Indicazioni per la costruzione di un modello organizzativo che prevenga i fenomeni corruttivi
18 Giugno 2019
Massima
Le società soggette al controllo di autorità pubbliche le quali esercitano il loro potere di vigilanza anche mediante visite ispettive, devono - onde prevenire illeciti come l'induzione indebita ex art. 319-quater c.p. – adottare modelli organizzativi che prevedano che i funzionari delle Autorità di vigilanza siano coadiuvati da personale di aree diverse da quelle di ispezione e ciò allo scopo di evitare commistione tra il controllore e il diretto controllato nell'ambito della quale maturano confidenza, familiarità e quant'altro può favorire indebite richieste Il caso
Innanzi al tribunale di Bologna ad un ispettore ANAC ed al responsabile della “Direzione Acquisti ed Appalti” di due Società operanti (una controllante e una partecipata) che svolgevano attività di gestione del servizio integrato dei rifiuti veniva contestato il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità ex art. 319-quater c.p. per avere “il primo, nel corso di una verifica condotta presso le menzionate Società, indotto il secondo a far sì che il figlio conseguisse uno stage retribuito” presso la società controllante. Contestualmente, “sul presupposto che” il Responsabile della Direzione Acquisti ed Appalti “avesse agito al fine di condizionare gli accertamenti ispettivi“, era contestato ad entrambe le società l'illecito amministrativo previsto e sanzionato dall'art. 25 del d.lgs. 231/2001, relativo alla commissione del delitto di cui all'art. 319-quater c.p. L'istruttoria dibattimentale consentiva di accertare, in primo luogo, che il soggetto la cui assunzione nella prospettiva accusatoria avrebbe rappresentato il beneficio illecito che il privato corrispondeva al pubblico ufficiale per garantirsi la sua benevolenza era “stato selezionato al di fuori della tempistica ordinaria” e secondo la modalità c.d. “fuori sacco, mediante l'artificiosa creazione di un bisogno aziendale ritagliato proprio sulla base del titolo di studio posseduto“, disponendo, in definitiva, “uno stage retribuito ad un soggetto che, per il suo modesto curriculum, non sarebbe mai stato preso in considerazione”. In secondo luogo, emergeva l'interesse e la necessità da parte delle società sottoposte ad ispezione dell'ANAC che tali controlli venissero svolti in maniera superficiale e con particolare benevolenza, giacché era accertato che il responsabile della “Direzione Acquisti e Appalti” di entrambe le società era a conoscenza dei fatti storici sui quali si sarebbe fondato l'accertamento ispettivo con particolare riguardo al costante affidamento di appalti in difetto della procedura ad evidenza pubblica e quindi “nutriva quindi il timore che nel corso dell'ispezione venissero accertate gravi irregolarità con quanto ne sarebbe conseguito in danno sia dell'Ente di appartenenza sia anche a titolo personale”. Infine, si era accertato che la procedura di selezione del figlio dell'ispettore ANAC da parte dell'ufficio personale è stata avviata su richiesta dell'altro imputato, che svolgeva la funzione di responsabile della sezione acquisti, il quale era il soggetto più interessato a che l'ispettore ANAC non rilevasse le molteplici irregolarità ed in tale condizione si è sollecitamente rapportato con il funzionario pubblico. La questione
Con la legge 190 del 2012, l'originaria figura della concussione (per costrizione e per induzione) è stata scissa in due delitti autonomi: il primo, consumato con condotte di costrizione, è ancora punito sub art. 317 c.p.; il secondo, commesso con condotte di induzione, è fattispecie autonoma di cui al nuovo art. 319-quaterc.p., di cui, oltre al pubblico funzionario, risponde anche il concusso. Uno dei punti di maggiore problematicità della disciplina in tema di art. 319-quaterc.p. riguarda la distinzione fra tale illecito e la fattispecie di concussione, distinzione che ha una particolare rilevanza anche nella vicenda decisa dal tribunale di Bologna posto che mentre per il reato di induzione di dare o promettere utilità è prevista anche la punibilità del privato (e conseguentemente, ai sensi dell'art. 25 d.lgs. 231 del 2001, della società nel cui interesse o per il cui vantaggio lo stesso opera), la concussione è reato del solo pubblico ufficiale rispetto alla cui condotta il privato assume il solo ruolo di persona offesa, con la conseguenza che, nel caso all'esame del tribunale di Bologna, ove si fosse riconosciuta la sussistenza del reato di concussione le società coinvolte nel processo sarebbe andate esenti da responsabilità. La distinzione è stata tracciata, come è noto, dalle Sezioni unite con la sentenza 14 marzo 2014, n. 12228 (cd. sentenza Maldera). La decisione interviene all'interno di un contrasto fra tre orientamenti che individuavano il criterio distintivo fra i delitti di concussione ed induzione indebita nell'intensità della pressione psichica – che però