Violenza assistita e applicabilità della causa ostativa alla sospensione dell'esecuzione della pena ex art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p.

Fabrizio Filice
29 Maggio 2019

La questione affrontata dalla S.C. è se e in che limiti la causa di esclusione della sospensione dell'esecuzione della pena prevista all'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., in relazione alla fattispecie, ora abrogata, di cui all'art. 572, comma secondo,c.p., sia applicabile anche all'attuale aggravante comune di cui all'art. 61, comma 11-quinquies, stesso codice.
Massima

La continuità normativa tra l'originaria forma aggravata del reato di maltrattamenti ex art. 572, secondo comma, c.p., e quella introdotta con l'art. 61, n. 11-quinquies), stesso codice, e la conseguente operatività della relativa causa di esclusone della sospensione dell'esecuzione della pena, prevista all'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., devono intendersi limitate alle condotte commesse in danno dei minori di anni quattordici.

L'aggravante di avere commesso il fatto alla presenzadi un minore non combacia con la forma aggravata del reato di cui all'art. 572, comma secondo, c.p., indicata nell'elenco dei reati ostativi di cui all'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., e pertanto non costituisce limite alla sospensione dell'esecuzione prevista al comma 5 della citata disposizione.

Il caso

Il Giudice dell'esecuzione rigettava l'istanza proposta nell'interesse del condannato, diretta alla declaratoria di illegittimità̀ dell'ordine di esecuzione per la carcerazione emesso – senza contestuale decreto di sospensione – dal Pubblico Ministero in relazione alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione riportata dal condannato per il reato di cui all'art. 572 aggravato ai sensi dell'art. 61, n. 11-quinquies, c.p.

A motivazione del rigetto veniva rilevato che tra il reato di maltrattamenti aggravato ai sensi dell'art. 572, secondo comma, c.p. – ciò è a dire commesso in danno di persona minore degli anni quattordici -, indicato nell'elenco dei titoli ostativi di cui all'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., e l'attuale formulazione dell'ipotesi aggravata ai sensi dell'art. 61, n. 11-quinquies, c.p., introdotta con legge 119/2013, esiste continuità̀ normativa in relazione alle ipotesi di fatto commesso in danno o alla presenza di minore infra- quattordicenne.

Avverso l'ordinanza proponeva ricorso per cassazione il difensore del condannato, censurando - ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. - l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., in rapporto all'art. 572 c.p.: quanto all'abrogata forma aggravata nonché́ a quella introdotta con l'art. 61, n. 11-quinquies, c.p., per contrasto con gli artt. 25 della Costituzione, 2 c.p., 12 e 14 disp. prel. c.c. (c.d. preleggi).

In particolare il ricorrente denunciava come l'impugnata ordinanza avesse erroneamente ritenuto esservi continuità̀ normativa tra le due aggravanti di cui la prima, ora abrogata, era circoscritta alla commissione del fatto in danno di persona minore degli anni quattordici, mentre quella di più recente introduzione ricomprende anche le condotte commesse alla presenza, oltre che in danno, di un minore; con conseguente violazione del principio di legalità̀ sancito dall'art. 25 della Costituzione, del principio di irretroattività̀ ex art. 2 c.p., e del divieto di interpretazione analogica in materia penale, previsto dagli artt. 12 e 14 delle preleggi.

La questione

La questione che si pone è quindi, anzitutto, se sussista continuità normativa, ed eventualmente in quali limiti, tra la fattispecie di maltrattamenti aggravata ai sensi dell'art. 572, secondo comma, c.p., per essere il fatto commesso in danno di persona minore degli anni quattordici, e l'attuale formulazione dell'ipotesi aggravata ai sensi dell'art. 61, n. 11-quinquies, c.p., introdotta con legge 119/2013, per essere il fatto commesso in danno o alla presenza di un minore.

