Omicidio e lesioni stradali: la Consulta si pronuncia su circostanze blindate e automatismi sanzionatori

30 Maggio 2019

È costituzionalmente legittimo l'art. 590-quater c.p. nella parte in cui prevede che le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 c.p., non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto alle circostanze aggravanti di cui agli artt. 589-bis, comma 2, e 590-bis, comma 5, n. 2, c.p.?;
Massima

È costituzionalmente illegittimo l'art. 222, comma 2, quarto periodo, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, nella parte in cui non prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p., per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p., il giudice possa disporre, in alternativa alla revoca della patente di guida, la sospensione della stessa ai sensi del secondo e terzo periodo dello stesso comma 2 dell'art. 222 d.lgs. 285/1992 allorché non ricorra alcuna delle circostanze aggravanti previste dai rispettivi commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bisc.p.

È, invece, costituzionalmente legittimo l'art. 590-quaterc.p. nella parte in cui prevede che le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 c.p., non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto alle circostanze aggravanti di cui agli artt. 589-bis, comma 2, e 590-bis, comma 5, n. 2, c.p.

Il caso

Tizio è stato tratto a giudizio per rispondere di omicidio stradale aggravato in quanto, mentre conduceva un'autovettura in stato di ebbrezza, tamponava un autocarro provocando la morte di uno dei soggetti trasportati e il ferimento di un altro trasportato e del guidatore. All'esito del giudizio abbreviato scelto da Tizio è emerso che il guidatore dell'autocarro tamponato era sotto l'effetto di cocaina, il trasportato deceduto non indossava la cintura di sicurezza e l'illuminazione presente sul tratto di strada in cui è avvenuto il sinistro non funzionava. Le predette condizioni potrebbero integrare la circostanza attenuante di cui all'art. 589-bis, comma 7, c.p., dato che l'evento non sembra essere conseguenza esclusiva dell'azione di Tizio essendo concorsi nella sua verificazione i fattori di cui sopra; tuttavia, stante la previsione dell'art. 590-quater c.p., la relativa riduzione di pena (fino alla metà) potrebbe operare solo sulla quantità di pena determinata ai sensi della circostanza aggravante di cui all'art. 589-bis, comma 2, c.p. (aver guidato in stato di ebbrezza). Dunque, se si procedesse per omicidio stradale non aggravato (art. 589-bis, comma 1, c.p.), con la diminuente di cui al settimo comma dell'art. 589-bis c.p. la pena prevista dal primo comma (reclusione da due a sette anni) potrebbe essere ridotta fino ad un anno di reclusione. Ricorrendo, invece, l'aggravante di cui al secondo comma della medesima disposizione (pena da otto a dodici anni di reclusione), la pena può essere diminuita fino a quattro anni di reclusione. Se invece il divieto di bilanciamento delle circostanze previsto dalla disposizione censurata non operasse, potrebbe aversi, in caso di prevalenza della circostanza attenuante, la diminuzione fino alla metà sulla pena prevista per il delitto base, sicché dal minimo edittale di due anni di reclusione si scenderebbe ad un anno di reclusione. Il risultato complessivo, quindi, è che per effetto dell'art. 590-quater c.p. l'imputato subisce un aumento della cornice edittale pari al quadruplo. Inoltre, per effetto della norma censurata si potrebbe verificare un aumento sproporzionato di pena nei casi di percentuale minima di colpa dell'imputato perché la pena minima rimane sempre quattro anni di reclusione anche se la colpa dell'imputato nel cagionare l'evento morte fosse, ad esempio, pari a una percentuale dell'1 per cento. In tal modo ritiene il giudice romano che il legislatore attribuisca eccessiva considerazione alla circostanza aggravante dello stato di ebbrezza, senza tener conto che guidare in stato di alterazione psico-fisica per aver assunto una bevanda alcolica è una condotta punita a titolo contravvenzionale dall'art. 186 d.lgs. 285/1992.

Alla luce delle considerazioni di cui sopra, il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma,con ordinanza del 16 maggio 2017, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 590-quater c.p. con riferimento agli artt. 3, 25, comma 2, e 27 Cost., nella parte in cui vieta al giudice, nel giudizio di bilanciamento fra circostanze di segno opposto, di ritenere la circostanza attenuante speciale di cui all'art. 589-bis, comma 7, c.p. (efficacia causale non esclusiva della condotta dell'imputato) prevalente o equivalente alle circostanze aggravanti previste dai commi precedenti della stessa norma.

