L’impiego di denaro proveniente da delitto nel settore del gioco e scommesse è “attività speculativa” ex art. 648-ter.1?

Antonella Cafagna
29 Aprile 2019

La questione affrontata dalla S.C. ha per oggetto la corretta esegesi della locuzione attività speculative, utilizzata dal legislatore per circoscrivere l'incriminazione di cui all'art. 648ter.1 c.p., sotto il profilo dell'astratta riconducibilità ad essa della destinazione in giochi o scommesse del denaro proveniente dalla commissione di altro delitto.
Massima

L'impiego di denaro derivante da delitto nel settore del gioco d'azzardo o delle scommesse, se idoneo a realizzare il camuffamento della provenienza della provvista mediante reimmissione nel circuito dell'economia legale, è riconducibile al novero delle attività speculative di cui all'art. 648-ter.1 c.p., sicché la clausola di esclusione di cui al quarto comma della predetta disposizione non potrà dirsi operante se non nelle residuali forme di gioco o scommessa che, per caratteristiche intrinseche, non siano dotate di capacità dissimulatoria rispetto all'origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto.

Il caso

La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dal Pubblico Ministero contro la decisione emessa dal Tribunale di Milano, adito con richiesta di riesame, con la quale veniva disposto l'annullamento dell'ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari che disponeva l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di soggetto gravemente indiziato dei delitti di cui agli artt. 640, comma 1, 61 n. 7 e 11 c.p. e 648-ter.1 c.p. L'indagato, dopo aver realizzato una truffa in danno di alcuni investitori con la prospettiva della realizzazione di inesistenti campi eolici all'estero, aveva destinato una parte significativa del profitto conseguito nel settore dei giochi e delle scommesse (quali slot machine, videogiochi on line tipo casinò e poker, scommesse sportive on line), così ostacolando l'identificazione della provenienza delittuosa di tali somme. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, mostrando di non condividere l'assunto del Tribunale milanese, secondo cui le attività di gioco, in quanto connotate da alea, esulerebbero dal concetto di speculazione per collocarsi, invece, nell'area di non punibilità, delimitata dal comma 4 della norma incriminatrice, che caratterizza l'uso o godimento solo personale di beni economici.

La questione

La questione affrontata dalla S.C. ha per oggetto la corretta esegesi della locuzione attività speculative, utilizzata dal legislatore per circoscrivere l'incriminazione di cui all'art. 648-ter.1 c.p., sotto il profilo dell'astratta riconducibilità a essa della destinazione in giochi o scommesse del denaro proveniente dalla commissione di altro delitto.

Le soluzioni giuridiche

L'individuazione della portata applicativa della predetta locuzione è certamente controversa ed è stata, di recente, oggetto di pronunce di segno contrario.

È dibattuto, in particolare, se l'utilizzazione della provvista accumulata mediante il compimento di attività delittuose in giochi o scommesse (in cui ricorra o meno il fine di lucro e la vincita sia interamente o quasi aleatoria) possa considerarsi priva di rilevanza penale a mente del comma 4 dell'art. 648-ter.1 c.p., secondo il quale «[…] Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale» oppure costituire condotta dissimulatoria della sua provenienza illecita, inclusa tra quelle vietate dal comma 1.

Sotto il profilo logico, rileva certamente evidenziare che, con una recente pronuncia (Cass. pen., Sez. II, 7 giugno 2018, n. 30399), la Corte di Cassazione si è soffermata, per la prima volta dall'entrata in vigore della norma, sul significato del quarto comma dell'art. 648-ter.1 c.p., confrontandosi con gli orientamenti emersi sino ad allora in dottrina e aderendo a quello, più restrittivo ma coerente con il dato testuale e la ratio legis, secondo cui non sarebbe consentito all'autore del reato presupposto di realizzare una condotta tipica di autoriciclaggio, rendendo non tracciabili i proventi del reato, e, al contempo, usufruire della clausola di non punibilità, godendo lui stesso dei frutti; in altri termini, muovendo dal senso letterale delle parole, per cui l'espressione fuori dei casi non può che alludere ad ipotesi diverse da quelle dei commi precedenti, la non punibilità sarebbe limitata ai casi in cui l'agente si limiti al mero utilizzo o godimento del provento del reato, senza che venga posta in essere alcuna attività decettiva al fine di ostacolarne l'identificazione; del resto, appare senz'altro in linea con l'obiettivo del legislatore (di sterilizzare il profitto conseguito con il reato presupposto e, quindi, di impedire all'agente sia di reinvestirlo nell'economia legale, sia di inquinare il libero mercato compromettendo l'ordine economico con l'utilizzo di risorse provenienti da reati) impedire a chi compia operazioni di mascheramento della provenienza illecita dei beni di invocare a proprio vantaggio la circostanza del mero utilizzo personale degli stessi.

