I rapporti tra diritto all'inviolabilità del domicilio e ordine di demolizione di un immobile abusivo da parte del giudice penale

05 Giugno 2019

La questione che viene in evidenza nella fattispecie è se il diritto fondamentale al domicilio ed alla vita privata e familiare garantito dall'art. 8 Cedu possa interferire o precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna per reato urbanistico divenuta definitiva. La decisione della Corte Edu invocata...
Massima

In tema di reati edilizi, non sussiste alcun diritto "assoluto" alla inviolabilità del domicilio, desumibile dalle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, tale da precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo

Il caso

La fattispecie in esame riguarda l'esecuzione di un ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna per reato edilizio divenuta definitiva, opposta dall'interessata invocando la violazione dell'art. 8 Cedu e dell'art. 32 Cost., in quanto il giudice dell'esecuzione non avrebbe correttamente applicato i principi affermati dalla sentenza della Corte EDU 21/4/2016, n. 46577/15 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria), secondo la quale la demolizione dell'opera abusiva può legittimamente avvenire solo se il condannato abbia a disposizione un alloggio alternativo oppure se lo Stato abbia provveduto a concedergli un alloggio; in assenza di tali condizioni, la demolizione violerebbe il diritto all'abitazione, riconosciuto dall'art. 8 Cedu. Secondo l'interessata, il Tribunale non avrebbe valutato né l'indisponibilità di un alloggio alternativo, né i suoi gravi problemi di salute e la disagiata situazione economica in cui versava.

La questione

La questione che viene in evidenza nella fattispecie è se il diritto fondamentale al domicilio ed alla vita privata e familiare garantito dall'art. 8 Cedu possa interferire o precludere l'esecuzione dell'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna per reato urbanistico divenuta definitiva.

La decisione della Corte Edu invocata dalla ricorrente è rappresentata dalla sentenza 21 aprile 2016, n. 46577/15 (Ivanova e Cherkezov c/Bulgaria), secondo la quale il diritto all'abitazione di cui al citato art. 8 - tra cui dovrebbe annoverarsi, nella lettura della ricorrente, anche l'abitazione abusiva - richiede una valutazione di proporzionalità, da parte di un Tribunale imparziale, tra la misura della demolizione e l'interesse del singolo al rispetto del proprio domicilio.

Ricorda la Cassazione come la Corte EDU, nella decisione in esame, abbia ribadito la legittimità "convenzionale" della demolizione, allorquando, valutandone la compatibilità con il diritto alla abitazione, il suo unico scopo sia quello di garantire l'effettiva attuazione delle disposizioni normative che gli edifici non possono essere costruiti senza autorizzazione, poiché la stessa può essere considerata come diretta a ristabilire lo stato di diritto, fatto salvo il rispetto della proporzionalità della misura con la situazione personale dell'interessato.

L'applicazione di tale principio impone che l'autorità giudiziaria valuti caso per caso se un determinato provvedimento possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell'abitazione ai sensi dell'

art. 8 Cedu

(o di altro diritto fondamentale come il diritto alla salute che nel caso in esame rileva) e l'interesse dello Stato ad impedire l'esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo, sicché deve essere il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se il provvedimento limitativo della libertà "reale" sia "proporzionato" rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte Edu, che la normativa edilizia intende perseguire.

In altri termini, il rispetto del principio di proporzionalità implica, a carico dell'autorità giudiziaria, una valutazione, nel singolo caso concreto, se l'esecuzione dell'ordine di demolizione possa ritenersi giustificato in considerazione delle ragioni espresse dal destinatario della misura, al fine di bilanciare il suo diritto alla tutela dell'abitazione ai sensi dell'

art. 8 Cedu

e l'interesse dello Stato ad impedire l'esecuzione di interventi edilizi in assenza di regolare titolo abilitativo. Ciò comporta che sia il giudice a dover stabilire, tenuto conto delle circostanze del caso concreto dedotte dalle parti, se demolire la casa di abitazione abusivamente costruita sia "proporzionato" rispetto allo scopo, riconosciuto peraltro legittimo dalla Corte EDU, che la normativa edilizia intende perseguire prevedendo la demolizione.

Ricorda, infine, la Cassazione, che la Corte EDU ha escluso che l'ordine di demolizione contrasti con l'art. 1 del protocollo n. 1 (protezione della proprietà), sia perché tale ordine, emesso dopo un ragionevole lasso di tempo dopo la sua edificazione (per un precedente, cfr. Hamer c. Belgio, del 27 novembre 2007, n. 21861/03), ha l'obiettivo di garantire il ripristino dello status quo ante così ristabilendo l'ordine giuridico violato dal comportamento dell'autore dell'abuso edilizio, sia perché l'ordine di demolizione e la sua esecuzione servono anche per scoraggiare altri potenziali trasgressori (il riferimento è al caso Saliba c. Malta, n. 4251/02, dell'8 novembre 2005).

