Notifiche Pec off limits per le parti private
08 Febbraio 2019
Massima
Nell'ambito del procedimento penale alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni, notificazioni nonché presentare istanze mediante l'utilizzo della cosiddetta Pec, la posta elettronica certificata.
Fonte: ilprocessotelematico.it Il caso
Con ordinanza, il tribunale del riesame di Varese ha rigettato l'istanza di riesame del decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Busto Arsizio e avente a oggetto la somma di euro 92.880 rinvenuta in possesso dell'indagata presso lo scalo aeroportuale di Malpensa. Il ricorso viene dichiarato inammissibile, in quanto proposto per motivi manifestamente infondati. La questione
La quaestio iuris posta all'esame dei giudici è la seguente: è vietato alle parti private comunicare, notificare o presentare istanze agli uffici giudiziari tramite posta elettronica certificata? Le soluzioni giuridiche
In motivazione: «Con riferimento al primo motivo di ricorso, infatti, questa Corte di Cassazione ha ripetutamente chiarito che nell'ambito del procedimento penale alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze mediante l'utilizzo della cd. Pec, la posta elettronica certificata (Cass. pen., 16 maggio 2017, n. 31314; Cass. pen., 11 febbraio 2014, n. 7058, con riferimento ad un'istanza di rinvio per legittimo impedimento; Cass. pen. 28 gennaio 2015, n. 18235, con riferimento ad un'istanza di rimessione in termini): la dichiarazione del difensore della ricorrente di adesione all'astensione dalle udienze penali proclamata dagli organismi di categoria era, pertanto, irricevibile. Per il disposto degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150, 151, comma 2 c.p.p., e della legge 221 del 2012, di conversione del d.l. n. 179 del 2012, infatti, a decorrere dal 15 dicembre 2014 l'utilizzo della Pec nei procedimenti penali è consentito soltanto per effettuare notificazioni da parte delle cancellerie a persona diversa dall'imputato. Nel processo civile, invece, l'art. 366 comma 2 cod. proc. civ. (così come previsto dalla legge 12 novembre 2011 n. 183, che ha modificato la legge n. 53/1994) ha introdotto espressamente la PEC quale strumento utile per le notifiche degli avvocati autorizzati, e già il d.m. 44/2011 aveva disciplinato con maggiore attenzione l'invio delle comunicazioni e delle notifiche per via telematica dagli uffici giudiziari agli avvocati ed agli ausiliari del giudice nel processo civile, in attuazione dell'art. 51 della legge 6 agosto 2008 n. 133. La disposizione dell'art. 4 - che prevede l'adozione di un servizio di posta elettronica certificata da parte del Ministero della Giustizia in quanto ai sensi di quanto disposto dalla legge n. 24/2010 nel processo civile e nel processo penale tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica devono effettuarsi mediante posta elettronica certificata - è stata rinnovata anche dal d.l. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012 n. 221, che all'art. 16 ha sancito che nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150, 151, comma 2 cod. proc. pen. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria (Cass. pen. Sez. III, 11 febbraio 2014, n. 7058)»
Dopo aver indicato le disposizioni relative all'uso della Pec nel procedimento penale e in quello civile, il Collegio ritiene: «In coerenza con il tradizionale canone interpretativo incluso unius, exclusio alterius, si è rilevato, pertanto, che tale disposizione (rectius l'art. 16 del d.l. n. 179/2012) indica espressamente la volontà del legislatore di consentire l'uso della PEC, nel processo penale, alle sole cancellerie: altrimenti la stessa sarebbe inutile, non avendo senso consentire espressamente l'utilizzo della PEC alle cancellerie, se esso fosse consentito a tutti e, del resto, la previsione secondo cui “la relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria” conferma che l'utilizzo del mezzo è consentito all'ufficio di cancelleria, e non anche alle parti private, in quanto la mancata indicazione delle forme nelle quali dovrebbero essere redatte le relazioni delle notificazioni eseguite dalle parti private sarebbe altrimenti incomprensibile, poiché finirebbe con il legittimare l'assunto secondo cui le parti private non avrebbero necessità di documentare l'avvenuta notificazione a mezzo Pec (così Cass. pen., 16 maggio 2017, n. 31314). Conseguentemente, nel procedimento penale, allo stato, all'imputato ed al suo difensore non è consentito l'utilizzo della posta elettronica certificata quale forma generalizzata di comunicazione o notificazione, né per la presentazione di istanze».
