Prime interpretazioni giurisprudenziali sulla disciplina delle collaborazioni “etero-organizzate” e libertà datoriale di scelta del tipo contrattuale

Massimo Lanotte
04 Luglio 2018

E' illegittima la previsione, ai fini dell'accreditamento regionale degli homecare service provider, di un obbligo di assunzione diretta con rapporto di lavoro subordinato del personale con la qualifica di infermiere, educatore professionale, fisioterapista, tecnico sanitario e operatore sociosanitario o figura equivalente o dedicata ai servizi alla persona.L'art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015, in presenza di concrete modalità di organizzazione del lavoro (prestazioni esclusivamente personali e continuative, con eterodirezione datoriale) impone anche alle collaborazioni l'applicazione della sola disciplina (e, dunque, non anche del nomen) del rapporto di lavoro subordinato.
Massima

E' illegittima la previsione, ai fini dell'accreditamento regionale degli homecare service provider, di un obbligo di assunzione diretta con rapporto di lavoro subordinato del personale con la qualifica di infermiere, educatore professionale, fisioterapista, tecnico sanitario e operatore sociosanitario o figura equivalente o dedicata ai servizi alla persona.

L'art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015, in presenza di concrete modalità di organizzazione del lavoro (prestazioni esclusivamente personali e continuative, con eterodirezione datoriale) impone anche alle collaborazioni l'applicazione della sola disciplina (e, dunque, non anche del nomen) del rapporto di lavoro subordinato.

Il caso

La regione Lazio, dapprima con il DCA 17 novembre 2016, n. 376 per le strutture socio-sanitarie residenziali, sia assistenziali che riabilitative, poi con il DCA 5 ottobre 2017, n. 422 per tutte le strutture sanitarie private, comprese quelle eroganti servizi domiciliari, ha introdotto, quale ulteriore requisito necessario ai fini del rilascio dell'accreditamento, l'obbligo di assunzione diretta “con rapporto di lavoro di dipendenza” del personale avente qualifica di infermiere, educatore professionale, fisioterapista, tecnico sanitario e operatore sociosanitario o figura equivalente o dedicata ai servizi alla persona.

A sostegno di tale scelta, la Regione richiama “la necessità di tutelare la qualità delle prestazioni erogate nelle strutture ospedaliere, oltre che in quelle territoriali, residenziali sanitarie e sociosanitarie e il corretto rapporto tra costo del lavoro e quantificazione delle tariffe”, nonché, sul piano regolatorio, la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 81 del 2015 che prevede il superamento del contratto di lavoro a progetto e individua nel contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato la “forma comune di rapporto di lavoro”.

L'adozione di tali decreti da parte del Commissario ad acta ha generato un diffuso contenzioso avanti al giudice amministrativo, promosso da numerose strutture ed associazioni di categoria per ottenere l'annullamento i predetti atti commissariali, ritenuti fondati su un'errata interpretazione della normativa vigente nonchè lesivi dell'autonomia imprenditoriale. Si afferma, infatti, che né dall'art. 4, comma 4, lett. d), d.lgs. n. 502 del 1992, né dal d.lgs. n. 81 del 2015 è possibile ricavare un obbligo di assunzione delle indicate figure professionali con contratto di lavoro subordinato, rilevando, al contempo che la libertà economica d'impresa, tutelata dall'art. 41, Cost., “può essere incisa dal potere pubblico soltanto ove l'utilità sociale non appaia perseguita arbitrariamente o mediante l'adozione di misure palesemente incongrue e l'intervento legislativo non sia tale da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre sostanzialmente la funzionalizzazione dell'attività economica, sacrificandone le opzioni di fondo o restringendo in rigidi confini lo spazio e l'oggetto delle stesse scelte organizzative”.

