D.lgs. 231/2001. La dichiarazione di non punibilità ex art. 131-bis per la persona fisica autore del reato salva anche l’ente?
15 Maggio 2019
Massima
Va escluso ogni automatismo tra l'eventuale riconoscimento della particolare tenuità del fatto nei confronti dell'autore del reato e l'accertamento della responsabilità dell'ente; in particolare, alla luce dei criteri individuati dal legislatore per l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. con riferimento allo specifico sistema delineato dal d.lgs. 231/2001 per la responsabilità dell'ente, deve escludersi la possibilità di applicare a quest'ultimo la predetta causa di non punibilità. Il caso
La Corte d'appello riformava parzialmente la decisione del giudice di primo grado che aveva affermato la responsabilità penale di Tizio e di Alfa S.p.a., assolvendo il primo dal reato di cui al capo b) dell'imputazione a norma dell'art. 131-bis c.p., ritenuto il fatto di particolare tenuità e confermando, nel resto, la sentenza impugnata. L'imputazione concerneva, al capo a), la violazione dell'art. 137, comma 5, primo periodo, deld.lgs. n. 152 del 2006 perché Tizio, in qualità di procuratore delegato ambientale della società Alfa S.p.a, nell'effettuazione di uno scarico di acque reflue industriali in pubblica fognatura, generata dall'attività di concia, tintura e finitura di pelli, superava il valore limite fissato nella Tabella 3 dell'Allegato 5 alla Parte Terza del predetto decreto in relazione alla sostanza “cromo totale”, compresa tra quelle di cui alla Tabella 5 dell'Allegato 5 alla Parte Terza dello stesso decreto, concentrazione accertata 29,2 mg/l, come da campionamento di cui agli atti (Fatto commesso in (OMISSIS). Reato dichiarato estinto per prescrizione nel giudizio di primo grado). Il capo b), sempre riferito a Tizio, riguardava la violazione di cui all'art. 137, comma 2 in relazione al comma 1 del d.lgs. n. 152 del 2006, perché costui, nelle medesime qualità, effettuava uno scarico di acque reflue industriali in pubblica fognatura, contenenti sostanze pericolose comprese tra quelle di cui alla Tabella 5 dell'Allegato 5 alla Parte Terza del predetto decreto, generate dall'attività di concia, tintura e finitura pelli esercitata nel suddetto impianto, in assenza della prescritta l'autorizzazione (fatto commesso in (OMISSIS), in permanenza fino al (OMISSIS), data di rilascio del titolo). Alla società Alfa S.p.a, erano invece ascritti, ai capi c) e d) della rubrica, gli illeciti di cui all'art. 25-undecies, comma 2, lett. a), punto 1 e art. 25-undecies, comma 2, lett. a), punto 2, del d.lgs. 231 del 2001, per la responsabilità, in via amministrativa, di fatti commessi da Tizio nell'interesse o, comunque, a vantaggio della società ed in assenza delle cause di esclusione della responsabilità di cui all'art. 5, comma 2, deld.lgs. 231 del 2001. Avverso tale pronuncia, Tizio e la Alfa S.p.a. proponevano ricorso per cassazione, deducendo - per ciò che più rileva in questa sede - il vizio di motivazione in relazione alla mancata applicazione all'ente della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. La questione
La questione di diritto che si pone è quella relativa all'applicabilità o meno della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto all'ente, una volta dichiarato non punibile ex art. 131-bis c.p. l'autore di un illecito per un reato commesso nell'interesse o a vantaggio dell'ente stesso. Le soluzioni giuridiche
Preliminarmente, la Corte di Cassazione osserva che il predetto motivo di ricorso prende spunto dalla soluzione della sentenza n. 9072 del 17 novembre 2017 della Sez. III (depositata successivamente al deposito dell'atto d'appello) i cui contenuti vengono ricordati, giungendo, tuttavia, all'errata conclusione, frutto della personale lettura della decisione richiamata, secondo la quale con essa si sarebbe implicitamente riconosciuta al giudice del merito la possibilità di ritenere il fatto addebitato all'ente di particolare tenuità escludendone la punibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p. La citata pronuncia ha affermato il seguente principio di diritto: «in tema di responsabilità degli enti ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, qualora nei confronti dell'autore del reato presupposto sia stata applicata la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art.131-bis c.p., il giudice deve procedere all'autonomo accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso, che non può prescindere dalla verifica della sussistenza in concreto del fatto di reato, non essendo questa desumibile in via automatica dall'accertamento contenuto nella sentenza di proscioglimento emessa nei confronti della persona fisica»; nelle motivazioni, dopo aver dato conto del fatto che, a seguito dell'introduzione dell'art. 131-bis c.p., nessuna modifica è stata apportata all'art. 8 del d.lgs. 231/2001, venivano prospettate due diverse soluzioni interpretative, tra loro alternative. La prima, fondata sul tenore letterale del citato art. 8, propende per l'esclusione della responsabilità dell'ente, poiché tale disposizione non considera espressamente le cause di non punibilità (quale quella prevista dall'art. 131-bis c.p.) tra le ipotesi che la lascerebbero sussistere; la seconda, invece, ritiene non ragionevole il fatto che l'ente non sia esente da