Sulla questione si sono registrate due posizioni ermeneutiche. 1) Secondo una parte della giurisprudenza di legittimità, si argomenta ex art. 16 del d.l. n. 179/2012 per negare la ritualità dell'utilizzo della PEC in caso di notificazioni effettuate dalle parti private; tra tutte, si veda la pronuncia della IV sezione penale della Corte di cassazione, n. 16622 del 3 marzo 2016 (dep. 21 aprile 2016), secondo cui “alla parte privata, nel processo penale, non è consentito l'uso di tale mezzo informatico di trasmissione [la p.e.c., n.d.r.] quale forma di comunicazione e/o notificazione”, utilizzo consentito solo per le notificazioni per via telematica da parte delle cancellerie. Conformi: Cass. pen., 8 giugno 2018 n. 26362; Cass. pen., 11 febbraio 2014 n. 7058; Cass. pen., 28 gennaio 2015 n. 18235.
2) Per altro orientamento, invece, l'art. 16 del d.l. 179/2012 va interpretato, meramente, nel senso che esso disciplina l'utilizzo della PEC da parte delle cancellerie; ma non può negarsi, altresì, che “l'unico divieto che può trarsi dal citato articolo 16 è quello dell'inutilizzabilità della notifica a mezzo PEC a cura della cancelleria, qualora il destinatario sia l'imputato (persona fisica)”. Conforme, su tutte perchè di tenore ricognitivo dell'orientamento: Cass. pen., 10 febbraio 2017 n. 6320. Osservazioni
Ritengo più rispettosa delle regole (nazionali e sovranazionali) del giusto processo l'adesione al secondo degli orientamenti detti. Si parta dai dati normativi, che sono precisi nel delineare i confini di utilizzo del mezzo elettronico di comunicazione (PEC) da parte delle cancellerie. Individuo tre norme necessarie a perimetrare l'ambito di operatività dello strumento in esame e a dimostrare che non esiste alcun divieto per le parti private di comunicare o notificare tramite PEC, ma, semmai, soltanto un obbligo per le cancellerie di utilizzare esclusivamente la PEC per le loro comunicazioni alle parti diverse dall'imputato. La prima disposizione è contenuta nel comma 2 dell'art. 4 (rubr. Misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia) della L. n. 24 del 2010 (recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), in cui veniva stabilito che nel processo civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica si dovessero effettuare mediante posta elettronica certificata, ai sensi del C.A.D. e successive modificazioni, del regolamento recante disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata, nonché delle regole tecniche stabilite con i decreti ministeriali che dovevano essere adottate in esecuzione del decreto stesso. La seconda disposizione, rilevantissima, è quella di cui all'art. 48, comma 2, d.l. 7 marzo 2005 n. 82 (c.d. Codice dell'Amministrazione Digitale), come sostituito dal d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, art. 33, stando alla quale la posta elettronica certificata è, a tutti gli effetti, equiparata alla lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Tenendo a mente, soprattutto, la clausola di equivalenza appena detta, si analizzi ora il terzo dato normativo, quello che viene posto a fondamento della decisione della sentenza in commento. Mi riferisco all'art. 16 del d.l. 179/2012 («Biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica»), che, al comma 4, stabilisce: «Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148 co. 2-bis, 149, 150, 151 co. 2, del codice di procedura penale. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria». Se si vuol interpretare in via strettamente letterale il disposto, si evidenzi l'inciso Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata” e si noti che il tenore scelto dal legislatore è quello di un obbligo; obbligo posto a carico delle sole cancellerie, non di altri soggetti. Ebbene, successivamente, nello stesso comma si trova che “ Allo stesso modo si procede per le notificazioni a persona diversa dall'imputato” nel processo penale. Si tratta dello stesso obbligo traslato nel procedimento penale, obbligo - si deduce ragionando a fortiori - anche qui a carico delle sole cancellerie. Applicando la teoria generale del diritto a tali disposizioni si deve escludere che, laddove il legislatore non stabilisca espressamente un divieto, lo si possa creare con l'interpretazione. Qui si stabilisce solo un obbligo gravante su un soggetto (si badi, non una parte) del procedimento penale (l'ufficio di cancelleria), ma non vi è traccia di un corrispondente divieto di utilizzo dello strumento da parte di nessun altro soggetto del procedimento. Già il dato letterale della norma dovrebbe portare a sposare il secondo degli orientamenti introdotti più sopra. Se non bastasse, si potrebbe anche notare che dai rinvii normativi contenuti nel comma 4 manca, ovviamente, l'art. 152 c.p.p. («Salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni richieste dalle parti private possono essere sostituite dall'invio di copia dell'atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento».) poiché il comma 4 è dedicato, appunto, alle cancellerie e non alle altre parti private. Infine, si faccia un ultimo passaggio logico; raccordando la norma appena analizzata con l'art. 48 C.A.D si deve concludere che la trasmissione del documento informatico per via telematica a mezzo PEC, equiparata ad ogni effetto di legge alla raccomandata con ricevuta di ritorno, rispetti pienamente la regola del contraddittorio a base del giusto processo. E ciò anche in virtù del principio processualistico generale che protegge un atto processuale (intendendolo come atto di esercizio di un potere processuale) dalla sanzione della nullità laddove l'atto raggiunga il suo scopo nel procedimento (art. 156 c.p.c.).