La descritta lettura della fattispecie prevista dal quarto comma conduce necessariamente fuori dal perimetro della tipicità esclusivamente le condotte di reimpiego diretto nel patrimonio dell'agente, non tendenti a far perdere le tracce del delitto presupposto: il quarto comma non riguarda, cioè, le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento dei proventi illeciti in una delle quattro ampie categorie di attività descritte dal primo comma, ma la diversa ipotesi in cui l'agente utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza compiere su di essi alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l'identificazione della loro origine illecita.

Una volta colta la differenza tra le richiamate previsioni normative, è questione interpretativa quella di stabilire se le attività di gioco si possano ricomprendere nel novero di quelle speculative selezionate dal comma primo, potendo integrare autoriciclaggio tutte le volte che l'impiego di denaro di provenienza delittuosa in tali attività sia idoneo – anche fuori dal caso di vincita (eventualmente solo) parziale – ad impedirne concretamente la tracciabilità.

A orientare l'ermeneusi del sintagma in esame devono essere i criteri dettati dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, che, com'è noto, privilegia l'interpretazione letterale, seppur mitigandone la portata attraverso l'aggiunta del riferimento “all'intenzione del legislatore”, di modo che il contenuto di una previsione normativa possa essere stabilito, anche superando il significato che si evince immediatamente dalle parole, avuto riguardo allo scopo che il legislatore ha inteso con essa realizzare.

A fronte della natura polisensa dell'espressione attività speculativa, che è alla base della ricerca del suo effettivo significato letterale, l'individuazione del disvalore dell'autoriciclaggio nell'inquinamento del mercato e dell'economia “sana” consente, secondo le indicazioni della S.C., di pervenire alla conclusione secondo cui l'autore del reato presupposto, che immetta il profitto di tale reato (o parte di esso) nel circuito economico attraverso il gioco d'azzardo o le scommesse, risponde del delitto di cui all'art. 648-ter.1 c.p., indipendentemente dal fatto che consegua o meno una vincita e laddove tale attività risulti concretamente funzionale ad ostacolarne l'identificazione della provenienza delittuosa.

La nozione di attività speculative pone certamente problemi di corretto inquadramento per la latitudine di significativi evocati dall'aggettivo, dai quali è perciò opportuno prendere le mosse: tanto nel linguaggio comune, quanto nel gergo economico, il termine speculazione individua una categoria ampia, nella quale ricondurre qualunque operazione di investimento fondata sulla previsione di eventi futuri e, perciò, implicante rischio, connotata da un'aspettativa di guadagno. In modo non dissimile, la speculazione in ambito finanziario e borsistico si caratterizza per l'assunzione di decisioni strategiche sulla base di aspettative sull'andamento futuro di una o più variabili aleatorie; in molti contesti, infine, il termine è adoperato quale sinonimo di gioco d'azzardo (definibile come “lo scommettere su un esito incerto”), anche se, in quest'ultimo caso, il giocatore accetta la scommessa senza confrontare il rischio e il rendimento atteso (come nella speculazione) e perciò anche se l'aspettativa di guadagno non è tale da compensare il rischio medesimo.

Una disamina dei possibili significati riconducibili all'espressione è alla base della conclusione della S.C. secondo cui attività classificabili come gioco d'azzardo o come scommessa (sia di tipo sportivo, che relativa ad eventi incerti, comunque oggetto di quotazione presso gli allibratori) possano essere incluse nel novero delle potenziali attività speculative nelle quali l'impiego, la sostituzione o il trasferimento di proventi illeciti è penalmente sanzionato dall'art. 648-ter.1, comma 1, c.p.; alla base del ragionamento del collegio v'è l'idea per cui l'alea, che è propria del gioco d'azzardo e delle scommesse, non è concetto assolutamente inconciliabile con quello di rischio calcolabile, tipico, invece, della speculazione in senso stretto, com'è dimostrato dall'esistenza di modalità di gioco “capaci” di controllare parzialmente il rischio di perdita del capitale (si pensi alle moderne evoluzioni in tema di calcolo delle probabilità o altri sistemi matematici, quali gli algoritmi) o addirittura di azzerarlo (si pensi alle puntate multiple o su tutti i risultati possibili).

Se questo è il risultato cui conduce un'esegesi fondata sul richiamato criterio interpretativo letterale (che, come si è visto, disancora l'indicazione fornita dal legislatore da qualunque delle molteplici accezioni della locuzione, per attribuirle il significato di “genere” di attività, purché governata dalla prospettiva di un incremento patrimoniale legato ad un evento futuro incerto), è univocamente convergente quello raggiungibile sulla scorta del criterio ermeneutico teleologico e attraverso il ricorso all'interpretazione estensiva, per tale dovendosi intendere quella che, senza violare il divieto di applicazione analogica, riconduce alla previsione normativa ipotesi non completamente delineate e, tuttavia, configurabili in base alla lettera della legge, che altrimenti sarebbero ingiustificatamente sottratte alla sua disciplina.

