CEDU. Il punto di vista del processualista, in Dir. pen. proc., 2/2018, pp. 232 ss. |