Rito Fornero: “riproposizione”, nella fase di opposizione, delle domande (o eccezioni) non accolte in fase sommaria
21 Gennaio 2019
Massima
Nel rito cd. Fornero, in caso di soccombenza reciproca nella fase sommaria e di opposizione di una sola delle parti, l'altra parte può riproporre nella fase a cognizione piena, con la memoria difensiva, le domande e le eccezioni non accolte, anche dopo la scadenza del termine per presentare autonoma opposizione e senza necessità di formulare una domanda riconvenzionale con relativa istanza di fissazione di una nuova udienza ai sensi dell'art. 418, c.p.c., atteso che l'opposizione non ha natura impugnatoria, ma produce la riespansione del giudizio, chiamando il giudice di primo grado ad esaminare l'oggetto dell'originaria impugnativa di licenziamento nella pienezza della cognizione integrale Il caso
Due lavoratrici impugnano, con le forme e modalità del rito “Fornero”, il licenziamento loro intimato per giustificato motivo oggettivo, deducendone l'illegittimità ed invocando la tutela reintegratoria, nonché, in subordine, quella risarcitoria.
Nella fase sommaria la domanda viene accolta solo in punto di tutela risarcitoria; il solo datore propone quindi opposizione, mentre le predette lavoratrici, costituendosi, insistono, nella memoria difensiva, per la reintegra, poi concessa all'esito del giudizio.
La sentenza è impugnata dal datore, il quale, per quanto qui interessa, si duole che la domanda volta al conseguimento della tutela reintegratoria sia stata ritenuta ammissibile, benché non proposta, nella fase di opposizione, con una “riconvenzionale”.
La sentenza in questione viene confermata in appello e il successivo ricorso per cassazione proposto dal datore viene rigettato sulla base del principio di cui in massima La questione
La questione in esame (non poco articolata) è la seguente: nel rito “Fornero”, in caso di reciproca soccombenza nella fase sommaria, è necessario che ciascuna parte proponga opposizione avverso l'ordinanza, in relazione ai capi sfavorevoli, entro il termine di decadenza di cui all'art. 1, comma 51, l. n. 92 del 2012 (ove è previsto che: "Contro l'ordinanza di accoglimento o di rigetto di cui al comma 49 può essere proposta opposizione con ricorso contenente i requisiti di cui all'art. 414 del codice di procedura civile, da depositarsi innanzi al tribunale che ha emesso il provvedimento opposto, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla notificazione dello stesso, o dalla comunicazione se anteriore"), oppure è sufficiente che, una volta promossa tempestiva opposizione ad opera di una delle parti, l'altra (da ora, “l'opposto”) riproponga con la memoria difensiva tempestivamente depositata le domande ed eccezioni non accolte?
In quest'ultimo caso, l'opposto deve proporre una domanda riconvenzionale in senso tecnico ai sensi dell'art. 418 c.p.c., oppure no?
Qualora, infine, si ritenga valida la seconda soluzione, in qual modo può essere assicurato il diritto di difesa (ossia di replica alle domande ed eccezioni riproposte dall'opposto in memoria) dell'opponente? Le soluzioni giuridiche
La risposta contenuta nella sentenza in commento è in linea con un orientamento venuto a delinearsi in precedenti pronunzie della Suprema Corte, nelle quali, in sostanza, pur escludendosi la configurabilità di una “opposizione incidentale tardiva” - quale rimedio ipoteticamente ricavabile in via analogica dal sistema delle impugnazioni -, si ammette che la parte parzialmente soccombente in fase sommaria possa riproporre con la memoria difensiva, nella successiva fase a cognizione piena tempestivamente avviata dall'opponente, le domande ed eccezioni non accolte.
Va menzionata in primo luogo Cass. 26 febbraio 2016, n. 3836, ove è affermato che “qualora all'esito della fase sommaria la domanda di impugnazione del licenziamento venga accolta solo parzialmente, la instaurazione del giudizio di opposizione ad opera di una delle parti consente all'altra di riproporre con la memoria difensiva la domanda o le difese non accolte, e ciò anche nella ipotesi in cui per la parte che si costituisce sia spirato il termine per proporre un autonomo atto di opposizione”. La ragione di supporto è che l'opposizione non è una “revisio prioris istantiae” e non ha natura impugnatoria, in quanto, dopo una fase iniziale concentrata e deformalizzata, il procedimento si espande alla dimensione ordinaria della cognizione piena, con accesso per le parti a tutti gli atti di istruzione ammissibili e rilevanti (principio, questo, già affermato in varie sentenze, a partire da Cass., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19674). Sicché “non è possibile ipotizzare la formazione del giudicato su alcune statuizioni e non su altre della ordinanza, atteso che quest'ultima è destinata ad acquisire il carattere della definitività nella sola ipotesi in cui l'opposizione non venga promossa”.