affidava la determinazione della linea di confine tra i due reati ad un'indagine psicologica dagli esiti improbabili, che possono condurre a una deriva di arbitrarietà – o nel criterio dell'ingiustizia o meno del danno prospettato, propugnato dal secondo orientamento – dal significato non chiaro. Nella definizione del contrasto, le Sezioni Unite sottolineano la ratiodella nuova disciplina introdotta nel2012 sostenendo che con la stessa il legislatore ha inteso chiudere ogni possibile spazio d'impunità al privato, non costretto ma semplicemente indotto a pagareuna 'tangente', non essendo quindi più vittima, impunita, di un fatto concussivo, bensì concorrente (necessario) nel nuovo reato di induzione indebita. Il precipitato di questa considerazione è che - conformemente alle indicazioni di una parte della dottrina - la nuova induzione indebita ex art. 319-quater c.p. non rappresenta per le S.U. un'ipotesi minore di concussione (come farebbe pensare la metafora dello 'sdoppiamento' della concussione stessa, che ha avuto una certa fortuna nell'immediatezza della riforma), gravitando bensì nell'orbita della corruzione – come conferma peraltro la collocazione topografica dell'art. 319-quater c.p. –, della quale condivide la "logica negoziale" di reato-contratto bilateralmente illecito. Fatta questa premessa, la Cassazione rinviene la differenza fra i due reati di concussione ed induzione indebita nelle condotte di costrizionee induzione. Il primo caso, secondo la Cassazione, ricorre quando il privato è 'costretto' alla dazione o promessa indebita ovvero è obbligato a compiere/non compiere una certa azione mediante violenza fisica o minaccia, intesa quest'ultima quale forma di sopraffazione prepotente, aggressiva e intollerabile socialmente, che incide sull'altrui «integrità psichica e libertà di autodeterminazione, ottenuta mediante la prospettazione di un male o un danno ingiusto lesivo di interessi della vittima, la quale agisce di conseguenza in assenza di una sostanziale alternativa e non per conseguire un vantaggio, ma per evitare un danno; nel caso dell'induzione, invece, tale profilo della violenza fisica o della minaccia manca e si assiste, come affermato nella decisione in parola, a una “alterazione del processo volitivo altrui, che, pur condizionato da un rapporto comunicativo non paritario [in cui possono essere presenti i caratteri della persuasione, della suggestione, dell'allusione, dell'inganno], conserva, rispetto alla costrizione, più ampi margini decisionali, che l'ordinamento impone di attivare per resistere alle indebite pressioni del pubblico agente e per non concorrere con costui nella conseguente lesione di interessi" facenti capo alla pubblica amministrazione». In particolare, nel delitto all'art. 319-quater c.p. si assiste a forme di condizionamento psichico da parte del pubblico ufficiale il quale cerca di carpire la complicità del privato prospettandogli l'ottenimento un vantaggio indebito ed «è proprio il vantaggio indebito che, al pari della minaccia tipizzante la concussione assurge al rango di 'criterio di essenza' della fattispecie induttiva, il che giustifica [...] la punibilità dell'indotto»: ciò che si rimprovera al privato, punendolo, è di avere approfittato dell'abuso del pubblico ufficiale per perseguire un proprio vantaggio ingiusto. Le soluzioni giuridiche
Il tribunale di Bologna ha ritenuto fondata la tesi accusatoria, condannando per il reato di cui all'art. 319-quater c.p. gli imputati e riconoscendo la conseguente responsabilità da reato favorita dal comportamento delittuoso del responsabile degli acquisti. In particolare, per quanto riguarda la qualificazione giuridica delle condotte contestate alle persone fisiche nessun dubbio, secondo i giudici emiliani, sussiste circa il richiamo alla fattispecie di induzione indebita. Infatti, il responsabile aziendale dell'ufficio acquisti e appalti avrebbe agito con l'intenzione di «conseguire il vantaggio di attenuare/limitare le conseguenze negative della visita ispettiva e […] per tale ragione ha aderito, pur potendo rifiutare, alla richiesta del [funzionario] che implicitamente conteneva la prospettazione di un trattamento benevolo»; questa conclusione non può essere revocata in dubbio per il fatto che l'ispezione del funzionario ANAC si sia conclusa con l'accertamento di gravi irregolarità e ciò in quanto «la spinta utilitaristica che ha motivato l'agire del [privato] deve essere valutata ex ante e, cioè, al momento dell'avvio dell'ispezione, quando è stato di fatto concluso l'illecito accordo negoziale». Il fatto che nella vicenda presa in esame il privato abbia aderito alle richieste del pubblico ufficiale per ottenere un vantaggio è, come detto, il profilo centrale per distinguere l'induzione indebita dalla concussione e non vi è nessun dubbio che il sottrarsi ad una sanzione o alla contestazione di un illecito sia una tipica ipotesi in cui il privato agisce per perseguire