Giusta causa di licenziamento: svolgimento di altra attività durante il periodo di malattia o infortunio
14 Gennaio 2019
Massima
In tema di licenziamento per giusta causa, il lavoratore è esonerato dall'onere di dimostrare la compatibilità dello svolgimento di altra attività con la natura della malattia o l'infortunio impeditivi della prestazione lavorativa contrattualmente prevista, nonché la sua inidoneità a pregiudicare il recupero delle normali energie psicofisiche, ovvero la pronta guarigione e il sollecito rientro in servizio, solo qualora abbia agito in ottemperanza di una prescrizione medica in tal senso. Il caso
Una Società datrice di lavoro agiva in giudizio, con reclamo ex art. 1, comma 58 ss., l. n. 92 del 2012, innanzi la Corte d'appello de L'Aquila, avverso la decisione con la quale era stata ritenuta, dal Giudice del lavoro di Teramo in sede di opposizione – che aveva confermato la statuizione resa all'esito della fase sommaria – l'illegittimità del licenziamento per giusta causa ordinato a Tizio per aver tenuto una condotta grave e lesiva del rapporto di fiducia con la datrice di lavoro, sul presupposto che non vi fosse la prova che l'attività ciclistica, da egli svolta mentre era assente dal lavoro a seguito di infortunio, fosse indice di inesistenza della patologia, e quindi di simulazione della stessa, ovvero che avesse aggravato o ritardato la guarigione, con conseguente inesistenza del fatto contestato posto alla base del provvedimento espulsivo o, in ogni caso, irrilevanza disciplinare dello stesso in quanto sprovvisto del carattere di illiceità.
La Società contestava la sentenza citata e la correttezza dell'iter argomentativo sviluppato dal Giudice dell'opposizione con undici motivi di reclamo, tutti fondati su una non corretta interpretazione dei fatti di causa, ovvero su un travisamento degli stessi.
Tra le doglianze e i vizi sollevati, la Società lamentava, tra l'altro, l'aver il giudice dell'opposizione errato in relazione alla statuizione assunta in tema di onere della prova, avendo affermato in capo alla datrice di lavoro l'onere di provare, come fatto giustificativo della legittimità dell'intimato licenziamento, il pregiudizio arrecato alla pronta guarigione e al sollecito rientro in servizio del lavoratore in conseguenza dell'attività da questo prestata in costanza di malattia e concludendo che non spettasse a Tizio l'onere di provare, ad ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all'attività lavorativa.
In motivazione la Suprema Corte ha espressamente affermato che: “In tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata - la cui gravosità non è comparabile a quella di una attività lavorativa piena - senza svolgere una ulteriore attività lavorativa, non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell'interesse del datore di lavoro, dovendosi escludere che il lavoratore sia onerato a provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all'attività lavorativa, laddove è a carico del datore di lavoro la dimostrazione che, in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il suddetto comportamento contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro”.
In una recente pronuncia (Cass. 18 gennaio 2018, n. 1173), relativa proprio al caso di svolgimento di attività extralavorativa da parte del lavoratore durante la malattia, nel ribadire che l'onere della prova della violazione degli obblighi di buona fede e correttezza grava sul datore di lavoro, è stato riaffermato il seguente principio di diritto: “In materia di licenziamento per giusta causa, lo svolgimento da parte del lavoratore di un'attività extralavorativa durante lo stato di malattia contrasta con gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro, qualora si riscontri, con onere della prova a carico del datore di lavoro, che tale attività costituisce indice di scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e ai relativi doveri di cura e non ritardata guarigione” (in applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento del lavoratore, in malattia per una distorsione al ginocchio, che durante il periodo di recupero si era dedicato a una moderata attività fisica, consistente in brevi passeggiate e bagni di mare).
