Istanze difensive inviate tramite PEC: irritualità delle forme ed oneri per il difensore
05 Agosto 2019
Massima
In tema di nomina del difensore di fiducia, anche a ritenere che la trasmissione della dichiarazione non debba sottostare ad uno specifico rigore formale, deve comunque affermarsi che la stessa deve garantire la medesima affidabilità della consegna diretta o a mezzo raccomandata ed è onere di chi la effettua curare che ciò avvenga (nella fattispecie, si tratta di una dichiarazione di nomina difensiva, con allegata una istanza di concessione dei termini a difesa, inviate a mezzo di posta elettronica certificata dal difensore nella imminenza della udienza di celebrazione del giudizio di appello) Il caso
Tra i motivi di gravame, il difensore del ricorrente specifica di aver inviato a mezzo di posta elettronica certificata la nomina difensiva fiduciaria del proprio assistito, con contestuale revoca di ogni altro difensore, nonché in allegato anche una richiesta motivata di termini a difesa, ai sensi dell'art. 108 c.p.p.. Tale istanza non veniva esaminata dai giudici di appello. In motivazione, la Corte di cassazione ha precisato “Secondo il disposto dell'art. 96 c.p.p. l'atto di nomina del difensore di fiducia perché produca effetti nel processo è necessario che si concretizzi in una dichiarazione dell'imputato (o di un prossimo congiunto nei limiti di cui all'art. 96, c. 3, c.p.p.) resa oralmente all'autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata (…). In sintesi anche a ritenere che la trasmissione della nomina del difensore di fiducia può non sottostare ad uno specifico rigore formale, deve comunque affermarsi che la stessa deve garantire la medesima affidabilità della consegna diretta o a mezzo raccomandata ed è onere di chi la effettua curare che ciò avvenga. In questo contesto si inserisce l'uso della PEC. Ed ancora “Questa Corte ha avuto modo di affermare che quando il Legislatore prevede una modalità tassativa di trasmissione (ubi lex voluit….) allora la PEC va sicuramente esclusa. Quando invece il Legislatore non prevede una modalità esclusiva di trasmissione, allora occorre distinguere: se la normativa di settore consente una qualunque forma di trasmissione, e dunque non solo il deposito, allora la PEC può essere ammessa ed in questo caso può anche essere non richiesto quel dovere di diligenza del mittente nell'accertarsi della sottoposizione tempestiva dell'atto al giudice; se non vi è una specifica normativa di settore o se la normativa prevede genericamente il deposito dell'atto ma non come forma esclusiva di trasmissione, allora, a seconda della tipologia dell'atto, può anche ammettersi che esso venga trasmesso con PEC, ma in questo caso la parte si assume un rischio, potendo quell'atto non essere portato tempestivamente a conoscenza del giudice. Anche a ritenere che nel caso in esame l'invio a mezzo PEC, possa essere individuato, al pari del telegramma o del telefax, come strumento attraverso il quale la dichiarazione di nomina viene fatta pervenire alla autorità procedente che ne è il necessario destinatario, non può non rilevarsi che nel caso di specie risulta dagli atti che l'avvocato (…) ha inviato a mezzo PEC alle ore 21.11 del 3.7.2018 la dichiarazione di nomina con allegata istanza di termine a difesa, (…) che a causa del malfunzionamento della PEC (…) il messaggio è pervenuto alla Corte d'appello, come attestato dalla Cancelleria, nel pomeriggio del 4.7.2018, quindi ad udienza conclusa (…) È evidente pertanto che l'atto di nomina e la conseguente richiesta di termine a difesa, non sono pervenuti ai giudici d'appello e il difensore, utilizzando una forma di invio irrituale doveva attivarsi per verificare che l'istanza fosse effettivamente pervenuta alla cancelleria del giudice e fosse stata tempestivamente portata all'attenzione di quest'ultimo, assumendosi il rischio dell'intempestività, e non potrà pretendere di assolvere al proprio dovere di diligenza, limitandosi semplicemente a produrre la certificazione rilasciata in automatico di inoltro al destinatario della PEC”. La questione
