Bancarotta fraudolenta e restituzione all’amministratore di finanziamenti in precedenza concessi
06 Agosto 2019
Massima
Integra l'ipotesi di bancarotta per distrazione la condotta dell'amministratore di una società, che, quale socio creditore della stessa, recuperi, in periodo di dissesto, finanziamenti da lui in precedenza concessi. Il caso
La Corte d'appello di Milano confermava la condanna pronunciata in primo dal Tribunale di Como nei confronti di un imprenditore per più fatti di bancarotta fraudolenta. All'imputato era contestato di avere, a fronte di una grave crisi di liquidità della società a partire dall'anno 2011, con dissesto significativo consolidatosi negli anni 2011 e 2012 (periodo in cui si collocano le operazioni di cui all'imputazione) aggravato il dissesto mediante una pluralità di condotte distrattive descritte. In sede di ricorso per cassazione si lamentava, per quanto di interesse in questa sede, la violazione dell'art. 2467 c.c. in relazione all'operazione di compensazione operata dall'imputato tra i propri debiti verso la fallita ed i crediti che questi vantava, dopo che alcuni istituti di credito avevano escusso i titoli posti a garanzia dei finanziamenti erogati alla società. L'impostazione seguita dal Tribunale era stata criticata con l'atto di appello, avendo il primo giudice guardato al momento dell'escussione della garanzia, intervenuta poco tempo prima della dichiarazione di fallimento ritenendo, dunque, il credito postergato e la compensazione illegittima, posto che il credito dell'imputato derivava da titoli, posti a pegno dei finanziamenti, erogati alla società, quindi in epoca risalente rispetto al fallimento; di conseguenza, per la postergazione del credito, doveva tenersi conto del momento non dell'escussione dei titoli, ma dell'erogazione del prestito – oltre ad evidenziarsi come nella sentenza di primo grado non fosse stata mai accertata la data degli accrediti da parte dell'istituto di credito delle somme garantite da pegno. In sede di appello la condanna per la suddetta vicenda era confermata, sia pur con una diversa motivazione, ritenendosi che il momento cui fare riferimento per la valutazione della correttezza dell'operazione fosse quello dell'erogazione dei finanziamenti alla società successivamente fallita; ciò nonostante, la difesa impugnava in cassazione la decisione del giudice di seconde cure in quanto quest'ultimo aveva, comunque, omesso la valutazione dei presupposti di cui all'art. 2467, comma 2, c.c. (indebitamento eccessivo o ragionevolezza di un conferimento in luogo del prestito). In proposito, si contestava le circostanze, riconosciute sussistenti dal giudice d'appello, della sottocapitalizzazione della società con continuo ricorso all'indebitamento bancario per cui, al momento del finanziamento sarebbe stato più ragionevole il ricorso a conferimenti. In particolare si contestava l'interpretazione errata che della norma aveva fornito la Corte di appello la quale aveva omesso di considerare, dal punto di vista dinamico, l'attività svolta dalla società e la particolare situazione in cui versava, in quel dato momento storico, onde reputare irragionevole il ricorso al finanziamento (ritenendo mancante l'analisi dei flussi finanziari futuri, generabili dall'esercizio di impresa). La questione
L'art. 2467 c.c. prevede che “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento” (la norma peraltro è stata modificata con il d.lgs. n. 14/2019, cd. Codice della Crisi e dell'insolvenza, ma la nuova versione – secondo cui “il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori. Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento” – entrerà in vigore nell'agosto 2020). La ratio della disposizione è di sanzionare la c.d. sottocapitalizzazione nominale ed è suscettibile di applicazione relativamente a tutte le società di capitali, perché espressione di principi generali di diritto dell'impresa (PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Trattato delle Società per azioni, a cura di Colombo - Portale, Torino, 2004, 44). L'individuazione del concetto di "finanziamento", al fine di delimitare con precisione l'ambito di operatività della norma, non è affatto agevole, anche se si ritiene che il ricorso da parte del legislatore ad un'espressione giuridicamente "neutra" sia sintomatico della volontà di includere ogni genere di operazione e di evitare forme elusive della normativa (CACCAVALE, MAGLIULO, MALTONI, TASSINARI, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2003, 126); il comma 2 dell'articolo impone, inoltre, un'interpretazione in senso ampio, in quanto si riferisce ai «finanziamenti» dei soci «in qualsiasi forma effettuati». Costituiscono dunque «finanziamenti» le somme erogate a titolo di mutuo, nonché tutte quelle operazioni che raggiungono, anche