E, in secondo luogo, se e in che limiti la causa di esclusione della sospensione dell'esecuzione della pena prevista all'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., in relazione alla fattispecie, ora abrogata, di cui all'art. 572, comma secondo,c.p., sia applicabile anche all'attuale aggravante comune di cui all'art. 61, comma 11-quinquies, stesso codice.

Le soluzioni giuridiche

La premessa metodologica da cui, condivisibilmente, prende le mosse la Corte è la qualificazione del rinvio all'art. 572, comma secondo, c.p., contenuto nell'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., in termini di “rinvio mobile” o “formale”: nel senso che, essendo la ratio del rinvio a determinati titoli di reato, quella di introdurre una causa ostativa alla concessione dei benefici esecutivi prescinde dalla formulazione linguistica delle relative fattispecie e consente alla norma richiamante di incorporarne le evoluzioni.

Che si tratti di un rinvio di tale natura - precisa la Corte - è un dato acquisito da consolidata giurisprudenza di legittimità̀: tra le più recenti in questo senso, Cass.pen., Sez. I, n. 52181/2016, Brandi, Rv. 268352-01, in cui si esplicita la natura appunto ‘mobile' del rinvio effettuato dall' art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., all' art. 572, comma secondo, c.p.; e si afferma non solo che tale meccanismo è pienamente coerente con il criterio dell' interpretazione letterale di cui all' art. 12 delle preleggi, ma anche che nel settore penale tale tecnica è quella più coerente con il carattere permanente del potere del legislatore di compiere le scelte punitive.

Fatta questa premessa, in base alla quale è da escludersi che sussistano limiti strutturali all'estensione del rinvio contenuto all'art. 656, comma 9, lett a), c.p.p., a fattispecie di reato introdotte successivamente alla fattispecie, ora abrogata, di cui all'art. 572, comma secondo, c.p., purché le stesse si pongano in rapporto di continuità normativa con essa, la Corte passa, con piena consequenzialità logica, a chiedersi se tra le due fattispecie in oggetto – appunto: il vecchio art. 572, comma secondo, e l'attuale art. 61, comma 11-quinquies – esista, e in che limiti, un rapporto di continuità normativa.

La conclusione cui giunge la Corte è che la a continuità̀ normativa tra l'originaria forma aggravata del reato di maltrattamenti ex art. 572, secondo comma, c.p., e quella introdotta con l'art. 61, n. 11-quinquies, stesso codice, deve intendersi limitata alle condotte commesse in danno dei minori di anni quattordici: unico terreno comune a entrambe le aggravanti, mentre non rientrano nell'originaria previsione, né possono quindi ritenersi richiamate in forma “mobile” o “formale” ai fini di cui all'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p., le ulteriori forme di aggravamento della condotta successivamente introdotte, in particolare quella di avere commesso il fatto alla presenza, oltre che in danno, di un minore: trattandosi di nuove ipotesi di responsabilità̀ aggravata e quindi soggette ai principi di tassatività̀ e di irretroattività̀ della legge penale.

Secondo la Corte si giungerebbe agevolmente a tale conclusione ponendo l'accento sull'interpretazione della legge secondo i canoni dettati dagli artt. 12 e 14 delle preleggi, che contengono due differenti criteri interpretativi.

Il primo è quello di attribuire alla norma il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (criterio dell'interpretazione letterale): criterio in applicazione del quale non può̀ quindi accedersi a un'interpretazione che parifichi la fattispecie aggravata in danno del minore con quella alla presenza del minore, poiché́ trattasi all'evidenza di situazioni ontologicamente diverse: e anzi, tale dualità̀ è insita nella stessa necessità di prevederle distintamente, nonché́ in modo alternativo, grazie alla congiunzione o pur nel contesto della medesima aggravante; infatti l'art. 61, n. 11-quinquies, sancisce l'aggravamento di pena per chi abbia commesso il fatto in presenza o in danno di un minore degli anni diciotto.