Le soluzioni giuridiche

La S.C. richiama innanzitutto i propri precedenti secondo cui l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 Cedu, posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" a occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato ed a ripristinare l'equilibrio urbanistico-edilizio violato (Cass. pen., Sez. III, n. 24882/2018 e Cass. pen., Sez. III, n. 15141/2016)

Ciò in quanto dalla giurisprudenza Cedu si ricava, al contrario, l'opposto principio dell'interesse dell'ordinamento all'abbattimento - in luogo della confisca - delle opere incompatibili con le disposizioni urbanistiche. Invero, nel noto caso Sud Fondi c. Italia del 20 gennaio 2009 la Corte EDU ha affermato che l'interesse dell'ordinamento è quello di abbattere l'immobile abusivamente realizzato, sottolineando i giudici europei come sia sufficiente, per ripristinare la conformità rispetto alle disposizioni urbanistiche dei lotti interessati, demolire le opere incompatibili con le disposizioni pertinenti anziché procedere alla confisca dei medesimi. Proprio da tale inciso è quindi evidente come la stessa Corte Europea consideri del tutto legittimo il ricorso alla sanzione ripristinatoria della demolizione che, in quanto rivolta a ristabilire l'ordine giuridico violato, prevale sul diritto (rectius, interesse di mero fatto) all'abitazione dell'immobile abusivamente realizzato.

È vero – osserva la Cassazione - che la Corte Edu ha ritenuto necessario operare, in applicazione del principio di proporzionalità, un bilanciamento tra l'esigenza della collettività al ripristino dell'equilibrio urbanistico-edilizio violato e il suo diritto alla tutela dell'abitazione ai sensi dell'art. 8 Cedu ma, nel caso in esame, il Tribunale ha correttamente ritenuto generiche e indimostrate le deduzioni difensive circa l'indisponibilità economica della ricorrente, la quale nemmeno ha dato prova né che le condizioni di salute le impediscano di essere spostata da un luogo all'altro, e nemmeno di aver interpellato i servizi sociali per ottenere un'altra soluzione abitativa nell'ambito dell'edilizia residenziale pubblica, tenuto anche conto del fatto che l'ordine di demolizione era suscettibile di esecuzione sin dal 2005 e, nonostante ciò, la ricorrente era sempre stata totalmente inerte.

Osservazioni

Tale soluzione non esclude assoluto, ma anzi lascia aperta, la possibilità di provare davanti al giudice dell'esecuzione la sussistenza delle condizioni eccezionali (ragioni di salute o di assoluta indigenza) che, nell'ambito del già menzionato bilanciamento, possano far prevalere il diritto all'abitazione da parte del singolo rispetto all'esecuzione dell'ordine di demolizione.

Tale condizioni, la cui sussistenza deve essere puntualmente provata dall'interessato, non possono però giustificare la revoca dell'ordine di demolizione impartito dal giudice penale, poiché altrimenti le esigenze pubblicistiche di tutela dell'ordinato assetto del territorio sarebbero completamente frustrate; al più esse possono consentire il differimento o la sospensione dell'ordine di demolizione per il periodo strettamente necessario per risolvere la situazione abitativa dell'interessato.

Soluzione, questa, del resto consentita dalla natura amministrativa e non penale dell'ordine di demolizione, anche se emesso dal giudice in uno con la sentenza di condanna (ex plurimis, Cass. pen., Sez. III, 7 giugno 2016, n. 41498), tale da consentirne una applicazione modulata alla contrapposizione degli interessi in gioco, purché quelli del singolo presentino carattere di eccezionalità tale da consentirne il bilanciamento con quelli, comunque prevalenti, di matrice pubblica.

Guida all'approfondimento

Franceschini A., La natura dell'ordine di demolizione impartito dal giudice penale sul banco di prova dei criteri convenzionali, nota a Cassazione penale n.41498/2016, in Cassazione Penale, 2017, IX, 3080;

Scarcella A., Compatibile con la C.E.D.U. l'ordine di demolizione?, nota a Corte europea diritti dell'uomo Sez. V, 21 aprile 2016, n. 46577 in Urbanistica e appalti, 2016, XII, 131;

Tanda P., Le conseguenze della natura giuridica di sanzione amministrativa dell'ordine di demolizione di cui all'art. 31, comma 9, T.U.E., in Rivista Giuridica dell'Edilizia, 2016, III, 307.

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