indirettamente, il risultato di realizzare un sostanziale finanziamento dell'impresa sociale, come, ad esempio, la non riscossione di crediti scaduti (PORTALE, Riforma delle società di capitali e limiti di effettività del diritto nazionale, in Soc., 2003, 263), le fideiussioni, nonché gli apporti dei soci, non imputati a capitale, consistenti nel trasferimento di beni in natura. L'assenza dell'obbligo di restituzione fa sì che i versamenti a fondo perduto non possano considerarsi come finanziamenti dei soci ai sensi dell'art. 2467; analogamente è stato ritenuto che non costituisca un finanziamento la sottoscrizione di capitale di rischio in sede di aumento di capitale effettuata dal socio mediante compensazione con propri crediti vantati nei confronti della società (GARESIO, Aumento di capitale sociale e compensazione: un passo innanzi della Cassazione, in Giur. It., 2018, 1917). L'ambito di applicazione della norma si estende all'apertura di credito, alle dilazioni di pagamento, al leasing finanziario ed a tutti i casi in cui, a prescindere dallo strumento tecnico giuridico utilizzato (si pensi, ad esempio, all'acquisto da parte del socio del credito del terzo verso la società, oppure al pagamento da parte del socio, come terzo o come delegato, di un debito sociale), vi sia una successione del socio in una preesistente posizione creditoria di un terzo nei confronti della società. Ulteriori forme indirette di finanziamento potrebbero individuarsi in relazione a preesistenti crediti del socio originati non già da "finanziamenti", ma da altri rapporti obbligatori, di natura commerciale (vendita di un cespite, rapporti di fornitura), a titolo di compenso, per prestazioni d'opera o servizi o per la carica di amministratori, ovvero per i dividendi dei quali fosse stata regolarmente decisa la distribuzione, ecc.: tali crediti, di per sé esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 2467 in quanto non accedenti a "finanziamenti", potrebbero tuttavia venir riqualificati e assoggettati a postergazione qualora, scaduto il termine del pagamento e divenuti esigibili, il socio non provveda alla relativa riscossione, ovvero concordi una dilazione per un consistente periodo di tempo (BALP, I finanziamenti dei soci "sostitutivi" del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. Soc., 2007, 345). Due sono i possibili presupposti per l'operatività della disposizione codicistica in commento. In primo luogo, rileva l'esistenza di uno squilibrio (pur non tale da determinare lo stato di insolvenza della società) fra il patrimonio netto e il capitale di debito al momento in cui i finanziamenti sono stati concessi. Per verificare se lo squilibrio debba essere qualificato "eccessivo" devono essere presi in considerazione i consueti indici di bilancio, quali strumenti di valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società; così pure potranno essere utilizzati i criteri che le scienze aziendali hanno fornito, al fine di verificare quando tali indici possono porre in rilievo una situazione di squilibrio e quale sia la gravità della stessa [CAGNASSO, La società a responsabilità limitata, in COTTINO (diretto da), Trattato di diritto commerciale, V, Padova, 2007, 105). In alternativa, per l'applicazione della disciplina in commento e, quindi, per la postergazione dei crediti al rimborso dei soci, la norma richiede la sussistenza di una situazione finanziaria che, in luogo di un finanziamento, avrebbe richiesto un vero e proprio conferimento. Tale presupposto, pur essendo previsto dalla norma come alternativo, in sostanza si affianca alla condizione relativa all'eccessivo squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto, costituendone un ulteriore inquadramento definitorio. Il legislatore ha, in definitiva, introdotto un trattamento di disfavore per tutte le operazioni che siano rivolte a perpetrare una situazione di incongruità del capitale. Le soluzioni giuridiche
Il ricorso, nella parte in cui contestava il richiamo al disposto di cui all'art. 2467 c.c., è stato giudicato infondato dalla Cassazione, la quale condivide la motivazione della Corte di appello con riferimento alla ritenuta illiceità dell'operata compensazione tra i propri debiti verso la fallita ed i controcrediti che l'imputato vantava, in epoca successiva all'escussione, da parte di alcuni istituti di credito, dei titoli posti a garanzia dei finanziamenti erogati alla società. Tale impostazione, in effetti, è conforme all'indirizzo della Corte di legittimità sopra richiamato in tema di restituzione dei finanziamenti e ciò in quanto nella motivazione della decisione dei giudici di appello, pur considerandosi, quale momento decisivo, quello dell'erogazione dei finanziamenti alla s.r.l. successivamente fallita, non manca l'esame dei