Modalità per l'acquisizione dei verbali di precedenti dichiarazioni rese da persona minacciata che non si sottrae all'esame
08 Aprile 2019
Massima
Nel caso in cui il testimone oggetto di pressioni volte ad inquinare la genuinità delle sue dichiarazioni dibattimentali (nel caso di specie, dallo stesso denunciate) non si sottragga all'esame dibattimentale, è illegittima l'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali dallo stesso rese, senza procedere all'esame. Il caso
L'imputato, condannato in primo e in secondo grado per i reati di rapina e resistenza a pubblico ufficiale ha presentato ricorso alla Suprema Corte di cassazione deducendo, tra i vari motivi di impugnazione, la violazione e la falsa applicazione di legge, e segnatamente dell'art. 500, commi 4 e 5, c.p.p. In particolare, il ricorrente lamenta che siano stati illegittimamente acquisiti al fascicolo per il dibattimento - e di conseguenza utilizzati ai fini della decisione - i verbali di dichiarazioni rese in fase di indagine dalla persona offesa del delitto di rapina, in assenza di elementi concreti a sostegno della minaccia asseritamente subita da quest'ultima ed a fronte della totale carenza di accertamenti volti a verificare la sussistenza di tale coartazione. Il Tribunale, nonostante la presenza in aula della persona offesa, aveva prima disposto un rinvio per l'audizione di quest'ultima con l'assistenza di un interprete e successivamente revocato la propria ordinanza - disponendo l'acquisizione dei predetti verbali - sulla base del fatto che anche gli operanti presenti in sala testimoni avevano sentito la medesima persona offesa riferire di essere stata minacciata. Il ricorrente ha eccepito, dunque, l'illegittimità dell'acquisizione delle dichiarazioni, non essendosi proceduto all'esame della persona offesa presunta destinataria delle minacce, nonostante quest'ultima non si fosse sottratta all'esame dibattimentale. Detto esame, nel caso di specie, sarebbe stato a maggior ragione necessario dato che le dichiarazioni rese dalla persona offesa risultavano incomprensibili, in quanto la stessa era persona incapace di esprimersi in lingua italiana e considerato che le dichiarazioni predibattimentali di quest'ultima erano state tradotte da un proprio connazionale, che non era stato neppure identificato. A giudizio dell'impugnante, a seguito dell'illegittima acquisizione dei verbali, la sentenza sarebbe inficiata dalla mancanza del controesame in primo grado, dalla mancata assunzione di prova decisiva inerente alla richiesta di rinnovazione dibattimentale, avente ad oggetto l'assunzione della testimonianza della persona offesa, e dall'acquisizione della telefonata effettuata da quest'ultima alla centrale operativa il giorno del fatto. La questione
La questione sottoposta allo scrutinio di legittimità è la seguente: se la disciplina di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p. postuli o meno la previa audizione dibattimentale del dichiarante che abbia subito pressioni finalizzate a non deporre o a deporre il falso, qualora il testimone non si sottragga all'esame dibattimentale. Le soluzioni giuridiche
Con la sentenza in chiosa la Suprema Corte, ribadendo la necessità di procedere in dibattimento, con le forme dell'esame incrociato, all'audizione del testimone destinatario di pressioni volte a inquinare la genuinità della prova, ha ritenuto conseguentemente illegittima l'acquisizione delle dichiarazioni rese in fase di indagini dal dichiarante, che non si sia sottratto alla propria escussione nel contraddittorio tra le parti. Muovendo da questo assunto, il Supremo Consesso ha accolto il ricorso dell'imputato, stigmatizzando la decisione assunta dai Giudici di primo e secondo grado che avevano acquisito le dichiarazioni predibattimentali della persona offesa sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale - sposato da Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2010, n. 27582 e ribadito anche