La sentenza in commento è potenzialmente in grado di proporre svariati quesiti e numerose questioni, legate principalmente al tema generale della informatizzazione del processo penale. Ed infatti, anche il processo penale si sta evolvendo secondo la prospettiva di una sempre più marcata implementazione di strumenti tecnologici; si pensi, ad esempio ai cd. modelli TIAP (Trattamento Informatico Atti Processuali) e SICP (Sistema Informativo della Cognizione Penale), introdotti da alcuni anni nell'ambito della amministrazione giudiziaria al fine di consentire ai vari utenti/addetti del settore Giustizia (Avvocati, Cancellieri e Magistrati) un accesso agli atti del fascicolo processuale. Tra gli strumenti tecnologici riconosciuti ex lege, vi è anche la cd. posta elettronica certificata, utilizzata per le notificazioni degli atti e per le comunicazioni previste dal codice di rito. La questione più significativa, che rileva dalla pronuncia in esame, verte sulla esistenza o meno – per il difensore e la parte privata in generale – di un diritto ad utilizzare lo strumento della posta elettronica certificata per effettuare depositi di atti (come le nomine fiduciarie, ad esempio, ma anche le memorie, le impugnazioni) e per inviare comunicazioni indirizzate all'autorità giudiziaria. Le soluzioni giuridiche
Allorquando si discute su questi temi, è facile constatare come il processo penale telematico si trovi ancora in una fase embrionale. In linea generale, secondo il dictum normativo che si illustrerà nel prosieguo, il legale può solo ricevere atti per via telematica ma non vi è una copertura normativa che assicuri alla parte privata ed al suo difensore di poter interagire per via telematica mediante l'invio di atti indirizzati all'autorità giudiziaria.
Allo stato attuale, l'avvocato può ricevere - tramite lo strumento della PEC – la notifica di atti provenienti dal PM, dall'Autorità Giurisdizionale, dalla polizia giudiziaria all'uopo delegata. Il tutto avviene per il tramite del Sistema Notificazioni Telematiche (SNT). Come già anticipato, non è possibile per il difensore, e per la parte privata in generale, depositare allo stesso modo i propri atti presso le autorità giudiziarie sopra citate.
In ambito penale, la posta elettronica certificata è stata introdotta dall'art. 4, DL n. 193 del 29 dicembre 2009, convertito nella legge n. 24 del 22 febbraio 2010. Successivamente, con l'art. 16, co. 4, del DL n. 179 del 18 ottobre 2012 (e, poi ancora, con la legge n. 228 del 24 dicembre 2012), il legislatore ha disciplinato la materia dei “biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica”. In particolare l'art. 16, comma 4, prevede l'utilizzo dello strumento p.e.c. per l'invio di “notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli art. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del codice di procedura penale. La relata di notificazione è redatta in forma automatica dal sistema informatico in dotazione alla cancelleria”. Dunque, in forza delle disposizioni sopra citate, il ricorso alla posta certificata è oggi esteso alle notificazioni in ambito penale, con la necessaria precisazione che la notifica mediante tale strumento è ammessa soltanto nei confronti dei soggetti che non posseggano la qualità di indagato o di imputato (i quali ultimi dovranno pertanto essere informati con le forme ordinarie di notificazione). Da ciò consegue che l'uso della PEC per le notifiche è destinato a trovare una significativa applicazione nei confronti dei difensori, i quali devono all'uopo dotarsi di un indirizzo di posta elettronica certificata da comunicare al proprio Ordine di appartenenza. Vi sono anche ipotesi – seppure limitate - in cui l'avvocato può procedere a notificazioni nel processo penale. Si pensi alla possibilità di notificare tramite posta elettronica certificata l'atto di costituzione di parte civile fuori udienza (ai sensi dell'art. 78, c. 2, c.p.p.), ovvero della notifica alla persona offesa della richiesta di revoca e/o sostituzione di misura cautelare, secondo quanto previsto dall'art. 299, co. 3, c.p.p.. Sotto quest'ultimo