Il secondo criterio è quello di considerare, nell'operazione ermeneutica, l'intenzione del legislatore (criterio dell'interpretazione teleologica o finalistica); in questo caso l'intenzione legislativa sottesa all'introduzione della nuova aggravante sarebbe pacificamente da ravvisarsi in una ratio di maggior rigore punitivo per contrastare condotte ritenute di particolare disvalore alla stregua della acuita sensibilità̀ sociale per i fenomeni di violenza all'interno delle mura domestiche: in conseguenza di che ne discende, con tutta evidenza, l'ascrizione del fenomeno di diritto inter-temporale alla specie della ‘nuova incriminazione' – eccettuata la limitata porzione di condotte comune alle due fattispecie, relativa come si è visto ai fatti commessi in danno a minori degli anni quattordici - con conseguente necessaria applicazione della lex posterior soltanto per i fatti successivi alla sua introduzione, a tenore dell'art. 2 c.p. e in primis dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione (si veda, in questo senso, Cass. pen., Sez. VI, n. 22530/2015, non massimata).

Osservazioni

Il ragionamento della Corte si contraddistingue per un'ispirazione eminentemente formale nella quale, a causa dell'insistenza sul criterio dell'interpretazione letterale, in base al quale il concetto di condotta commessa in danno a persona minore ha un diverso significato di quello di condotta commessa alla presenza di persona minore, si finisce per annacquare la focalizzazione sul bene giuridico tutelato dalle due fattispecie in successione temporale tra loro.

Invero, l'estensione dell'aggravante per le condotte abusanti che, sia pure non dirette contro il minore (ma ad esempio contro la madre del minore), siano però state commesse alla sua presenza, discende dall'acquisizione scientifica, portata dalla psichiatria e dalla psicologia infantile, dei rilevanti danni che vengono arrecati allo sviluppo psicofisico del minore dall'assistere, appunto in età infantile, a condotte di maltrattamento poste in essere nei confronti di un congiunto da parte di un altro: nella maggioranza dei casi nei confronti della propria madre da parte del padre o di un diverso partner della stessa al momento convivente con lei e con il minore.

Alla differenza semantico-lessicale tra il concetto di condotta in danno a e quello di condotta alla presenza di, non pare corrispondere, quindi, una differenza realmente ontologica, come invece afferma la Corte; e ciò per il fatto che si tratta, in entrambi i casi, di condotte che producono un danno al minore: nel primo caso – quello della condotta diretta in suo danno - nella forma del danno evento e nel secondo, quello di condotta commessa alla sua presenza, nella forma del danno conseguenza.

La Corte, non ponendo alcun riferimento, nella motivazione, all'aspetto sostanziale dell'oggettività giuridica delle fattispecie, e limitandosi invece al piano formale delle definizioni, pare travisare questo aspetto: soprattutto quando, pur ammettendo che la materialità̀ del reato, quand'anche non diretto contro il minore, possa sostanziarsi nell'infliggere al minore un danno derivante proprio dall'assistere agli atti di violenza commessi nei confronti di altri familiari o conviventi – ciò che è appunto la "violenza assistita", ormai espressamente riconosciuta dalla stessa giurisprudenza di legittimità (si veda Cass. pen., Sez. VI, n. 18833/2018, Rv. 272985) - pare però cercare di distinguere questa evenienza dai casi in cui il reato sia semplicemente commesso alla presenza del minore, e ricondurla invece ai soli casi in cui sia contestato il delitto di maltrattamenti (anche) in danno al minore, appunto nella forma della “violenza assistita”.

In questo modo la Corte finisce con il confondere il contenuto sostanziale – e quindi sì, ontologico – della ‘violenza assistita' con la scelta processuale del Pubblico ministero di contestare il delitto di maltrattamenti in danno sia alla vittima diretta che al minore oppure solo in danno alla prima, limitando la considerazione del minore alla contestazione della relativa all'aggravante: anche in questo caso, tuttavia, è assolutamente pacifico il danno recato al minore, che ben potrà costituirsi, tramite il proprio rappresentante legale, parte civile in qualità di danneggiato dal reato; anzi, se il suo rappresentante legale coincide con la vittima diretta del maltrattamento, quest'ultima potrà costituirsi parte civile sia in proprio sia in qualità di esercente la responsabilità genitoriale sul minore danneggiato.