presupposti di cui all'art. 2467, comma 2, c.c. (indebitamento eccessivo o ragionevolezza di un conferimento in luogo del prestito), esame alla luce delle cui risultanze si è concluso per l'applicabilità dell'istituto della postergazione dei crediti vantati dall'imputato. Secondo la Cassazione, infatti, la Corte territoriale ha considerato che i finanziamenti dei consistenti importi contestati come distratti, erano stati rilasciati in un momento di estremo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto dell'ente o, comunque, nel quale sarebbe stato più ragionevole procedere ad un conferimento, considerata la ricostruzione operata, secondo la relazione fallimentare del curatore, ex art. 33 l. fall., che descrive una società, fin dal momento della costituzione sottocapitalizzata, con costi elevati ed utili limitati, non distribuiti e con continuo ricorso all'indebitamento bancario. Ricorda peraltro la decisione in commento che perché operi la postergazione non è necessario che la società, al momento del rilascio del finanziamento (e per il caso di specie, in quello, precedente, del rilascio delle garanzie verso gli istituti di credito) sia in dissesto, ma occorre che ricorra o un "eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto" oppure "una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento". Nel resto il motivo devoluto è inammissibile, posto che la diversa, peraltro generica, ricostruzione operata nel ricorso, rispetto alla quale si invita questa Corte ad una rilettura degli atti istruttori (relazione del curatore fallimentare) non è consentita in sede di legittimità. Né è specifico il motivo, nella parte in cui critica la carenza di analisi dei flussi finanziari futuri, generabili dall'esercizio di impresa aspetto dinamico necessario, onde valutare la ragionevolezza del finanziamento del socio, pur a fronte di un forte squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto, riportando, peraltro, giurisprudenza senza contrastare, specificamente l'esame svolto sul punto dai provvedimenti di merito. Osservazioni
La sentenza della Cassazione è pienamente conforme al consolidato orientamento secondo cui può integrare l'ipotesi di bancarotta per distrazione la condotta dell'amministratore di una società, che, quale socio creditore della stessa, recuperi, in periodo di dissesto, finanziamenti da lui in precedenza concessi e ciò in quanto la disciplina della postergazione non individua un diverso grado del credito restitutorio ma rende inesigibile la pretesa alla restituzione, proprio perché il legislatore, espressamente, intende che le somme erogate debbano essere vincolate al perseguimento dell'oggetto sociale e non possano essere restituite se non quando, ormai soddisfatti tutti i creditori, viene meno la stessa esigenza di garanzia delle loro ragioni (Cass., sez. V, 14 giugno 2018, n. 50495; Cass., sez. V, 6 giugno 2014, n. 34505). La motivazione di tale conclusione va rinvenuta nella ratio, attribuita dalla giurisprudenza civile di legittimità al principio di postergazione del rimborso del finanziamento dei soci posto dall'art. 2467 c.c., consistente nel contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società "chiuse", determinati dalla convenienza dei soci a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa, ponendo i capitali a disposizione dell'ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella del conferimento (Cass. Civ., sez. I, 9 dicembre 2015, n. 24861). Va ricordato tuttavia che la qualificazione della condotta dell'amministratore il quale, in pendenza di una crisi dell'azienda, si ripaghi di crediti da lui vantati verso la società può essere diversa da quella assunta nella decisione in esame, giacché ben potrebbe sostenersi che nel caso di specie, stante il fatto che l'amministratore societario è un creditore dell'impresa fallita, si sia in presenza di una bancarotta preferenziale. Tale posizione, tuttavia, non è accolta dalla giurisprudenza più recente (oltre che decisamente prevalente) che sembra orientarsi sempre più nel senso di qualificare tale ipotesi come bancarotta fraudolenta patrimoniale, non potendosi scindere la sua qualifica di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall'obbligo di fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi (Cass., sez. V, 8 aprile 2019, n. 15280; Cass., sez. V, 29 ottobre 2018, n. 49506). Peraltro, si afferma che in caso di avvenuta riqualificazione come bancarotta per distrazione piuttosto che preferenziale del pagamento effettuato in favore dell'amministratore non si sia in presenza di una modifica dell'imputazione ma di una semplice modifica della qualificazione giuridica del fatto che rimane il medesimo, con conseguente mancata lesione del diritto della difesa (Cass., sez. V, 11 maggio 2018, n. 21129). |