un proprio vantaggio. D'altronde, le stesse Sezioni Unite, nella pronuncia Maldera sopra citata, hanno asserito, volendo fornire un'esemplificazione di quanto detto in precedenza in termini generali, hanno affermato che scongiurare una denuncia, un sequestro, un arresto legittimi (ovvero tenere comportamenti analoghi a quelli contestati nella vicenda bolognese) significa assicurarsi comunque un trattamento di favore e quindi indica una compartecipazione del privato al reato di cui all'art. 319-quater c.p. Quanto alla società, nella quale il privato coinvolto nella vicenda operava quale responsabile dell'ufficio acquisti, il tribunale di Bologna ne riconosce la responsabilità da reato, sostenendo che la condotta delittuosa tenuta dal suo dipendente – cui la decisione attribuisce la qualifica di apicale, ex art. 5, comma 1, d.lgs. 231 del 2001 – era sicuramente intesa ad avvantaggiarla, essendo diretta ad evitare l'applicazione nei suoi confronti di una serie di sanzioni. Non rileva in senso contrario a questa conclusione la circostanza che il dirigente dell'ufficio acquisto potesse essersi determinato all'induzione indebita per ragioni rispondente ad un suo interesse (ovvero non essere chiamato dalla società di appartenenza a rispondere di sue manchevolezze e carenze nello svolgimento dell'incarico): infatti, la responsabilità da reato degli enti collettivi sussiste non solo quando il comportamento criminoso è tenuto nell'interesse della società, ma anche quando quest'ultima ricava dai fatti un qualche vantaggio, il che, come detto, è quanto verificatosi nel caso considerato.
Osservazioni
La sentenza del tribunale di Bologna presenta un significativo profilo di interesse nella parte in cui procede a valutare il modello organizzativo adottato dalla società, finendo per giudicare lo stesso inidoneo e quindi non atto a sollevare da responsabilità la persona giuridica sotto processo. Come detto, una delle società coinvolte nella vicenda, la società controllante quella presso la quale era stata effettuata l'assunzione illecita, era soggetta al controllo di numerose autorità pubbliche le quali esercitano il loro potere di vigilanza anche mediante visite ispettive. Alla luce di tale valutazione e considerata la fattispecie contestata nel caso di specie, il tribunale ritiene che per prevenire illeciti come l'induzione indebita exart. 319-quater c.p. il modello organizzativo avrebbe contenere un protocollo destinato a regolare i rapporti con le Autorità di vigilanza che il quale doveva «prevedere che i funzionari delle Autorità di vigilanza fossero coadiuvati da personale di aree diverse da quelle di ispezione e ciò con lo scopo di evitare commistione tra il controllore e il diretto controllato nell'ambito della quale maturano confidenza, familiarità e quant'altro può favorire indebite richieste; che spettasse solo agli organismi di vertice (e con il controllo dell'organo di vigilanza) ogni decisione che potesse in qualche modo coinvolgere il personale ispettivo e ciò con lo scopo di “blindare” e di assoggettare al massimo livello di responsabilità scelte aziendali (quali assunzioni, conferimenti di incarichi professionali, appalti ecc.) foriere di possibili gravi conseguenze per l'ente». Si tratta di indicazioni assai interessanti, la cui valenza travalica il caso di specie per assurgere a conclusione generalizzabile, nel senso che con riferimento alle società soggette al controllo di autorità di vigilanza pubbliche non può dirsi idoneo il modello organizzativo che non presenti un protocollo in grado di “evitare commistione tra il controllore e il diretto controllato nell'ambito della quale maturano confidenza, familiarità e quant'altro può favorire indebite richieste” e “blindare e assoggettare al massimo livello di responsabilità scelte aziendali (quali assunzioni, conferimenti di incarichi professionali, appalti ecc.) foriere di possibili gravi conseguenze per l'ente“ che, per la loro portata generale, prescindono dalle peculiarità di una determinata struttura organizzativa e, di conseguenza, possono assurgere al livello di linee guida sulla cui base ogni realtà aziendale può fondare importanti aspetti di compliance aziendale a seconda delle proprie esigenze imprenditoriali. PADOVANI, Metamorfosi e trasfigurazione. La disciplina nuova dei delitti di concussione e di corruzione, in Arch. pen., 2012, 789; ROMANO, I delitti contro la Pubblica Amministrazione. I delitti dei pubblici ufficiali. Commentario sistematico, III ed., 2013, 234; SEMINARA, I delitti di concussione e induzione indebita, in MATTARELLA - PELISSERO (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, 2013, 383. RONCO, L'amputazione della concussione e il nuovo delitto di induzione indebita: le aporie di una riforma, in Arch. pen., 2013, 47; MONGILLO, L'incerta frontiera. Il discrimine tra concussione e induzione indebita nel nuovo statuto penale della pubblica amministrazione, in Dir. pen. cont. |