La “violenza assistita”, il cui nucleo contenutistico è già interamente compreso nella contestazione della relativa aggravante (cui può affiancarsi, o meno, la duplice contestazione sia in danno alla vittima diretta sia, appunto, al minore presente alle condotte), arreca sempre un danno al minore ed è quindi, sempre, una condotta in suo danno.

Un chiaro indice in tal senso, per di più proprio ascrivibile all'area dell'intenzionalità legislativa che la Corte ha inteso valorizzare particolarmente, è rappresentato dal disegno di legge S.1200, recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, presentato ai media come “Codice rosso” e già approvato dalla Camera il 3 aprile 2019 (attualmente all'esame del senato): il cui art. 9, oltre a inasprire le pene per il reato di maltrattamenti, vi aggiunge un'aggravante speciale – che va sostituire, esclusivamente per il maltrattamenti, l'attuale aggravante comune di cui all'art. 61 n. 11-quinquies c.p. – con pena aumentata fino alla metà, se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità; e con la precisazione – mediante l'aggiunta di un ultimo capoverso all'articolo - che il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti si considera sempre persona offesa dal reato.

Partendo da queste considerazioni si sarebbe potuto giungere, già allo stato della legislazione vigente, a una diversa soluzione della questione giuridica proposta: in quanto proprio la natura ‘mobile' o ‘formale' del rinvio in oggetto – che, si è detto, prescinde dalla formulazione linguistica e vuole cogliere l'essenza contenutistica della fattispecie richiamata – avrebbe forse imposto di valutare, sotto l'aspetto sostanziale e non meramente definitorio, la causazione di un danno al minore come carattere primario della ratio del rinvio; e quindi di estendere conseguentemente la portata del rinvio anche al danno cagionato al minore vittima di “violenza assistita”.

Tanto più che non si ritiene incisivo in senso contrario il richiamo, pure effettuato dalla Corte, al principio di irretroattività, in quanto la norma richiamante, l'art. 656 c.p.p., in quanto norma processuale, non vi è soggetta: inerendo invece al principio del tempus regit actum ( si vedano, in tal senso, Cass. pen., Sez. I, n. 24831/2010, Castaldi, Rv. 248046-01; Cass. pen., Sez. IV, n. 43117/2012, Riccio, Rv. 253698-01) secondo cui la validità degli atti è regolata dalla legge in vigore al tempo della loro formazione, in conseguenza di che il ‘rinvio mobile' ivi contenuto può legittimamente estendersi alle fattispecie in vigore al momento della sospensione (o non sospensione) dell'esecuzione della pena, che prevedano forme di maltrattamenti aggravate dall'avere cagionato un danno al minore, tra le quali rientra, come si è detto, la fattispecie aggravata di danno da “violenza assistita” introdotta con l'aggravante dell'art. 61, n. 11-quinquies).

Avendo quindi riguardo alla sostanza del danno al minore più che alle definizioni lessicali - che peraltro afferiscono alle diverse condotte di causazione del danno e non al danno stesso – si sarebbe potuta forse affermare la sussistenza di un rapporto di continuità normativa, quantomeno ai fini del ‘rinvio mobile' in oggetto, tra le due fattispecie: con conseguente ritenuta operatività, in entrambi i casi, della causa ostativa alla sospensione dell'esecuzione contenuta all'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p.

Guida all'approfondimento

Per un approfondimento dei reati di contrasto alla violenza di genere e alla violenza domestica, in particolare in merito all'individuazione del bene giuridico tutelato, si veda FILICE, Violenza di genere, Officina del diritto, GFL, 2019, cap. I.

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