In primo luogo, se a fondamento della scelta legislativa di superare il c.d. privilegio dell'autoriciclatore, attuata con legge 15 dicembre 2014 n. 186 (art. 3, comma 3), si colloca l'obiettivo di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva (cioè la reimmissione nel circuito dell'economia sana) in quanto idonea ad esporre a pericolo o a ledere l'ordine economico, alterando la concorrenza e il corretto funzionamento del mercato con danno per chi non possa contare su disponibilità illecite, non si può logicamente negare che l'impiego di denaro nel gioco d'azzardo o nelle scommesse consenta di raggiungere proprio quel risultato che la norma incriminatrice intende sanzionare; ai fini di interesse, non è rilevante che l'investimento in gioco o scommesse generi una vincita (assicurando la “ripulitura” del denaro, al quale è così conferita la “nuova veste” di una legittima provenienza) o determini la perdita – in ipotesi anche totale – del capitale investito, atteso che il primo comma dell'art. 648-ter.1 c.p. incrimina, oltre alla condotta di chi “sostituisce” i proventi illeciti, anche quella di chi semplicemente li “impiega” in attività funzionali ad ostacolarne l'identificazione della provenienza delittuosa.

In secondo luogo, una diversa interpretazione, oltre che affetta da illogicità (non perseguendo un canale di riciclaggio diffusamente riconosciuto, quale quello del gioco d'azzardo), risulterebbe sostanzialmente abrogativa della dizione “attività speculativa” che – se, come sostenuto dal tribunale milanese in sede di riesame, riduttivamente agganciata alle sole operazioni commerciali caratterizzate da rischiosità elevata ma gestibile in modo razionale – finirebbe per contemplare forme di impiego del denaro già riconducibili ai concetti, indubbiamente assai ampi, di attività “economica” o “finanziaria”. Soluzione, quella delineata, certamente in contrasto con i canoni dell'interpretazione estensiva, che, accertando il contenuto effettivo della norma attraverso i mezzi consentiti dalla logica e dalla tecnica giuridica, imporrebbe di includere il gioco d'azzardo e le scommesse nel concetto di “attività speculativa” anche in difetto di un'indicazione di tipo nominalistico con portata definitoria.

Nell'accogliere questa interpretazione, la S.C. si è posta in consapevole contrasto con un recentissimo precedente della stessa Sezione (Cass. Pen. sez. II 13.12.2018 dep. 6.3.2019 n. 9751), che, assumendo diverso orientamento, escludeva la riconducibilità delle attività di gioco (nel caso concreto, quello del lotto) alla categoria delle attività speculative rilevanti per l'integrazione delle condotte di autoriciclaggio, restringendo queste ultime a quelle attività basate sulla gestione in modo economico e razionale del rischio, certamente esulante rispetto all'iniziativa del soggetto che si rechi in ricevitoria e punti una somma confidando nella vincita e, quindi, in definitiva, affidandosi alla sorte in modo avulso da qualunque analisi del rapporto tra costi e profitto ottenibile.

Nel discostarsi dal precedente indirizzo, la S.C. ha valorizzato, come si è visto, l'ampiezza della dizione attività speculative (della quale il legislatore non offre una rigida definizione), la comunanza dell'alea al gioco d'azzardo come ad alcune attività finanziarie altamente speculative o caratterizzate da rischiosità elevata, l'esistenza di meccanismi capaci di governare l'alea di molti giochi e di molti tipi di scommesse, ciò che renderebbe del tutto discutibile la dicotomia tra attività implicanti rischio calcolato/calcolabile (perciò speculative) e quelle caratterizzate da pura alea (che, in base a tale diversa interpretazione, andrebbero, invece, escluse da tale novero).

Così opinando, si è riconosciuta l'astratta natura speculativa dell'impiego di denaro proveniente da delitto nel settore considerato, ascrivendo conseguente rilevanza penale a tale condotta laddove ricorra anche l'idoneità di siffatta destinazione rispetto al camuffamento dell'origine della provvista; è esente da sanzione penale, invece, qualunque residuale forma di gioco o scommessa che non presenti, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, i caratteri costitutivi propri della fattispecie prevista dal primo comma.