Considerato che dalle indagini investigative richieste dalla società opponente non era emerso lo svolgimento di attività lavorativa, bensì lo svolgimento di un'attività sportiva (ciclismo) abitualmente praticata nella vita privata dal ricorrente e, tra l'altro, in forma non agonistica (come già evidenziato, dalle indagini svolte non è in alcun modo emerso che l'Olivieri abbia partecipato a competizioni agonistiche nel periodo in contestazione), cioè di attività la cui gravosità non è certo comparabile con quella di un'attività lavorativa a tempo pieno, non può ritenersi, neanche su un piano logico e di fatto, che l'Olivieri avesse l'onere di provare, ad ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all'attività lavorativa, in ossequio all'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, che pone a carico del datore di lavoro l'onere di dimostrare che, in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il comportamento di quest'ultimo contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro (v. Cass. n. 6375 del 2011). La questione
La questione in esame è la seguente: in tema di licenziamento per giusta causa, accertato lo svolgimento da parte del lavoratore di attività extralavorativa durante lo stato di malattia o infortunio, quali sono le circostanze oggetto dell'onere probatorio gravante sullo stesso e quando egli può dirsi esonerato da tale obbligo? Le soluzioni giuridiche
La giurisprudenza di merito e di legittimità si è espressa, più volte e in relazione a diversi profili, con riguardo al tema dello svolgimento da parte del prestatore di lavoro di attività (lavorative e non) in costanza di malattia o infortunio.
In particolare, è stata affermata la sanzionabilità – anche con un provvedimento espulsivo ed in difetto di previsione in tal senso del contratto collettivo o del codice disciplinare – del comportamento tenuto dal lavoratore durante il periodo di malattia o infortunio, qualora violativo dei doveri di correttezza e buona fede contrattuale, nonché degli specifici obblighi di diligenza e fedeltà, potendosi qualificare come illecito disciplinare l'attività posta in essere dal prestatore di lavoro che:
La sentenza in commento, in particolare, chiarisce come l'onere richiesto al lavoratore in fattispecie come le presenti non sia quello di dimostrare la perdurante inabilità temporanea rispetto all'attività lavorativa, come erroneamente ritenuto dal giudice dell'opposizione, ma come, diversamente, il prestatore di lavoro, cui venga contestata una violazione disciplinare di tale specie, sia chiamato a comprovare:
A ciò, aggiunge come il lavoratore sia esonerato dal citato onere probatorio solo ed esclusivamente qualora la condotta contestata sia stata tenuta in ottemperanza alle prescrizioni del medico curante (atteso che apparirebbe chiaramente illogico onerare il lavoratore di ciò che è certificato).
Incombe, pertanto, sul lavoratore l'onere rigoroso di provare la compatibilità dell'attività posta in essere con la malattia o l'infortunio e l'inidoneità a pregiudicare o ritardare la guarigione, salvo in presenza di una prescrizione medica in tal senso che, appunto, lo esonera dal provare la compatibilità di cui si è detto.
Ciò, non vuol dire che il datore non abbia oneri probatori, in quanto lo stesso dovrà provare la sussistenza del fatto contestato ed il suo svolgimento in costanza di malattia o infortunio, ovvero l'effettiva esecuzione da parte del lavoratore dell'attività durante il periodo di assenza dal posto di lavoro per le motivazioni suddette. Osservazioni
In buona sostanza, l'assenza per malattia o infortunio da parte del lavoratore, che ne legittima l'astensione dallo svolgimento della prestazione di lavoro, non comporta di per sé il dovere dello stesso di non svolgere altra attività, ma quest'ultima:
Per un corretto accertamento degli elementi sopracitati, il giudice del merito – al quale sono riservate le relative valutazioni – deve svolgere una verifica non in astratto ma in concreto, nell'esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a lui demandato.
Il predetto giudice non deve necessariamente affidare ad un tecnico tale accertamento – dovendo però, qualora ritenga di farlo e ne disattenda i rilievi, chiarirne adeguatamente le ragioni – ma può procedervi direttamente, a condizione che fornisca una idonea motivazione del suo convincimento.
Peraltro, sul tema, si ricorda come il datore di lavoro possa raccogliere prove circa lo svolgimento di attività incompatibili con lo stato di malattia o infortunio o comunque in contrasto con l'obbligo di evitare comportamenti che siano d'ostacolo alla più rapida guarigione – di cui è venuto in possesso casualmente o per essersi attivato all'insaputa del prestatore di lavoro, anche attraverso agenzie investigative – non operando, in tale ipotesi, la preclusione di cui all'art. 5, l. n. 300 del 1970, che gli vieta di effettuare, personalmente o attraverso medici di sua fiducia, accertamenti sanitari sui propri dipendenti.
Ciò, in quanto tali attività non concernono fatti rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore ma sono finalizzati a stabilire se l'assenza dal lavoro sia o meno giustificata dallo stato di malattia o infortunio dichiarato. |