da Cass. pen., Sez. III, 14 dicembre 2011, n. 12463 - secondo cui «l'acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese al Pubblico Ministero dal testimone “condizionato”, ai sensi dell'art. 500, comma 4, non richiede né la loro preventiva contestazione, né la presentazione del testimone al dibattimento perché l'espressione “sono acquisite”, impiegata dalla norma citata, indica un automatismo che ne consente l'acquisizione anche in assenza di una richiesta delle parti». A giudizio della Suprema Corte, invero, il Tribunale e la Corte d'appello hanno fondato la propria decisione invocando a sproposito la massima sopra richiamata. E infatti il principio in essa contenuto - del tutto condivisibile e certamente applicabile alla ipotesi in cui la persona offesa o il testimone si siano resi irreperibili e non siano comparsi all'udienza, per effetto e in conseguenza delle pressioni e/o intimidazioni subite e finalizzate ad evitare la deposizione (come avvenuto nelle fattispecie concrete scrutinate dalle sentenze sopra indicate) - non è affatto conferente al caso de quo. Ciò in quanto la persona offesa del delitto di rapina che avrebbe dovuto testimoniare non solo non si era resa irreperibile ma anzi «per nulla irrimediabilmente intimidita, aveva denunciato le pressioni ricevute e si era presentata in dibattimento per rendere il chiesto esame». La persona offesa, dunque, avrebbe dovuto essere escussa con le forme della cross examination, e per questo deve considerarsi indebito il rifiuto di procedere al suo esame, con conseguente illegittimità dell'acquisizione al fascicolo per il dibattimento dei verbali contenenti le dichiarazioni dalla stessa rese nella fase delle indagini preliminari. In ossequio alla littera legis dell'art. 500 c.p.p. - che disciplina la materia delle contestazioni probatorie - sono due i presupposti alternativi che rendono legittima l'acquisizione dei verbali assunti in una fase anteriore al dibattimento. Ai sensi del comma 4 della norma testé richiamata essi sono: o la non accettazione del contraddittorio da parte del teste (affinché non deponga) o l'accettazione da parte di quest'ultimo del contraddittorio, qualora lo stesso, nel corso della propria escussione, renda dichiarazioni difformi rispetto a quelle predibattimentali, solo perché inquinate dall'indebita turbativa esterna (cioè “deponga il falso”). In presenza del primo presupposto il testimone si sottrae, dunque, alla propria escussione nel contraddittorio tra le parti, rendendo impossibile procedere alle contestazioni; qualora ricorra, invece, il secondo presupposto è implicito che per far emergere il contrasto tra i contenuti delle dichiarazioni rese nelle diverse fasi del procedimento debba procedersi con le contestazioni nell'esame testimoniale. Queste ultime rappresentano, infatti, l'unico strumento processuale per «far rilevare la divergenza tra le dichiarazioni rese dal teste in dibattimento e quelle dallo stesso rese in fase di indagini preliminari» (in questi esatti termini Cass. pen., Sez. III, 5 giugno 2009, n. 39319). Detti presupposti - unici che, come detto, legittimano l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento dei verbali di precedenti dichiarazioni - non sussistono affatto nella fattispecie concreta scrutinata dalla Suprema Corte nella sentenza in chiosa. Difetta senz'altro il primo presupposto, considerato che la persona offesa del delitto di rapina si è presentata in aula per rendere testimonianza e, quindi, non si è certamente sottratta all'esame dibattimentale, e non può validamente ritenersi sussistente neppure il secondo presupposto, atteso che non essendosi proceduto all'escussione non è dato sapere se la persona offesa avrebbe o meno deposto il falso. Sulla scorta delle predette argomentazioni la Corte ha, quindi, annullato la sentenza impugnata limitatamente al capo a) - cioè all'imputazione di rapina - con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: «Nel caso in cui il testimone oggetto di pressioni volte ad inquinare la genuinità delle sue dichiarazioni dibattimentali (nel caso di specie, dallo stesso denunciate) non si sottragga all'esame dibattimentale, è illegittima l'acquisizione delle dichiarazioni predibattimentali dallo stesso rese, senza procedere all'esame». Osservazioni