Analoghe considerazioni hanno portato il Tribunale ordinario di Torino a sollevare la stessa questione con ordinanza dell'8 giugno 2018. Nel caso di specie Caio è imputato del delitto di lesioni personali stradali gravi perché, alla guida di un'autovettura, passando con il semaforo rosso, investiva un pedone che stava camminando sull'attraversamento pedonale, procurandogli fratture maxillo-facciali, trauma cranico e frattura scapolare giudicate guaribili in sessanta giorni. Il fatto è avvenuto con il concorso di colpa della persona offesa che stava attraversando l'intersezione stradale con il semaforo pedonale rosso. Anche in questo caso, sussistendo un concorso di colpa della persona offesa, il giudice potrebbe ridurre fino alla metà la pena prevista per il delitto aggravato di cui all'art. 590-bis, comma 5, c.p. (reclusione da un anno e sei mesi a tre anni) e dunque fino al minimo di mesi nove di reclusione. Se invece fosse possibile il bilanciamento, potrebbe irrogare la pena minima di tre mesi di reclusione, in caso di ritenuta equivalenza dell'attenuante, o, addirittura, la pena minima di un mese e quindici giorni di reclusione, in ipotesi di prevalenza dell'attenuante.

Il giudice torinese ha chiesto alla Corte costituzionale di pronunciarsi anche sulla legittimità dell'art. 222, commi 2 e 3-ter, d.lgs. 285/1992, nella parte in cui, in caso di omicidio stradale o di lesioni personali stradali, prevedono, rispettivamente, la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida e l'impossibilità di conseguire una nuova patente di guida prima che siano decorsi cinque anni dalla revoca.

Ad avviso del giudice rimettente la norma censurata sarebbe irragionevole perché sottopone, senza possibilità dì graduazione, alla medesima sanzione amministrativa accessoria situazioni ontologicamente diverse, per le quali il legislatore ha previsto trattamenti sanzionatori differenziati in funzione del diverso disvalore sociale. L'art. 222, comma 2, d.lgs. 285/1992 non lascia al giudice alcuna possibilità di commisurare la sanzione accessoria alla gravità del danno, alle modalità della condotta, all'intensità della colpa e al concorso di altri fattori (quali, ad esempio, il concorso di colpa della persona offesa). Dunque, il legislatore, pur avendo differenziato le fattispecie dell'omicidio e delle lesioni personali stradali sul piano della sanzione penale, li ha sottoposte alla medesima sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.

La questione

Le questioni rimesse alla Corte costituzione sono le seguenti:

a) è costituzionalmente legittimo l'art. 590-quater c.p. nella parte in cui prevede che le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 c.p., non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto alle circostanze aggravanti di cui agli artt. 589-bis, comma 2, e 590-bis, comma 5, n. 2, c.p.?;

b) è costituzionalmente legittimo l'art. 222, comma 2, quarto periodo, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p., per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p., il giudice deve sempre disporre la revoca della patente di guida?

Le soluzioni giuridiche

Partendo dalla prima questione, i giudici rimettenti censurano il divieto di bilanciamento di cui all'art. 590-quater c.p. con specifico riferimento alla circostanza aggravante di cui al secondo comma dell'art. 589-bisc.p. (omicidio stradale commesso guidando un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcoolica) e alla circostanza aggravante di cui al numero 2 del quinto comma dell'art. 590-bisc.p. (lesioni personali stradali a seguito di attraversamento di un'intersezione stradale con semaforo rosso).

Per effetto della circostanza attenuante del concorso di colpa della vittima, nel primo caso la pena minima di otto anni di reclusione può essere ridotta fino a quattro anni, mentre nel secondo caso la pena minima di un anno e sei mesi di reclusione può essere ridotta fino a nove mesi.

Va detto che l'ordinamento prevede numerose ipotesi di circostanze aggravanti c.d. “privilegiate” o “blindate”, ossia sottratte al giudizio di bilanciamento con concorrenti circostanze attenuanti; la tenuta costituzionale di tali previsioni è legata alla ragionevolezza dell'esclusione dalla comparazione con le altre circostanze rispetto ai sottostanti valori tutelati dalla fattispecie circostanziale privilegiata.