In termini sostanzialmente analoghi si sono espresse Cass. 24 agosto 2018, n. 21156 e Cass. 6 settembre 2018, n. 21720 (in quest'ultima si legge che “nel cd. rito “Fornero”, l'ordinanza conclusiva della fase sommaria, salvo il caso di omessa opposizione, è priva di idoneità al giudicato, atteso che il giudizio di primo grado è unico a composizione bifasica, con una prima fase ad istruttoria sommaria, diretta ad assicurare una più rapida tutela al lavoratore, e una seconda, a cognizione piena, che non è una “revisio prioris instantiae”, ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria; ne consegue che non si forma il giudicato sulla parte di tale ordinanza che non abbia formato oggetto di opposizione”).
Da ultimo, sempre sulla stessa linea, va segnalata Cass. 23 novembre 2018, n. 30433, pubblicata lo stesso giorno della sentenza in commento, che ha riconosciuto al datore la possibilità di proporre azione di accertamento della legittimità del licenziamento avvalendosi del rito “Fornero”.
Il diverso indirizzo - sostenuto in passato solo da alcuni giudici di merito - in base al quale sarebbe precluso all'opposto, soccombente parzialmente, di censurare l'ordinanza una volta scaduti i termini per proporre opposizione, fa leva sull'inammissibilità dell'“opposizione incidentale tardiva”, sul rilievo che essa non è prevista da alcuna norma ed è incompatibile con il rito “Fornero”; sicché sarebbe insussistente una lacuna da colmare con il procedimento analogico, che non potrebbe comunque fondarsi sui principi dettati in materia di impugnazione (non avendo il giudizio di opposizione carattere impugnatorio).
L'indirizzo in questione, che, come è agevole notare, prende le mosse da una impostazione diversa da quella seguita dalla S.C., può dirsi oggi definitivamente superato.
Ciò posto, i punti centrali della sentenza in commento possono così compendiarsi: a) la negazione della natura impugnatoria dell'opposizione si è oramai consolidata in termini di diritto vivente, per cui, nella soluzione della questione, non può essere seguita una interpretazione che ponga in discussione siffatto asserto, atteso che, con specifico riferimento alle disposizioni processuali, é da preferire - e conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario - l'interpretazione sulla cui base si è, nel tempo, formata una pratica di applicazione stabile; b) una volta che una delle parti propone una opposizione con ricorso, viene meno l'attitudine dell'ordinanza emessa in fase sommaria ad acquisire la stabilità della cosa giudicata, che consegue solo al caso in cui la stessa non venga opposta da alcuno nel termine di decadenza previsto, tanto che, in seguito all'opposizione, l'ordinanza è integralmente sostituita dalla sentenza pronunciata all'esito della seconda fase; c) l'onere di riproposizione delle domande ed eccezioni non accolte non deriva dall'applicazione, in via analogica, dell'art. 346, c.p.c. dettato per le impugnazioni, bensì dal meccanismo imposto dalla combinazione degli artt. 414 e 416 del codice di rito, come richiamati dalla l. n. 92 del 2012, al quale viene affidato il compito, in relazione agli interessi ed alle richieste palesati dalle parti negli atti introduttivi, di delimitare definitivamente l'oggetto del contendere; d) la riproposizione, per il tramite della memoria difensiva dell'opposto, delle istanze già formalizzate nel corrispondente atto introduttivo della fase sommaria è compatibile con le esigenze di rispetto del contraddittorio, considerato proprio che si tratta di un patrimonio conoscitivo già esposto alle parti ed al giudice nel primo stadio del procedimento; non è quindi necessaria la proposizione da parte dell'opposto di una domanda riconvenzionale, con relativa istanza di fissazione di nuova udienza ai sensi dell'art. 418, c.p.c.; e) laddove, tuttavia, sorga una esigenza di salvaguardia dell'effettività del contraddittorio, in ragione delle difese delle parti e della complessità delle relative istanze ed eccezioni, non può escludersi che il giudice, ove lo ritenga necessario a tutela del diritto di difesa, conceda all'uopo un breve differimento dell'udienza. Osservazioni
L'impianto argomentativo della sentenza in commento si fonda sul riconoscimento dell'effetto devolutivo determinato dall'opposizione, che rimette “in circolo”, nella fase a cognizione piena, l'intero oggetto del processo, sì da non potersi parlare, quanto alle censure avverso l'ordinanza contenute nell'atto difensivo della parte opposta, di “opposizione incidentale” in senso tecnico.
In sostanza, l'opposizione delineata dal legislatore, da proporsi a pena di decadenza, è solo quella della parte, parzialmente soccombente, che assume l'iniziativa; la controparte, ove voglia muovere censure all'ordinanza per i profili rispetto ai quali è rimasta a sua volta soccombente, è tenuta solo a costituirsi, ex art. 416, c.p.c., nei termini, riproponendo la domanda o le difese non accolte. Ciò implica che ove la controparte si costituisca tardivamente, o proponga domande od eccezioni “non” con la memoria tempestivamente depositata (ma, ad esempio, in udienza), la preclusione non trova fondamento nel giudicato parziale dell'ordinanza cautelare, bensì nella decadenza prevista dall'art. 416, c.p.c.; il giudice dell'opposizione, pertanto, non può statuire alcunché sui punti dell'ordinanza sfavorevoli alla parte opposta che nulla ha detto nella memoria tempestivamente depositata (salvo - dovrebbe ritenersi - in ordine a fatti che possano configurarsi quali eccezioni in senso lato).
