Reato di dichiarazione fraudolenta attraverso operazioni inesistenti. La Cassazione ricorre a un'ampia nozione di fattura
15 Gennaio 2019
Massima
Ai fini della sussistenza del reato di dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 2 del d.lgs. 74/2000, per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti devono intendersi quelli che, a prescindere dal nomen, hanno l'attitudine, in base alle norme dell'ordinamento tributario, a fornire la prova delle operazioni in essi documentati. A tal fine non è necessario stabilire ex post se il documento possa avere tale attitudine ma è sufficiente che, per le sue caratteristiche estrinseche e per il suo contenuto, tale natura non possa essere esclusa ictu oculi in base alle norme dell'ordinamento tributario sin dalla fase dell'accertamento fiscale.
Fonte: ilTributario.it Il caso
L'amministratore unico di una S.R.L. veniva condannato nei gradi di merito per aver indicato nella dichiarazione della società elementi passivi fittizi avvalendosi di una fattura di notevole importo. Col ricorso in Cassazione l'imputato denunciava, tra l'altro, violazione di legge in quanto il documento incriminato non aveva i requisiti di forma della "fattura", trattandosi di un mero foglio di carta intestata sul quale la ragione sociale della società emittente era stato parzialmente scritto a mani, al pari dell'indirizzo e del numero della fattura. Di conseguenza il delitto avrebbe dovuto essere ricondotto nell'ambito della fattispecie di cui al successivo articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) che nella sua versione vigente al momento del fatto, ne escludeva la punibilità per mancato superamento della soglia penale. Dopo aver riassunto le caratteristiche fondamentali del reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti la Cassazione ricorda che pure a livello “tributario” l'art. 21, comma 1, d.P.R. n. 633/1972 equipara alle fatture, le note, i conti, le parcelle e documenti "simili". La questione
La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento riguarda la definizione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. In particolare la Cassazione si sofferma sulla definizione del concetto di fattura, fornendone un'interpretazione estensiva anche alla luce della giurisprudenza civilistico-tributaria. Le soluzioni giuridiche
In relazione al mezzo fraudolento di cui l'agente si avvale per l'indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi, la Corte di cassazione ha fornito, con sentenza 27392/2012, una definizione degli altri documenti rilevanti ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. 74/2000, precisando che tali sono quelli «… aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture (documenti tipici fiscali previsti espressamente dal d.P.R. 633/1972, art. 21)». Rientrano, pertanto, nella definizione di altri documenti «ad esempio, oltre alle ricevute fiscali e simili, quei documenti da cui risultino spese deducibili dall'imposta, come le ricevute per spese mediche o per interessi su mutui, le schede carburanti etc. (documenti che attualmente non devono essere allegati alla dichiarazione dei redditi ma conservati per eventuali controlli da parte degli uffici). Qualora le spese documentate siano deducibili dall'imposta, la indicazione in dichiarazione di tali spese non effettuate o effettuate in misura inferiore integra la condotta del reato, per il fatto che si fanno apparire elementi passivi fittizi». In definitiva si deve ritenere che i documenti simili siano solo quelli che, condividendo la natura e la finalità della fattura: a) devono essere emessi in concomitanza o a causa di un'operazione imponibile; b) hanno funzione descrittiva dell'operazione stessa e dell'imposta dovuta. Da tali arresti si può ricavare il seguente principio di diritto: ai fini della sussistenza del reato di dichiarazione fraudolenta di cui all'art. 2, d.lgs. 4/2000, per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti devono intendersi quelli che, a prescindere dal nomen, hanno l'attitudine, in base alle norme dell'ordinamento tributario, a fornire la prova delle operazioni in essi documentati. A tal fine non è necessario stabilire ex post se il documento possa avere tale attitudine ma è sufficiente che, per le sue caratteristiche estrinseche e per il suo contenuto, tale natura non possa essere esclusa ictu oculi in base alle norme dell'ordinamento tributario sin dalla fase dell'accertamento fiscale. Di conseguenza il ricorso è stato rigettato. Osservazioni
Secondo consolidata giurisprudenza integra il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74) la falsa indicazione, nella dichiarazione Irpef, di spese deducibili dall'imposta, quando le stesse non siano state effettuate o siano state effettuate in misura inferiore. (cfr. Cass. civ., n. 48486/2011 e 27392/2012). In relazione al mezzo fraudolento di cui l'agente si avvale per l'indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi, la Corte di cassazione ha fornito, con l'ultima pronuncia, una definizione degli altri documenti rilevanti ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 74/2000, precisando che tali sono quelli «[…] aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture (documenti tipici fiscali previsti espressamente dal d.P.R. 633/1972, art. 21)». Rientrano, pertanto, nella definizione di altri documenti «ad esempio, oltre alle ricevute fiscali e simili, quei documenti da cui risultino spese deducibili dall'imposta, come le ricevute per spese mediche o per interessi su mutui, le schede carburanti etc. (documenti che attualmente non devono essere allegati alla dichiarazione dei redditi ma conservati per eventuali controlli da parte degli uffici). Qualora le spese documentate siano deducibili dall'imposta, la indicazione in dichiarazione di tali spese non effettuate o effettuate in misura inferiore integra la condotta del reato, per il fatto che si fanno apparire elementi passivi fittizi». Sotto quest'ultimo profilo, già in precedenti pronunce, la Corte di cassazione ha avuto modo di specificare che, alla luce della definizione di fatture o altri documenti contenuta nell'art. 1, comma 1, lettera a), del citato d.lgs. 74/2000, «[…] è l'efficacia probatoria, in base alle norme tributarie, del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta l'elemento specializzante ed individualizzante ai fini della qualificazione della fattispecie criminosa […]», e che, pertanto, ai fini della configurabilità della dichiarazione fraudolenta di cui al citato articolo 2, occorre che «il documento utilizzato per la dichiarazione di elementi passivi fittizi corrisponda, sia pure apparentemente, ai requisiti precisati dal d.P.R. n. 633/1972, art. 21, comma 2, a proposito del contenuto della fattura, ovvero, se si tratta di altro documento contabile, sia equipollente, in relazione al suo contenuto, alla fattura secondo le norme tributarie» (cfr. Cass. n. 16011/2012).
Da ultimo con sentenza 17126/2018 la Cassazione ha stabilito che chi detrae false spese mediche nel 730, commette il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Si tratta di prestazioni irreali e pertanto il documento che le certifica costituisce il falso che integra il delitto tributario. Quanto alla dichiarazione fraudolenta prevista e sanzionata dall'art. 3 d.lgs. 74/2000, la stessa è costruita invece, essenzialmente, come frode contabile, alla quale deve associarsi un quid pluris artificioso non tipizzato (diverso dall'uso di fatture o altri documenti falsi, integrante l'ipotesi di cui al precedente art. 2) ma, comunque, caratterizzato dall'idoneità ad indurre in errore e ad impedire il corretto accertamento della realtà contabile del soggetto che presenta la dichiarazione annuale d'imposta, come:
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