Osservazioni

Il contrasto interpretativo riguardante l'ampiezza della locuzione in esame non poteva risultare più netto; all'interrogativo che concerne la riconduzione dell'impiego di denaro nel settore del gioco e delle scommesse sono state date, a distanza di breve tempo, risposte differenti, tanto da far auspicare un futuro approdo della questione alle Sezioni Unite, in funzione regolatoria.

E' certo, invero, che l'investimento di denaro in gioco, anche per l'esistenza di sofisticati meccanismi di controllo dell'alea (si pensi alle giocate multiple o contemporaneamente su ogni possibile risultato, alle puntate guidate da elaborazioni statistiche o da algoritmi sul calcolo delle probabilità), ben può condurre alla sostituzione di capitali monetari, offrendo una giustificazione contabile di somme ormai ripulite e non (più) riconducibili al delitto presupposto; tuttavia, secondo il ragionamento della S.C., l'impiego speculativo del denaro potrebbe portare alla perdita (anche totale) del capitale investito senza che il mancato conseguimento di un qualche risultato economico rispetto alla provvista impiegata possa di per sé escludere la configurabilità del reato, quantomeno nella forma del tentativo.

Coerentemente si afferma perciò che la partecipazione al gioco d'azzardo o al sistema delle scommesse, sia che produca vincite, sia in caso contrario, costituisca certamente un impiego idoneo ad ostacolare concretamente l'individuazione della provenienza delittuosa dei capitali impiegati.

L'interpretazione accolta dalla S.C. con la pronuncia in commento appare senz'altro quella più coerente sia rispetto alla struttura della norma, sia rispetto alla finalità dell'incriminazione, ravvisabile, come si è detto, nell'esigenza di evitare il reimpiego dei proventi di reato nell'economia legale, a fronte della decettività delle relative condotte e perciò quando le stesse si rivelino concretamente ostacolative dell'accertamento dell'origine illecita del denaro o degli altri beni economici oggetto del profitto.

Tuttavia, è plausibile che, nel futuro, la prassi applicativa potrà rivelare delle zone grigie: nel delineare, infatti, il rapporto con la clausola di cui al quarto comma, la S.C. ammette l'esistenza di residuali forme di gioco o scommessa che, in quanto prive di capacità dissimulatoria della provenienza illecita del denaro, possono beneficiare della non punibilità prevista da tale disposizione; non è, tuttavia, sufficientemente chiarito, nella motivazione della sentenza, quando la spendita in gioco del profitto derivante dalla commissione di un reato sia concretamente inoffensivo per il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice e perciò debba restare non punibile, potendosi considerare una forma di godimento personale del profitto medesimo.

A quali forme di gioco o scommessa si fa concretamente riferimento? Quando la spendita di denaro in gioco non espone a pericolo l'ordine economico se il capitale investito è di provenienza illecita? In quali ipotesi l'investimento in gioco è privo di capacità dissimulatoria se, comunque, disperdendo le tracce del reato, ostacola l'accertamento della provenienza della provvista?

La S.C. non fornisce elementi se non in astratto per l'individuazione delle ipotesi non punibili e, ferma l'astratta natura speculativa dell'impiego di denaro nel settore del gioco d'azzardo o delle scommesse, lascia all'interprete di valutare, nel caso concreto, se ricorrano gli elementi costitutivi, sotto il profilo oggettivo oltre che soggettivo, della fattispecie incriminatrice.

Osservazioni de iure condendo. Il secondo problema è correlato al disegno di legge delega approvato dalla Camera dei Deputati il 3 giugno 2015 e ora all'esame del Senato della Repubblica (A. S. n. 1949), avente ad oggetto - tra l'altro - sia l'attuazione della Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea del 29 maggio 2000 sia il recepimento della direttiva 2014/41/UE del Parlamento e del Consiglio dell'Unione europea del 3 aprile 2014, relativa all'ordine europeo di indagine penale.

La convenzione del 2000 prevede, al titolo III, la “ Intercettazione delle telecomunicazioni”, menzionata – seppure in termini in parte differenti- al capo III della direttiva 2014/41/UE.

Il problema è che sia la convenzione che la direttiva parrebbero porre una serie di obblighi di informazione e di coinvolgimento degli altri stati che – a vario titolo- possono essere coinvolti dall'attività di intercettazione ( non solo in funzione della assistenza tecnica, ma anche della presenza di uno dei soggetti intercettati nello stato) tali da rendere problematica se non del tutto improponibile la procedura di instradamento sopra menzionata. Sul punto, occorrerà quindi verificare come- in sede di attuazione della convenzione come di recepimento della direttiva - il legislatore saprà coniugare una rigorosa osservanza dei principi che improntano tali provvedimenti sia con le esigenze di rapidità ed efficacia dello svolgimento delle intercettazioni che con un'esaustiva e credibile tutela delle esigenza della difesa.

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