Fra queste circostanze “blindate” figurava anche l'art. 590-bis c.p., abrogato dalla riforma del 2016, che, in tema di omicidio e lesioni personali, escludeva dal giudizio di bilanciamento con le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli artt. 98 e 114 c.p., le (allora) circostanze aggravanti della violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Nel 2016, in occasione dell'introduzione dei reati di omicidio e lesioni personali stradali, viene riproposta la clausola di esclusione dalla comparazione con le circostanze attenuanti (art. 590-quater c.p.), sia pur con un ambito applicativo più ampio essendovi state ricondotte anche circostanze aggravanti prima inesistenti.

La novella del 2016, per moderare il notevole rigore sanzionatorio che caratterizza i nuovi reati, ha introdotto anche una nuova circostanza attenuante che valorizza il fatto che la condotta del reo non abbia esplicato un'efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento. Si tratta di un'attenuante a effetto speciale del tutto particolare perché, attenendo all'efficienza causale, va a derogare al principio dell'equivalenza delle concause (art. 41 c.p.), in base al quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute (che possono consistere anche nel fatto illecito altrui), anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non dovrebbe esclude il rapporto di causalità fra azione od omissione ed evento.

Osserva la Corte che nei reati colposi l'eventuale concorso di colpa della persona offesa non solo non esclude né interrompe il rapporto di causalità, ma neppure vale come circostanza attenuante; di esso il giudice può tenere conto esclusivamente sotto il profilo della dosimetria della pena ex art. 133 c.p. L'unica ipotesi di circostanza attenuante che valorizza gli apporti causali della vittima è quella prevista dall'art. 62, comma 1, n. 5, c.p., che tuttavia riguarda “il fatto doloso della persona offesa”.

La Corte ammette che quelle introdotte nel 2016 per l'omicidio e le lesioni personali stradali siano sanzioni severe, come peraltro sostenuto dalla quasi totalità dei commentatori, ma ritiene che la loro previsione rientri nell'ambito dell'esercizio non irragionevole della discrezionalità concessa al legislatore, «che ha ritenuto, secondo una non sindacabile opzione politica in materia penale, di contrastare in modo più energico condotte gravemente lesive dell'incolumità delle persone, che negli ultimi anni hanno creato diffuso allarme sociale».

Allo stesso modo, la Corte ritiene ragionevole anche la scelta di sottrarre determinate circostanze aggravanti al giudizio di bilanciamento, richiedendo che vada calcolato prima il relativo aggravamento di pena e poi la riduzione per le concorrenti attenuanti, in quanto nella materia che ci occupa ricorrono particolari esigenze di protezione di beni costituzionalmente tutelati, quale il diritto fondamentale e personalissimo alla vita e all'integrità fisica.

Osserva ancora la Corte che il criterio da seguire nel condurre un sindacato di ragionevolezza sulle scelte legislative in materia di trattamento sanzionatorio è quello della proporzionalità fra pena e offensività del fatto, nel senso che la scelta di blindare una circostanza aggravante non può spingersi «fino al punto di sanzionare condotte di minore gravità con pene eccessive perché sproporzionate rispetto al canone della necessaria offensività».

Tuttavia, osserva la Consulta, la circostanza attenuante in esame non attiene all'offensività, in quanto l'omicidio stradale e le lesioni personali stradali offendono, rispettivamente, il bene vita e il bene integrità fisica anche se alla verificazione dell'evento morte o malattia abbia concorso un fattore causale estraneo alla condotta del reo. Infatti, nel nostro ordinamento vige il principio dell'equivalenza delle causa, nel senso che qualunque fattore che abbia concorso al verificarsi dell'evento ne costituisce causa, indipendentemente dal concorso di altre circostanze – anche consistenti nel comportamento colposo di altri – che possano avere avuto incidenza causale nella produzione dell'evento. Dunque, non muovendosi sul terreno dell'offensività, il legislatore gode di maggiore discrezionalità nel dimensionare l'incidenza sul calcolo della pena di tale, eccezionale e del tutto particolare, attenuante.