La sentenza in chiosa offre lo spunto per alcune riflessioni in materia di acquisizione e di utilizzabilità della prova nel processo penale. Il dettato codicistico consente di cogliere una duplice tipologia di inutilizzabilità: quella patologica, da una parte, di cui è espressione - per la portata generale che assume - l'art. 191 c.p.p. e quella fisiologica, dall'altra, che costituisce senz'altro il precipitato tecnico più rilevante del principio di separazione delle fasi processuali e dei fascicoli. Nel primo caso l'inutilizzabilità discende dalla violazione di un divieto probatorio; nel secondo, invece, è stabilita dalla legge, in via normativa, per le prove che si rivelano perfettamente conformi al modello legale. L'art. 526, comma 1, c.p.p., nello stabilire che «il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento» rappresenta sicuramente l'espressione maggiore nel nostro codice del principio secondo cui la decisione dell'organo giudicante deve fondarsi su prove formate in dibattimento (o nella sede anticipata ed eventuale dell'incidente probatorio) nel contraddittorio tra le parti, poiché, di regola, non possono essere utilizzati ai fini decisori gli atti di indagine formati unilateralmente ed in assenza di dialettica. La disposizione evoca icasticamente il principio di separazione delle fasi e consacra, dunque, il metodo del contraddittorio nella formazione della prova, contenuto nell'art. 111 Cost., che consente di attribuire dignità di prova al solo dato probatorio formatosi nella dialettica tra le parti, e lo distingue nettamente dall'elemento di prova acquisito in ambito extra-processuale ed in assenza delle garanzie proprie del giudizio. L'art. 526, comma 1-bis, c.p.p. nel prevedere che «la colpevolezza dell'imputato nonpuò essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore» è una sorta di garanzia di chiusura adottata dal legislatore al fine di contrastare l'elusione del contraddittorio in senso soggettivo, con pregiudizio concreto del diritto dell'imputato di confrontarsi con il proprio accusatore. Detta norma introduce, infatti, un limite “etico” alla valutazione, che si staglia ben al di sopra di tutte le altre regole racchiuse nel codice, poiché garantisce l'effettività di quanto già disposto a livello costituzionale dall'art. 111, comma 4, Cost., che introduce un divieto d'uso del materiale probatorio conseguente all'inosservanza delle regole di acquisizione della prova. La predetta inutilizzabilità, però, è soltanto relativa, giacché l'espresso tenore della norma costituzionale de qua consente di ritenere utilizzabili le predette dichiarazioni, qualora le stesse si rivelino favorevoli per l'imputato e possano, pertanto, concorrere a formare la prova della sua innocenza o, per espresso riconoscimento dell'art. 111, comma 5, Cost., qualora vi sia il consenso dell'imputato o si versi in un'ipotesi di impossibilità oggettiva o di minaccia perpetrata sul dichiarante, che escluda la libera scelta di quest'ultimo di sottrarsi all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore. Le deroghe al contraddittorio sopra menzionate non scalfiscono la centralità del medesimo, inteso quale metodo di conoscenza della verità giudiziaria, poiché sono volte a garantire la genuinità dell'accertamento processuale. La regola dell'inutilizzabilità degli atti di indagine ai fini decisori soccombe, inoltre, anche qualora si utilizzi l'istituto delle contestazioni c.d. probatorie in dibattimento. E infatti, in quest'ultima ipotesi, possono essere utilizzate come prova della credibilità del dichiarante le precedenti dichiarazioni che si sono