aspetto, deve citarsi un recente arresto giurisprudenziale (Corte di cassazione, Sez. II, n. 6320 del 10 febbraio 2017) che ha sancito la legittimità della notifica effettuata ai sensi dell'art. 299, co. 4-bis, c.p.p., ed inviata tramite posta elettronica certificata, dal difensore dell'imputato a quello della persona offesa. In sentenza si specifica che, essendo possibili destinatari di PEC tutti i soggetti diversi dall'imputato ai sensi della legislazione vigente (nella fattispecie, dal combinato disposto dell'art. 152 c.p.p. e dell'art. 48, d.lgs. n. 82/2005), ne deriva che devono ritenersi tali anche i difensori, le persone offese, le parti civili, i responsabili civili, i civilmente obbligati per la pena pecuniaria. Venendo alla fattispecie in esame, la pronuncia si colloca nel solco della prevalente, quanto rigorosa, giurisprudenza in materia. Secondo tale indirizzo, deve escludersi la possibilità che le parti utilizzino la PEC per effettuare comunicazioni, notificazioni, ovvero per inviare istanze (così, tra le altre, Cass. Sez. II, n. 31314 del 16 maggio 2017), nonché per depositare memorie e/o impugnazioni (cfr, Sez III, n. 48584 del 20 settembre 2016). Il ragionamento che promana da tali pronunce si fonda sull'assunto che il legislatore avrebbe consentito l'uso dello strumento di posta elettronica certificata solo per le notificazioni da parte delle cancellerie penali a persone diverse dall'imputato, secondo quanto previsto dagli art. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, c.p.p.. A tale impostazione, se ne contrappone un'altra la quale, invece, ammette l'uso della PEC per il deposito di istanze (cfr., Sez. IV, 6 giugno 2018, n. 35683), onerando però il difensore di verificare la corretta ricezione delle stesse da parte della cancelleria e la loro tempestiva sottoposizione al giudice (così, Cass., Sez. II, 18 dicembre 2017, n. 56392). Secondo quest'ultima pronuncia – che estende all'uso della PEC nel processo penale l'elaborazione giurisprudenziale formatasi in tema di richiesta inviata a mezzo telefax - la comunicazione dell'istanza per posta elettronica certificata deve considerarsi un mezzo di comunicazione informale, seppure solo irregolare, ed in ragione della sua irregolarità formale, incombe sulla parte istante il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell'atto al giudice competente a valutarla. Va da sé che laddove ne abbia preso tempestiva conoscenza, il giudice è tenuto a valutare l'istanza trasmessa secondo queste forme. Per completezza, si deve dar conto di altri, ed importanti, approdi giurisprudenziali di diverso avviso e ratio che, sul piano della considerazione e della valenza giuridica della posta elettronica certificata, sembrano essere meno restrittivi e più aperti alle innovazioni. In primo luogo, un primo orientamento – in tema di convalida del divieto di accedere a manifestazioni sportive con obbligo di presentazione all'ufficio di p.s – ha ritenuto ammissibile la presentazione delle richieste e delle memorie delle parti al giudice competente tramite posta elettronica certificata in quanto, da un lato, l'art. 6, co. 2 bis, legge n. 401/1989, al fine di bilanciare il regolare esercizio del diritto di difesa con l'estrema ristrettezza dei termini previsti per gli adempimenti in questione, non prescrive che i predetti atti debbano essere necessariamente depositati in cancelleria nella loro materiale fisicità. Sotto altro profilo, lo strumento informatico, a detta della Corte, garantisce sicura affidabilità quanto alla provenienza ed alla ricezione (così, Cass., Sez. III, n. 17844 del 12 dicembre 2018). Ed ancora, si deve dar conto di un'altra soluzione giurisprudenziale che valorizza lo strumento della posta elettronica certificata. Secondo tale impostazione, alle parti private può essere consentito di effettuare comunicazioni e notificazioni mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata solo nel caso in cui ciò sia necessario al fine di rendere effettive le facoltà processuali alle stesse riconosciute (così, Corte di Cassazione, sentenza n. 55886 del 13 dicembre 