Inoltre, si osserva, il maggior rigore conseguente al divieto di bilanciamento di tale attenuante trova ragione nell'esigenza di contrastare in modo più decisivo condotte altamente pericolose e allarmanti, quali appunto la conduzione di veicoli a motore in stato di alterazione psico-fisica a seguito dell'assunzione di alcool o di sostanze stupefacenti o psicotrope e l'attraversamento di un incrocio senza rispettare la luce semaforica rossa.

Passando all'art. 222, comma 2, d.lgs. 285/1992, la disposizione censurata prevede che in tutti i casi di omicidio e lesioni personali stradali, siano essi aggravati o meno, il giudice debba applicare la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente di guida.

Deve osservarsi che, a differenza del trattamento sanzionatorio penale, che per le fattispecie aggravate previste dai commi secondo e terzo degli artt. 589-bis e 590-bis c.p. subisce un marcato incremento rispetto alle ipotesi base di cui al primo comma delle predette norme, la sanzione amministrativa della revoca della patente di guida trova applicazione per tutte le fattispecie secondo un automatismo sanzionatorio indifferenziato che, secondo la Corte, costituisce indice di disparità di trattamento e irragionevolezza intrinseca.

Il criterio da seguire nel sindacare la costituzionalità delle previsioni sanzionatorie attiene alla natura dell'illecito sanzionato e alla misura della sanzione prevista, nel senso che sanzioni non graduabili possono essere ritenute legittime solo se appaiono ragionevolmente proporzionate rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato.

Nel caso in esame, ad avviso dei Giudici delle leggi, l'automatismo della risposta sanzionatoria, non graduabile in ragione delle peculiarità del caso, può giustificarsi solo con riferimento alle ipotesi più gravi di omicidio e lesioni personali stradali, ossia quelle connesse alla conduzione di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, in quanto trattasi di comportamenti altamente pericolosi per la vita e l'incolumità delle persone, posti in essere in spregio del dovuto rispetto di tali beni fondamentali, in ordine ai quali si giustifica una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione amministrativa della revoca della patente.

La Corte osserva che la norma censurata non soffre solo di una irragionevolezza interna, ma anche, per così dire, esterna. Infatti, il legislatore del 2016, nell'introdurre la previsione in esame, non ha messo mano al secondo e terzo periodo dell'art. 222 d.lgs. 285/1992, tutt'ora in vigore, i quali prevedono la sospensione della patente di guida fino a due anni, quando dalla violazione del codice della strada derivi una lesione personale colposa grave o gravissima, e fino a quattro anni, quando derivi la morte. È evidente come tali prescrizioni si sovrappongano alle nuove senza un chiaro coordinamento che delimiti le rispettive sfere di applicabilità.

Dunque, in merito alle ipotesi di reato previste dagli artt. 589-bis e 590-bis c.p., diverse da quelle contemplate ai commi secondo e terzo delle predette norme, l'automatismo della sanzione amministrativa non è compatibile con i principi di eguaglianza e proporzionalità, perché la gravità concreta dei fatti può essere tale da rendere la sospensione della patente di guida una misura sufficiente a tutelare la scurezza stradale. In relazione a tali condotte, quindi, deve consentirsi al giudice di valutare le circostanze del caso concreto tenendo conto degli artt. 218 e 219 d.lgs. 285/1992 ed eventualmente applicare come sanzione amministrativa accessoria, in luogo della revoca della patente, la sospensione della stessa, la cui durata dovrà essere fissata all'interno dei limiti previsti dal secondo e dal terzo periodo del capoverso dell'art. 222 d.lgs. 285/1992 (fino a due anni in caso di lesioni e fino a quattro anni in caso di omicidio).