Le questioni

Le questioni oggetto di contenzioso riguardano, da un lato, gli spazi riconosciuti all'autonomia individuale nella scelta della tipologia contrattuale e, dall'altro, l'interpretazione del nuovo assetto regolatorio scaturito dal jobs act che, con il d.lgs. n. 81 del 2015, ha provveduto a ridefinire gli strumenti contrattuali utilizzabili dalle parti, tanto nell'area della subordinazione, quanto in quella dell'autonomia.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in esame non si sofferma più di tanto sul diritto delle parti, e in specie del datore di lavoro, di scegliere la tipologia contrattuale che meglio risponde al soddisfacimento dei propri interessi, ritenendo pacifica l'illegittimità di disposizioni amministrative volte ad imporre “un obbligo generalizzato degli operatori sanitari di assumere con contratto di lavoro subordinato tutti i lavoratori rientranti in puntuali qualifiche professionali”.

Dunque, se valutata esclusivamente in rapporto alla libertà contrattuale e all'autonomia individuale, la richiesta, ai fini dell'accreditamento, dell'instaurazione di rapporti di lavoro dipendente non può che ritenersi in contrasto con tali principi, come riconosciuto anche dalla Regione nelle proprie difese. Va peraltro precisato che in ambito giuslavoristico la libertà di scelta del tipo contrattuale deve risultare coerente con le modalità di esecuzione e conformazione della prestazione volute dalle parti e concretamente attuate nello svolgimento del rapporto, pena la riqualificazione dello stesso da parte del giudice o in sede ispettiva. Di conseguenza, imporre di regolare i rapporti esclusivamente mediante contratti di lavoro subordinato, in mancanza di espresse disposizioni di legge in tal senso, significherebbe imporre illegittimamente alle parti il modello della subordinazione nella gestione e nell'utilizzo delle risorse umane, escludendo, al contempo, altri modelli – potenzialmente utilizzabili, salvo verificare in concreto la loro rispondenza all'interesse perseguito – quali il coordinamento o l'autonomia.

L'aspetto dirimente è, allora, quello di verificare se l'utilizzo di contratti di lavoro subordinato possa ritenersi imposto da disposizioni normative – in particolare dal d.lgs. n. 81 del 2015 – sicché gli atti commissariali impugnati non avrebbero fatto altro che richiedere la puntuale osservanza della fonte legale, ponendosi così al riparo da altrimenti inevitabili censure di illegittimità.

Sotto tale profilo, va rilevato che in un primo tempo il TAR Lazio, chiamato a pronunciarsi sul DCA n. 376 del 2016, ha affermato in sede cautelare, con ordinanza n. 1406 del 22 marzo 2017, di non ritenere condivisibile “il profilo di violazione dell'autonomia imprenditoriale relativamente alla sproporzione delle richieste misure di adeguamento dei contratti di lavoro del personale dipendente delle RSA, dal momento che l'adottato decreto commissariale appare la mera applicazione di norme imperative quali l'art. 1 e l'art. 51, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81”.

Tale prima presa di posizione – che indubbiamente ha avuto un peso nell'emanazione del successivo DCA n. 422/2017, tanto da essere richiamata nelle premesse dell'atto – risulta ora abbandonata nelle pronunce di merito del TAR Lazio, tra cui la sentenza in commento, ove si afferma che “l'ulteriore requisito di accreditamento imposto e ribadito coi provvedimenti in esame espone una portata precettiva che, nel suo complesso, non trova conforto nel d.lgs. n. 81 del 2015”.

Secondo i giudici amministrativi, infatti, il contratto di lavoro subordinato, pur costituendo “la forma comune di rapporto di lavoro” (così l'art. 1, d.lgs. n. 81 del 2015), non ne rappresenta la forma esclusiva, dovendosi comunque ammettere anche l'utilizzo di contratti di collaborazione, per loro natura diversi dall'archetipo del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Queste collaborazioni poi – si legge nella sentenza – anche quando sono connotate da prestazioni esclusivamente personali, continuative ed eterorganizzate, “tali rimangono dal punto di vista della qualificazione contrattuale”, posto che l'art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015 in tali casi “impone l'applicazione della sola disciplina (e, dunque, non anche del nomen) del rapporto di lavoro subordinato”; inoltre la stessa norma di legge esclude a priori tale effetto per le collaborazioni dei professionisti intellettuali iscritti agli albi.