Ma vi è di più. La sentenza qui commentata contiene un vizio argomentativo di fondo. La scelta di considerare irricevibile un'istanza del difensore relativa ad un'udienza camerale vìola, senz'altro, l'art. 111 Cost. perchè un rito camerale è “già sceso a compromessi” con il contraddittorio e con la pubblicità dell'udienza, ha già compresso, in bilanciamento con altri certo, un interesse della parte alla cognizione piena. Proprio il bilanciamento operato a priori dal legislatore dovrebbe far propendere per il rispetto del principio del raggiungimento dello scopo dell'atto anche quando le regole formali dovessero essere state eluse. E non è questo il caso, dato che si è dimostrata l'assenza di lacune normative in materia. Non concordo affatto con chi asserisce che il contenuto dell'art. 16 d.l. 179 del 2012 sia lacunoso o non sia chiaro sulla questione delle parti private e delle loro comunicazioni o notificazioni, perchè, molto semplicemente, non c'è nessuna questione reale. Vi è, forse, la volontà di non applicare la regola, anch'essa satellite del giusto processo, della parità delle armi tra le parti del procedimento penale. Se, prima della novella dell'art. 111 Cost., la conformità delle norme processuali ai principi costituzionali doveva essere valutata in concreto, ponendo a raffronto la disposizione di legge ordinaria “quale concretamente applicata” con le varie norme costituzionali nelle quali si articolavano i principi fondanti in tema di giurisdizione e diritto di difesa (artt. 3, 24, 25, 101, etc. Cost.), il riformato art. 111, comma 1, invece, ha operato un mutamento di prospettiva. Ciascuno dei consociati ha il diritto al giusto processo, quale nella medesima disposizione definito, indipendentemente dalla concreta applicazione della disciplina processuale: non occorre, cioè, denunciare la specifica violazione del diritto di azione e di difesa ex art. 24 Cost. ma denunciare, in astratto e in generale, la difformità del modello processuale da quello previsto dalla Costituzione.
Concludendo, come più volte la dottrina processualpenalista ha ribadito, ogni attività procedimentale volta a garantire la reale possibilità di interlocuzione delle parti processuali è ossequiosa del principio del giusto processo e a voler, come si vuole, ancorare tale principio costituzionale ad altre disposizioni sovranazionali, si pensi alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (come primo elemento caratterizzante del “diritto ad una buona amministrazione”: art. 41). Stessa direttrice ermeneutica si ha anche nel senso molto lato che la Corte europea dei diritti dell'uomo attribuisce da tempo al “diritto ad un equo processo”, considerato applicabile anche a procedimenti amministrativi di natura sanzionatoria o afflittiva (e sancito dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo). Insomma, il principio più generale del due process of law è sempre multifunzionale ed è comunque legato alla specifica natura della cosa che forma oggetto della decisione pubblica. Ciò può spiegare il motivo per il quale nel dibattito italiano è stato, ed è tuttora, così difficile radicare il “giusto procedimento” nel solo art. 97 Cost., anziché – se del caso – negli artt. 24 o 113 Cost.. Il punto è che, risolvendosi in declinazioni strutturali differenti, ed essendo strumentale a scopi altrettanto eterogenei, quel principio è trasversale; e deve esserlo, poiché rappresenta, per così dire, una delle anime più caratteristiche dello stato di diritto nella sua più originaria e irrinunciabile accezione. Non si dimentichi, poi, che le esigenze di affermazione del principio del “giusto procedimento” non sono care soltanto al diritto degli Stati. Sono sentite in modo molto forte anche in ambiti sovranazionali, nei quali esse circolano mediante una diffusa e trasversale garanzia del “diritto al contraddittorio”o del “diritto di difesa”: prerogative, queste, la cui tutela, connoterebbe il carattere legittimo delle modalità d'azione di volta in volta seguite dai pubblici poteri, allorché si dirigano in modo invasivo nei confronti di diritti o libertà riconosciuti dall'ordinamento. |