Osservazioni

Prendendo le mosse dal giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 590-quater c.p., è opportuno premettere che l'art. 589-bis, comma 6, c.p. prevede una circostanza attenuante a effetto speciale (diminuzione della pena fino alla metà) qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole. La ratio dell'attenuante risiede nella minore gravità oggettiva dell'ipotesi in cui la causalità non sia esclusivamente riferibile all'agente. Si tratta di un'attenuante di natura oggettiva che ricorda la circostanza comune di cui all'art. 62 n. 5 c.p. Tuttavia, rispetto a quest'ultima, la circostanza in commento ha una portata più ampia. In primo luogo, essa si applica anche ai fatti colposi della persona offesa. Si tratta di una estensione opportuna, in quanto la circostanza comune veniva applicata con particolare rigore da parte della giurisprudenza e trovava scarsa applicazione nei reati connessi alla circolazione stradale essendo strutturalmente incompatibile con i fatti colposi della vittima. Inoltre, la formulazione della norma consente di applicarla anche quando concausa dell'evento sia il comportamento di un terzo diverso dalla persona offesa (si pensi, ad esempio, ad un difetto manutentivo da parte dell'ente proprietario della strada); anzi, il tenore letterale della disposizione sembra consentirne l'applicazione anche quando l'evento sia la conseguenza di un concorso di fattori non umani (caso fortuito o forza maggiore), come, ad esempio, il malore improvviso del conducente o della vittima o un improvviso evento atmosferico, come un fulmine. Naturalmente, la condotta della vittima o del terzo, dolosa o colposa che sia, o il fattore non umano devono esplicare una efficacia causale concorrente e non esclusiva, perché altrimenti il nesso causale verrebbe interrotto ex art. 41, comma 2, c.p.

Ciò detto, è senz'altro vero quanto osserva la Corte costituzionale sul principio di equivalenza delle condizioni: per l'imputazione causale dell'evento è necessario, ma anche sufficiente, che l'agente, con la sua azione od omissione, realizzi una delle condizioni necessarie; le altre condizioni, preesistenti, simultanee o sopravvenute, concorrono alla produzione dell'evento ma non escludono il nesso causale, salvo che non siano state da sole sufficienti a produrre l'evento. Neppure il fatto illecito altrui, sia esso doloso o colposo, può acquistare rilievo ai fini dell'esclusione del nesso di condizionamento. Tuttavia, non può nascondersi che il concorso di fattori estranei alla condotta del reo che, pur non essendo necessari per la sussistenza del reato hanno tuttavia contribuito, in concreto, al verificarsi dell'evento, incide, diminuendola, sulla gravità oggettiva del reato; ed infatti il codice Zanardelli prevedeva la diminuente della concausa, poi eliminata dall'art. 41, comma 1, c.p. 1930. Dunque, a fronte di pene draconiane come quelle previste dai commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto degli artt. 589-bis e 590-bis c.p. (che, si ricorda, configurano pur sempre delitti colposi), sarebbe stata opzione altrettanto ragionevole quella di consentire un bilanciamento con la circostanza attenuante in esame, anche in considerazione dell'ampia forbice riduttiva che la caratterizza (fino alla metà), che avrebbe consentito al giudice di parametrare la diminuzione in modo proporzionale alla percentuale di contributo causale imputabile al reo.

A prescindere da tali considerazioni, va rilevato che l'art. 590-quater c.p. esclude dal divieto di bilanciamento la circostanza attenuante di cui all'art. 114 c.p. (contributo di minima importanza), di talché la attenuata incidenza causale della condotta del reo nella verificazione dell'evento potrebbe essere recuperata attraverso la predetta circostanza.

Venendo alla decisione sulla sanzione accessoria della revoca della patente di guida, la soluzione della Corte merita piena condivisione. Dando seguito alla propria giurisprudenza in tema di pene fisse (principali e accessorie), la Corte osserva come sia irragionevole imporre la medesima (grave) sanzione amministrativa accessoria a fronte di eterogenee condotte costituenti reato. La determinazione del trattamento sanzionatorio – comprensivo della statuizioni accessorie di tipo amministrativo che, stante la loro intrinseca natura afflittiva, dovrebbero essere assimilate a quelle stricto sensu penali – è riservata alla discrezionalità del legislatore ed è sindacabile, da parte della Corte costituzionale, solo qualora le scelte legislative siano manifestamente irragionevoli. Sono da ritenersi manifestamente irragionevoli le sanzioni che appaiano visibilmente sproporzionate rispetto alla gravità della violazione commessa, alla entità del danno apportato, nonché al pericolo che l'ulteriore circolazione potrebbe cagionare. Per evitare la concreta inflizione di sanzioni sproporzionate è, dunque, necessario che il giudice possa graduare la sanzione in ragione degli aspetti evidenziati sopra. Tuttavia, la Corte, anziché restituire al giudice la piena discrezionalità nello stabilire tipologia (revoca o sospensione) e durata della sanzione accessoria, ha ritenuto di salvare l'automatismo in relazione alle ipotesi più gravi di lesioni e omicidio stradali, quelle connesse alla guida in stato di abbrezza o di stupefazione, consentendo, per il resto, un giudizio personalizzato che tenga conto dei parametri e dei limiti di durata previsti dal codice della strada (artt. 218 e 219).