2018). La sentenza, resa nell'ambito del procedimento penale che vede imputati i vertici della Banca Popolare di Vicenza, concerneva una richiesta di rimessione del processo ai sensi dell'art. 45 c.p.p., richiesta che la Corte di cassazione ha ritenuto ammissibile pur essendo notificata dagli imputati alle parti civili a mezzo PEC, in considerazione del fatto che tale modalità di notifica era stata previamente autorizzata dal giudice di merito, avuto riguardo al brevissimo termine di sette giorni entro cui gli istanti avrebbero dovuto adempiere all'incombente nei confronti dei numerosi aventi diritto. Osservazioni
Il caso in esame è stato deciso sulla scorta dei criteri enunciati dall'indirizzo giurisprudenziale più rigoroso. Pur non volendo mettere in discussione l'approccio ermeneutico prospettato dalla giurisprudenza più accreditata, la ratio della sentenza – partendo dal contenuto dell'art. 96 c.p.p. – sembra arrivare a mettere in discussione il sistema di trasmissione degli atti a mezzo di posta elettronica certificata ritenendolo meno affidabile rispetto alla consegna della dichiarazione di nomina difensiva e delle istanze allegate a mezzo di raccomandata. Ed ancora, la previsione dell'onere, in capo al difensore, di garantire la “medesima affidabilità della consegna diretta o a mezzo raccomandata”, e di curare che la consegna così effettuata avvenga in concreto, si palesa come la pretesa di un comportamento ulteriore, e non previsto dalla legislazione, che la giurisprudenza esige dal difensore e che potrebbe presupporre anche responsabilità di natura disciplinare e professionale in caso di inosservanza. Peraltro, è discutibile la tesi della minore affidabilità del sistema di posta elettronica certificata, che sembra trasparire dalle parole dei giudici di legittimità anche perché – come si può appurare leggendo le sentenze citate in precedenza – sull'argomento la Corte di cassazione sembra contraddirsi rispetto ad altre pronunce altrettanto recenti. Un dato, però, va chiarito. Ciò che si può davvero esigere da un difensore diligente ed attento - il quale, per ragioni di urgenza o per un fatto sopravvenuto, decide di inviare una istanza o una dichiarazione di nomina tramite posta elettronica certificata - è che costui verifichi, e se del caso dimostri sul piano documentale, l'avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica del destinatario degli atti così trasmessi. Tale adempimento rientra nella normale cura del proprio lavoro per un professionista serio. Diversamente, appare invero un fuor d'opera il voler pretendere che un difensore, una volta inviato un atto con lo strumento telematico, si attivi altresì per verificare tanto che l'istanza sia effettivamente pervenuta alla cancelleria del giudice quanto che la stessa sia (si riporta testualmente) “tempestivamente portata all'attenzione di quest'ultimo”. Tali adempimenti possono essere in concreto alquanto complessi specie, ad esempio, laddove il difensore sia in un foro diverso da quello in cui si svolge il processo. Il vero è che l'art. 96 del codice di rito è stato scritto in un'epoca in cui l'informatizzazione del processo penale non era ancora nei pensieri del legislatore, tanto meno era in programmazione. Pertanto, proprio alla luce dei recenti progressi tecnologici, appare ormai indifferibile un intervento del legislatore sulla normativa di riferimento, che tenga conto dei nuovi mezzi come la posta elettronica certificata e della importanza che tali strumenti rivestono per assicurare la pienezza dell'espletamento delle prerogative difensive in momenti delicati del processo. In altri termini, si deve consentire al difensore di poter accedere al processo, ed assumere la difesa del proprio assistito, in tempi rapidi e senza troppe difficoltà, e/o oneri inesigibili, per il tramite dei nuovi mezzi tecnologici che sono a disposizione. Peraltro, un intervento legislativo sarebbe oltremodo opportuno anche per mettere ordine alle “interazioni telematiche” tra autorità giudiziarie e utenti/parti private, in modo tale da snellire le formalità del processo penale. |