Un'ulteriore conseguenza di tale ricostruzione é che anche ove un solo punto dell'ordinanza sia stato censurato con l'opposizione, il giudicato, in quanto non formatosi, non può essere mai fonte di preclusione, neppure per l'opponente; per quest'ultimo, però, opera la preclusione ex art. 414, c.p.c., nel senso che le deduzioni - concernenti domande - non contenute nel ricorso non sono più formulabili nel corso del procedimento.
Un ultimo effetto della ricostruzione in questione è che ove l'opposizione sia tardiva, non vi è luogo per una valida introduzione della fase a cognizione piena, sicché non può tenersi conto delle domande ed eccezioni contenute nella memoria.
Per come visto, secondo la Corte la “riproposizione” non è oggetto di una autentica riconvenzionale da formularsi con le formalità dell'art. 418, c.p.c., ossia con l'istanza, contenuta nella memoria, di differimento dell'udienza. Tuttavia una tale opzione può presentare una controindicazione, ravvisabile nel fatto che l'opponente verrebbe a disporre di un termine esiguo per controdedurre (solo dieci giorni, se l'opposto si costituisce tempestivamente l'ultimo giorno utile).
Ma qui potrebbe ribattersi che non è una “effettiva” domanda quella proveniente dal datore/opposto, giacché quest'ultimo si limiterà ad insistere per la legittimità del licenziamento; né è “nuova” la domanda proveniente dal lavoratore/opposto, in quanto la stessa, non allargando il tema di indagine, altro non è se non una mera “replica” di quella già avanzata nella fase sommaria.
A tale specifico riguardo, nella sentenza è chiarito che “il rilievo che si tratta di riproposizione di questioni già esposte al contraddittorio delle parti nella precedente fase, rispetto alla quale l'opposizione si presenta in rapporto di prosecuzione e continuità, induce a ritenere che nessuna lesione del diritto di difesa, tale da determinare la nullità del procedimento, può dirsi consumata, tanto più in un rito speciale cadenzato con termini più stringenti rispetto a quello ordinario”.
Tuttavia occorre considerare che le domande “riproposte” non hanno più, quale punto di riferimento oggettivo, i fatti storici enunciati negli atti processuali della fase sommaria, ma anche - e spesso soprattutto - l'ordinanza del giudice. In altri termini esse, nella fase di opposizione, si fondano, sul piano argomentativo, sulle censure mosse all'ordinanza; trattasi, pertanto, di profili che, essendo nuovi, potrebbero meritare di essere ponderati dalle parti in fase di opposizione. E, a ben vedere, tale esigenza vale anche per le eccezioni (si pensi a quella di decadenza) riproposte dal convenuto.
Ma, come anticipato supra sub lett. e), anche tale profilo è affrontato nella pronuncia in commento, poiché non si esclude - avuto riguardo al contesto normativo di riferimento - che il giudice, ove lo ritenga necessario a tutela del diritto di difesa, conceda un breve differimento dell'udienza.
Il meccanismo così delineato è coerente con la dinamica del processo e con i principi generali; peraltro, risponde ad esigenze di economicità, poiché la fissazione, sempre e comunque, di un termine a difesa, determinando un allungamento dei tempi di trattazione, potrebbe andare contro gli stessi interessi dell'opponente, che, ritenendo di poter controdedurre in poco tempo (ad esempio perché l'opposto non ha evidenziato nulla di nuovo), abbia interesse ad un sollecito svolgimento del procedimento.
In tal quadro, rimane quindi solo da chiedersi se il giudice “debba”, o meno, accordare il termine a difesa (in ipotesi) richiesto, in prima udienza, ad opera del ricorrente/opponente. Il senso di logica e ragionevolezza suggerirebbe di dare al quesito risposta positiva.
Qualora il giudice, tuttavia, non conceda il termine, ed ove alla parte istante sia anche stato precluso di fatto di argomentare, nell'udienza successiva alla prima, a verbale, potrebbe ravvisarsi - ove la domanda (o la difesa) dell'opposto sia stata accolta - una violazione del principio del contraddittorio, da farsi valere, verosimilmente, in sede di reclamo.
Potrebbe poi porsi la questione circa la necessità, o meno, per la parte pregiudicata, di dimostrare, nella predetta sede, di aver subito una concreta lesione in conseguenza di quella che si risolve in una violazione processuale, con indicazione delle argomentazioni difensive la cui considerazione avrebbe, con ragionevole probabilità, determinato una decisione diversa da quella effettivamente assunta.
Per riferimenti sul rito “Fornero”, v. A.D. De Santis, Il rito specifico accelerato per l'impugnativa dei licenziamenti individuali e collettivi, ne “Processo del lavoro”, VI, Lavoro, Pratica Professionale, diretto da P. Curzio, L. Di Paola e R. Romei, Giuffré, 2017, 535 ss. |