C'è da chiedersi se la declaratoria di incostituzionalità possa esplicare effetti anche sulle pronunce passate ingiudicate. La soluzione positiva dovrebbe passare attraverso la qualificazione come “sostanzialmente penali”, secondo i noti criteri Engel, delle sanzioni amministrative in esame, trattandosi di previsioni che riguardano la generalità dei consociati, perseguono uno scopo non meramente risarcitorio, ma repressivo e preventivo e hanno una connotazione afflittiva, potendo raggiungere un rilevante grado di severità. In tal caso al giudice dell'esecuzione dovrebbe essere demandato il compito di rivalutare il fatto sulla base dei già evidenziati parametri codicistici per stabile se, in ragione della revoca disposta in sede cognitiva, debba applicarsi la più blanda sospensione e, in tal caso, entro quali limiti temporali. Al di là delle legittime perplessità che si possono esprimere sulla qualificazione “penalistica” della revoca e della sospensione della patente di guida, deve osservarsi che la Corte costituzionale (sentenza n. 43 del 2017) ha negato tale soluzione dichiarando non fondata la questione della legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 4, l. 11 marzo 1953, n. 87, nella parte in cui non si applica alle sentenze irrevocabili con le quali è stata inflitta una sanzione amministrativa qualificabile come “penale” ai sensi del diritto convenzionale, osservando che “nulla impedisce al legislatore di riservare alcune garanzie, come quelle previste dall'art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, al nucleo più incisivo del diritto sanzionatorio, rappresentato dal diritto penale, qualificato come tale dall'ordinamento interno”. Del resto, la Corte ha più volte ribadito l'autonomia dell'illecito amministrativo dal diritto penale (sentenza n. 49 del 2015), considerando legittima la mancata estensione agli illeciti amministrativi di taluni principi operanti nel diritto penale, sulla considerazione che tali scelte “costituiscono espressione della discrezionalità del legislatore nel configurare il trattamento sanzionatorio per gli illeciti amministrativi» (sentenza n. 193 del 2016). La qualificazione degli illeciti e la conseguente sfera delle garanzie, circoscritta ad alcuni settori dell'ordinamento ed esclusa per altri, risponde, dunque, a «scelte di politica legislativa in ordine all'efficacia dissuasiva della sanzione, modulate in funzione della natura degli interessi tutelati» (sentenza n. 193 del 2016), sindacabili dalla Corte solo laddove trasmodino nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio. Va aggiunto che anche recentemente (sentenza n. 63 del 2019) la Consulta ha ribadito questa soluzione. Secondo il giudice a quo, anche nel caso di dichiarazione di incostituzionalità di una norma che incide sul quantum sanzionatorio, infliggendo una sanzione formalmente amministrativa ma “sostanzialmente penale”, si dovrebbe pervenire alla rimozione degli effetti della sentenza irrevocabile pronunciata sulla base di una tale disposizione. Da qui la questione di costituzionalità dell'art. 30, comma 4, l. 11 marzo 1953, n. 87 – per contrasto con l'art. 117 CEDU – nella parte in cui non prevede tale possibilità. In relazione a questo profilo, però, la Corte ha ritenuto la questione infondata, affermando che «l'attrazione di una sanzione amministrativa nell'ambito della materia penale, in virtù dei menzionati criteri Engel, trascina con sé tutte e soltanto le garanzie previste dalle pertinenti disposizioni della Convenzione, mentre rimane nel margine di apprezzamento di cui gode ciascuno Stato la definizione dell'ambito di applicazione delle ulteriori tutele predisposte dal diritto nazionale». In altre parole, «ciò che per la giurisprudenza europea ha natura penale deve essere assistito dalle garanzie che la stessa ha elaborato per la materia penale; mentre solo ciò che è penale per l'ordinamento nazionale beneficia degli ulteriori presidi rinvenibili nella legislazione interna». Alla luce di queste affermazioni la Consulta si è dunque domandata se sia presente – nella giurisprudenza della Corte EDU – un principio analogo a quello previsto dall'art. 30, comma 4, l. /1953, pervenendo tuttavia ad una risposta negativa. L'invocato art. 7 CEDU (nulla poena sine lege) – che secondo il rimettente non tollererebbe sanzioni basate su norme illegittime – a detta della Corte costituzionale non fornisce spunti utili ad avvalorare la tesi del giudice a quo. In materia di “dimensione temporale del principio di legalità”, infatti, la giurisprudenza europea è intervenuta solo sotto il profilo della successione di leggi nel tempo, e anche in quest'ambito non è mai giunta ad affermare che la cedevolezza del giudicato rispetto alla lex mitior è imposta dall'art. 7 CEDU. In altre parole, secondo la Consulta, nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo «non si rinviene, allo stato, alcuna affermazione che esplicitamente o implicitamente possa avvalorare l'interpretazione dell'art. 7 CEDU nel senso della necessità che gli Stati aderenti sacrifichino il principio dell'intangibilità del giudicato nel caso di sanzioni amministrative inflitte sulla base di norme successivamente dichiarate costituzionalmente illegittime».