Ne deriva che l'imposizione di un rapporto di dipendenza, quale ulteriore requisito per l'accreditamento, incide “in via imperativa, ma con atto amministrativo, sulla stessa qualificazione del tipo contrattuale” – senza tenere conto della disciplina delle esenzioni di cui all'art. 2, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 81 del 2015, “né del fatto che gli eventuali rapporti di collaborazione che a tale previsione dovessero sfuggire (tra questi sicuramente gli OSS, cioè gli operatori sociosanitari), anche ove connotati in termini di collaborazione, non comporterebbero il mutamento del titolo contrattuale, ma unicamente l'applicazione pro tempore della disciplina del rapporto di lavoro subordinato” – invadendo il campo riservato al potere legislativo e giurisdizionale.

L'orientamento espresso nella sentenza in commento – dopo un primo pronunciamento di segno opposto in fase cautelare, supra richiamato – risulta confermato in successive pronunce rese nell'ambito del medesimo contenzioso, sia con riferimento alle strutture socio-sanitarie residenziali, sia a quelle eroganti servizi domiciliari.

Osservazioni

La sentenza in commento si segnala per costituire uno dei primi pronunciamenti giurisprudenziali sulla disciplina delle collaborazioni eterorganizzate introdotta dal d.lgs. n. 81 del 2015 e, più in generale, sulla ridefinizione dei rapporti tra subordinazione, autonomia e coordinamento.

E' opinione condivisa che l'abrogazione del lavoro a progetto non ha determinato un superamento delle collaborazioni le quali, anzi, acquisiscono una nuova centralità, sia con la definizione della species eterorganizzata (art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015), sia con l'intervento additivo sulla nozione di coordinamento di cui all'art. 409, c.p.c.

Già sotto tale profilo, la Regione Lazio, imponendo l'instaurazione di rapporti di lavoro subordinato, non pare aver correttamente valutato la possibilità – come evidenziato nella sentenza in commento – che le prestazioni degli operatori sanitari potessero essere rese, soddisfacendo comunque gli standars di qualità richiesti, anche nelle forme della c.d. parasubordinazione, che ora prevede la definizione consensuale delle modalità di coordinamento.

Ben più controversa è, invece, la natura subordinata o autonoma delle prestazioni esclusivamente personali, continuative ed organizzate dal committente (c.d. collaborazioni eterorganizzate). Secondo una parte della dottrina, infatti, tali forme di collaborazione sarebbero riconducibili nell'alveo della subordinazione già in base all'art. 2094 c.c. in quanto l'eterorganizzazione non sarebbe altro che il nuovo modo di essere della subordinazione nell'attuale contesto socio-economico, recependo sul piano normativo alcuni indici sussidiari di qualificazione del rapporto di lavoro subordinato già elaborati dalla giurisprudenza e posti alla base della c.d. “subordinazione attenuata”.

Tale interpretazione – che pare aver guidato anche la Regione nella lettura dell'art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015, ritenendo che le prestazioni degli operatori sanitari, in quanto eterorganizzate non potessero che essere subordinate – non viene però accolta dalla sentenza in commento, la quale appare invece orientata, in linea con altra parte della dottrina, a mantenere ferma la qualificazione giuridica delle prestazioni esclusivamente personali, continuative e organizzate dal committente nell'alveo delle collaborazioni, senza che dall'applicazione ad esse della disciplina del lavoro subordinato si possa dedurre una (ri)qualificazione del rapporto in termini di subordinazione.

Va peraltro rilevato che alla lettura dell'art. 2, d.lgs. n. 81 del 2015 offerta dal TAR Lazio si contrappone nella giurisprudenza civilistica la recente presa di posizione del Tribunale di Torino con sentenza n. 778 del 7 maggio 2018 sul “caso Foodora”, il quale ritiene che la norma introdotta dal jobs act non solo faccia riferimento a fattispecie di lavoro subordinato – ritenendo fallito il tentativo del legislatore di “ampliare l'ambito della subordinazione, includendovi delle fattispecie fino ad allora rientranti nel generico campo della collaborazione continuativa” – ma, anzi, abbia “addirittura un ambito di applicazione più ristretto di quello dell'art. 2094 c.c.”.

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