responsabilità nelle ipotesi, indicate dall'art. 8, lett. b), di estinzione del reato per cause diverse dall'amnistia e non anche quando il reato sia accertato ma non punibile, come nei casi stabiliti dall'art. 131-bis c.p., la cui applicazione comporta conseguenze anche pregiudizievoli quali l'iscrizione della sentenza nel casellario giudiziale e l'effetto di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso nel giudizio civile o amministrativo di danno ai sensi dell'art. 651-bis c.p.p. Chiarito ciò, i giudici di legittimità rilevano che la richiamata decisione, che ha optato per la seconda tra le soluzioni illustrate, «non ha affatto implicitamente riconosciuto, come si sostiene in ricorso, l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p., che ha invece escluso per le ragioni indicate in motivazione». A parere della Corte, «deve dunque essere ribadita l'esclusione di ogni automatismo tra l'eventuale riconoscimento della particolare tenuità del fatto nei confronti dell'autore del reato e l'accertamento della responsabilità dell'ente, la cui autonomia è stabilita dal già citato art. 8 d.lgs. 231/2001 nel quale, come è noto, si afferma che la responsabilità dell'ente sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile, nonché quando il reato si estingue per una causa diversa dall'amnistia». Viene poi ricordato come, in relazione all'ambito di operatività dell'art. 8, la giurisprudenza di legittimità si sia già pronunciata, affermando che all'assoluzione della persona fisica imputata del reato presupposto per una causa diversa dalla rilevata insussistenza di quest'ultimo, non consegue automaticamente l'esclusione della responsabilità dell'ente per la sua commissione, poiché tale responsabilità, ai sensi del richiamato articolo, deve essere affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato (cfr. Cass. pen., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 20060; Cass. pen., Sez. I, 2 luglio 2015, n. 35818), ovvero in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 21192; Cass. pen., Sez. IV, 18 aprile 2018, n. 22468), riconoscendo, quindi, la necessità di un accertamento autonomo della responsabilità dell'ente. Prosegue la Corte: «le ragioni della autonomia della responsabilità dell'ente rispetto alle vicende che riguardano il reato (la cui commissione la legge comunque presuppone) ed il suo autore persona fisica possono individuarsi, in linea generale, nel fatto che il reato è stato commesso nell'interesse dell'ente o da esso l'ente ha comunque tratto un vantaggio e che, come emerge anche dalla relazione ministeriale al d.lgs. n. 231 del 2001, il sistema così impostato consente di contenere gli effetti negativi di eventuali accorgimenti adottati da soggetti aventi struttura organizzativa interna complessa tali da rendere difficoltosa, se non impossibile, l'individuazione dell'autore del reato. La disposizione in esame, inoltre, evidenzia dal suo contenuto come si sia considerata l'esistenza di un reato completo di tutti i suoi elementi (oggettivi e soggettivi) per il quale l'autore persona fisica non risulti punibile (perchè non imputabile o non identificato) ovvero che per varie ragioni si estingua (per una causa diversa dall'amnistia)». Dalla relazione ministeriale, emerge del resto che «la riconosciuta autonomia tiene conto anche della possibilità di adozione di diverse strategie processuali da parte dell'ente e dell'autore del reato presupposto e che non sembra inoltre di ostacolo alla interpretazione prospettata nella sentenza 9072/2018 la circostanza che l'art. 8 in esame prenda in considerazione solo le cause di estinzione del reato e non anche le cause di esclusione della punibilità»; difatti, non è un caso che in quel testo venga espressamente specificato quanto segue: «è appena il caso di accennare al fatto che le cause di estinzione della pena (emblematici i casi grazia o di indulto), al pari delle eventuali cause non punibilità e, in generale, alle vicende che ineriscono a quest'ultima, non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all'ente, non escludendo la sussistenza di un reato. Se la responsabilità dell'ente presuppone comunque che un reato sia stato commesso, viceversa, non si è ritenuto utile specificare che la responsabilità dell'ente lascia permanere quella della persona fisica. Si tratta infatti di due illeciti, quello penale della persona fisica e quello amministrativo della persona giuridica, concettualmente distinti, talché una norma che ribadisse questo dato avrebbe avuto il sapore di un'affermazione di mero principio». La sentenza in commento si spinge oltre quanto affermato dalla precedente pronuncia n. 9072, nella misura in cui i giudici di legittimità in questa occasione affermano che: «in ogni caso, se pure si dovesse propendere per una interpretazione letterale dell'art. 8, escludendo anche ogni rilievo dei contenuti della relazione ministeriale, viene da chiedersi come, in concreto, possa ritenersi applicabile l'art. 131-bis c.p. alle ipotesi di responsabilità degli enti di cui al d.lgs. n. 231/2001 ferma restando l'esclusione di ogni automatismo di cui si è già detto». Un primo problema - precisa la Corte - lo pone la concreta natura della responsabilità degli enti disciplinata dal d.lgs. n. 231 del 2001, come è noto, oggetto di ampio dibattito in dottrina e in