Per concludere va detto che sullo sfondo della decisione in commento rimane il problema, a cui pure la Corte accenna senza approfondire, del coordinamento fra la nuova previsione dell'art. 222 d.lgs. 285/1992 oggetto dello scrutino di costituzionalità e la previgente previsione contenuta nella stessa norma e lasciata immutata dal legislatore del 2016. L'art. 222, rubricato Sanzioni amministrative accessorie all'accertamento di reati, modificato dall'art. 1, comma 6, l. n. 41/2016, prevede che qualora da una violazione delle norme del codice della strada derivino danni alle persone, il giudice applica con la sentenza di condanna le sanzioni amministrative pecuniarie previste, nonché le sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente. In particolare, viene sancito che quando dal fatto derivi la morte o una lesione personale colposa, trova applicazione la sanzione della sospensione, mentre per i reati di cui agli artt. 589-bis e 590-bis c.p. consegue la revoca della patente di guida. Si tratta di una disposizione solo apparentemente illogica e contradditoria, come è stato efficacemente rilevato da una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. pen., Sez. IV, 31 luglio 2018, n. 36759). I giudici evidenziano come la dottrina più attenta, già nell'immediatezza dell'adozione della novella, ha segnalato che si deve a una mera svista "compilativa" del legislatore la circostanza, invero singolare, che la previsione della sospensione della patente di guida per i casi di omicidio colposo e di lesioni colpose gravi o gravissime sia rimasta in vigore anche se subito dopo è prevista per tali ipotesi la revoca della patente. Pertanto, è rimesso all'interprete l'arduo compito di risolvere l'aporia esistente, attribuendo all'infelice previsione del un significato logico, che appare essere duplice. Da un lato, essa può valere come norma transitoria volta a segnalare all'interprete e all'operatore pratico che per i fatti commessi in epoca antecedente rispetto alla novella legislativa (in vigore dal 25 marzo 2016) non può trovare applicazione retroattiva la più grave sanzione della revoca, successivamente introdotta, dovendo continuare ad applicarsi la sospensione della patente; dall'altro, esiste un'altra possibile lettura e, in particolare, quella secondo cui la revoca può operare solo nel caso di accertata violazione degli artt. 589-bis e 590-bis c.p. (nelle ipotesi aggravate di cui ai commi secondo, terzo, quarto, quinto e sesto, secondo quanto statuito dalla Corte costituzionale), mentre la sospensione troverà applicazione negli altri casi, pure previsti dal codice della strada, in cui si verificano danni alla persona come, ad esempio, allorché sia accertata la violazione da parte dell'imputato dell'art. 9-ter, co. 2, d.lgs. n. 285/1992, che punisce la violazione del divieto di gareggiare in velocità con veicoli a motore cui consegua la morte di una o più persone ovvero lesioni personali.

Guida all'approfondimento

BANZANI-TRINCI (a cura di), I reati in materia di circolazione stradale, Milano, 2016;

LAZZONI-TRINCI, La guida in stato di alterazione, Milano, 2019 (in corso di pubblicazione);

TRINCI, Le circostanze privilegiate e la loro applicazione, Il Penalista, 3 dicembre 2018.

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