rivelate difformi rispetto a quelle rese dallo stesso soggetto nel corso della cross examination (art. 500, comma 2, c.p.p.). Con precipuo riferimento, invece, all'eventualità che il potenziale testimone possa aver subito pressioni o intimidazioni per non deporre o per deporre il falso, la deroga alla formazione della prova nel contraddittorio “per effetto di provata condotta illecita” - indicata all'art. 111, comma 5, Cost. - soggiace alla regola processuale contenuta nell'art. 500, comma 4, c.p.p. Detta norma, infatti, prevede che le dichiarazioni rese precedentemente al giudizio possano essere acquisite al fascicolo per il dibattimento, e utilizzate come prova del fatto narrato, solo quando vi siano elementi concreti per ritenere che il dichiarante sia stato fatto oggetto di violenza, minaccia o subornazione affinché non deponga ovvero deponga il falso. Come precisato anche da Cass. pen., Sez. II, 14 dicembre 2018, n.7290; Cass. pen.,Sez, II, 17 febbraio 2017 n. 13550; Cass. pen., Sez. I, 19 ottobre 2016 n. 9646 e Cass. pen., Sez. II, 5 maggio 2016, n. 22440, detti elementi devono consistere, secondo parametri correnti di ragionevolezza e di persuasività, in elementi sintomatici della violenza o dell'intimidazione subita dal teste, purché siano connotati da precisione, obiettività e significatività. La sentenza in chiosa è certamente rispettosa del dettato normativo di cui all'art. 500, comma 4, c.p.p., giacché considera necessario accertare le evenienze che possano aver “inquinato” la prova dichiarativa. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, invero, un simile accertamento si compie con «l'apertura di un microprocedimento a forma libera, attivato su sollecitazione di parte o d'ufficio, per la ricerca di elementi concreti dai quali si possa desumere l'emersione di fatti illeciti sul dichiarante, sottoposto a pressioni (con violenza, minaccia, promessa di denaro o altra utilità), al fine di non deporre il vero o di deporre il falso» (in questi esatti termini Cass. pen., Sez. III, 15 giugno 2010, n. 27582). Del tutto correttamente, dunque, la suprema Corte nella decisione in disamina ha annullato parzialmente la sentenza con rinvio, ritenendo che un accertamento siffatto postuli l'escussione della persona offesa, non essendosi la stessa sottratta all'esame nel contraddittorio tra le parti, e non potendosi, quindi - in assenza di audizione - ragionevolmente trarsi aliunde elementi indicativi del patimento di un'efficace azione intimidatoria. Le modalità della deposizione e il contegno tenuto dalla persona offesa in dibattimento possono fornire, infatti, al giudicante elementi valutabili ai fini dell'accertamento delle indebite pressioni esterne asseritamente subite, i quali costituiscono il presupposto, ai sensi dell'art. 500, comma 4, c.p.p. per l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese dal medesimo dichiarante (di questo avviso cfr. anche Cass, Sez. sez. VI, 5 aprile 2017, n.22555). In assenza di audizione, qualora la stessa sia possibile, l'acquisizione dei predetti verbali è al contrario senza dubbio illegittima e le dichiarazioni in esse contenute sono inutilizzabili ai fini della decisione.
* Il presente lavoro è frutto di una ricerca dal titolo “L'Inutilizzabilità della prova nel processo penale”, finanziata dalla Fondazione Banco di Sardegna. E. AMODIO, Fascicolo processuale ed utilizzabilità degli atti, in AA.VV., Lezioni sul nuovo processo penale, Milano, 1990; C. CONTI, Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale, Padova, 2007; F.R. DINACCI, L'inutilizzabilità nel processo penale, Milano, 2008; N. GALANTINI, L'inutilizzabilità della prova nel processo penale, Padova, 1992; F. M. GRIFANTINI, Utilizzabilità in dibattimento degli atti provenienti dalle fasi anteriori, in ILLUMINATI – ORLANDI – FERRUA, La prova nel dibattimento penale, III ed., Torino, 2007; SCELLA A., Prove penali e inutilizzabilità. Uno studio introduttivo, Torino, 2000. |