giurisprudenza, del quale sono state investite anche le Sezioni Unite che hanno considerato il sistema “un corpus normativo di peculiare impronta, un tertium genus, se si vuole” valorizzando i contenuti della relazione ministeriale che come tale lo qualifica (cfr. Cass. Pen., Sez. Un., 24 aprile 2014, n. 38343). Si osserva, infatti, nella relazione, che la responsabilità, prudentemente definita “amministrativa” dal legislatore delegante, in quanto «conseguente da reato e legata (per espressa volontà della legge delega) alle garanzie del processo penale, diverge in non pochi punti dal paradigma di illecito amministrativo ormai classicamente desunto dalla L. n. 689 del 1981. Con la conseguenza di dar luogo alla nascita di un tertium genus che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell'efficacia preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia». È chiara, quindi, la peculiarità del sistema in questione, il quale «rispetto alle diverse discipline dell'illecito penale e di quello amministrativo si pone in un rapporto di limitata permeabilità, dipendente dalle sue specifiche caratteristiche»; peculiarità che, peraltro, si riflette anche sulle modalità di accertamento della responsabilità dell'ente. Ciò posto, la Corte, nella sentenza in rassegna, osserva come «la dedotta applicabilità dell'art. 131-bisc.p. al caso di specie, oltre che errata, tragga spunto dalla diffusa tendenza a non considerare l'effettivo ambito di operatività della disposizione codicistica che il legislatore ha puntualmente delineato, attraverso una lettura della norma che, privilegiando le finalità deflattive perseguite dal legislatore, ne determina l'applicazione anche al di fuori dei casi consentiti dai precisi limiti imposti». In particolare, viene rilevato come la rispondenza ai limiti di pena indicati dall'art. 131-bis c.p. costituisce solo la prima delle condizioni per l'esclusione della punibilità, essendo infatti richiesti (congiuntamente e non alternativamente, come si ricava dal tenore letterale della disposizione), gli “indici criteri” della particolare tenuità dell'offesa e della non abitualità del comportamento, il primo dei quali si articola, a sua volta, nei due “indici-requisiti” della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, apprezzabili dal giudice ai sensi dell'art. 133 c.p. Si tratta, dunque, di una verifica che attiene alla concreta manifestazione del reato anche attraverso la considerazione di aspetti precipuamente soggettivi, quali il comportamento non abituale e le modalità della condotta, con un richiamo espresso ai criteri generali indicati dall'art. 133, comma 1, c.p., che si riferisce, tra l'altro, alle modalità dell'azione ed alla intensità del dolo ed al grado della colpa. In conclusione, secondo la Corte, «considerando quindi i criteri così individuati per l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. con riferimento allo specifico sistema delineato dal d.lgs. n. 231/2001 per la responsabilità degli enti, deve escludersi la possibilità di applicare la causa di non punibilità»; pertanto, «la eventuale declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto nei confronti dell'autore del reato presupposto non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell'ente, né ad esso può applicarsi la predetta causa di non punibilità». Alla luce delle precedenti osservazioni, il Supremo Consesso dichiara quindi la manifesta infondatezza dell'analizzato motivo di ricorso. Osservazioni
Dal punto di vista sistematico, la soluzione offerta dalla Corte di Cassazione appare corretta e condivisibile, e si pone in linea con l'opinione maggioritaria e la giurisprudenza di legittimità. Considerato che nell'ambito del d.lgs. 231/2001 non poteva certamente farsi riferimento all'art. 131-bis c.p., introdotto nell'ordinamento nel 2015, il percorso argomentativo seguito nella sentenza in commento risulta convincente e coerente con l'attuale sistema. Difatti, se il legislatore ha stabilito che le cause di estinzione del reato, vale a dire quelle che fanno venir meno il reato, lasciano sussistere la responsabilità dell'ente, se ne deduce, a fortiori, che quest'ultima permanga in presenza di una causa di non punibilità che lascia integro il reato nella sua esistenza sia storica che giuridica. Ne è prova il fatto che la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto è iscritta nel casellario giudiziale e, secondo quanto prescritto dall'art. 651-bis c.p.p., produce effetti di giudicato nel giudizio civile e amministrativo quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato l'ha commesso. Guida all'approfondimento
AMATO, Con la non punibilità il reato resta intatto, in Guida al dir., 2018, 18, 21 aprile 2018; CORSO, Reato presupposto non punibile per particolare tenuità: l'ente è responsabile?, in Quotidiano Ipsoa, 7 aprile 2018; MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2017, p. 816 ss.; MILANI, Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto e responsabilità amministrativa dell'ente: ulteriori riflessioni sulla (in)applicabilità dell'art. 131 bis c.p. nei procedimenti a carico delle persone giuridiche, in Riv. 231, 2016, 4; PIRGU, Per la Cassazione la particolare tenuità del fatto di reato (presupposto) non esclude la responsabilità dell'ente ex d.lgs. 231/2001, in Dir. pen. cont., 5 aprile 2018; |