Contribuente "fiscalmente pericoloso”: valida la notifica ante tempus dell'accertamento
02 Ottobre 2018
Massima
In materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, tra le ragioni di urgenza che giustificano l'emissione dell'avviso di accertamento prima dello spirare del termine dilatorio di sessanta giorni previsto dall'art. 12, comma 7, della l. 212/2000 rientra la commissione, da parte del contribuente stesso, di reiterate violazioni delle leggi tributarie aventi rilevanza penale ovvero la partecipazione dello stesso a una frode fiscale. Il caso
Una società ha impugnato un avviso di accertamento per Irpef, Iva e Irap anno di imposta 2008-2011, notificato prima dei sessanta giorni previsti dall'art. 12, comma 7, l. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), lamentando la violazione del termine procedimentale. A fronte del rigetto del ricorso della contribuente da parte dei giudici di prime cure, quelli di appello hanno invece accolto i motivi di gravame stigmatizzando la decisione dell'Ufficio di emissione ante tempus dell'atto in ritenuto difetto di validi motivi di urgenza. L'Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza di appello, argomentando, tra l'altro, sul pericolo derivante da reiterate condotte penal-tributarie ascrivibili alla società contribuente, che avrebbe costituito una specifica e valida ragione di urgenza per giustificare la notifica anticipata dell'atto impositivo. La Suprema Corte, sezione Tributaria, ha accolto il ricorso agenziale sulla scia di alcuni precedenti arresti giurisprudenziali, ribadendo che «le reiterate condotte penali tributarie del contribuente, unitamente alla sua asserita partecipazione ad una frode fiscale, costituiscono una valida ragione di urgenza» riferibile al contribuente ed al rapporto tributario controverso (v. Cass., Sez. trib., 24 giugno 2014, n. 14287; v. altresì, in motivazione, Cass., Sez. trib., 5 febbraio 2014, n. 2587), con conseguente legittimità dell'avviso di accertamento notificato prima dello spirare del termine dilatorio di sessanta giorni. La Cassazione ha rilevato come – nella specie – le condotte evasive si erano protratte per quattro anni, come affermato dalla stessa C.T.R., e sono consistite in «elementi di fatto che esulano dalla sfera dell'ente impositore e fuoriescono dalla sua diretta responsabilità» (Cass., sez. 6-5, 9 novembre 2015, n. 22786). Ne consegue l'annullamento – con rinvio alla C.T.R. in diversa composizione – dell'impugnata decisione favorevole al contribuente, la quale «ai fini del riconoscimento della deroga fissata dalla legge», avrebbe dovuto dare rilievo alle «reiterate condotte illegali» ravvisabili in capo alla condotta fiscalmente pericolosa della società contribuente. La questione
La questione affrontata dalla sentenza in commento concerne la sospensione delle garanzie procedimentali nei casi di particolare urgenza e, più in generale, la valenza interpretativa dei principi statutari scolpiti in seno alla l. 212/2000, il cui art. 12, comma 7, prevede che «[n]el rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza». Le soluzioni giuridiche
In materia di deroghe al contraddittorio preventivo già nel 2013 le Sezioni unite della Cassazione statuirono che «l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento, determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva». Ad immediato traino – spiegò il plenum di Piazza Cavour – «il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione anticipata, bensì nell'effettiva assenza [storico-fattuale] di detto requisito (esonerativo dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'Ufficio ed investigata dal giudice tributario di merito» (Cass. civ., Sez. unite, 29 luglio 2013, n. 18184). Affermata la regola (nullità ex se dell'atto impositivo), il massimo Consesso, a suo tempo, ha anche estratto la vistosa eccezione (notifica ante tempus in caso di urgenza) che, nel dictum odierno, a sezioni semplici, è riattualizzata: il pericolo derivante da reiterate condotte penali tributarie è, in astratto, un'indubitabile e valida ragione d'urgenza atta a giustificare l'anticipazione della notifica dell'atto impositivo in deroga al termine imposto dalla l. 212/2000, tanto più nel quadro di una supposta partecipazione del contribuente ad una organizzata frode ai danni dell'Erario. Dunque, a fini anticipatori rilevano tutte quelle situazioni di pericolosità sotto il profilo tributario ovvero di rischio di perdita del credito fiscale (periculum dissipationis), di cui l'Amministrazione finanziaria deve dar conto. Nel bilanciamento dei contrapposti valori in gioco (garanzie del contribuente vs. tutela del credito erariale) l'equilibrio complessivo dipende allora dal peso dell'onere della prova gravante sull'Amministrazione finanziaria, la quale – ormai è pacifico nella giurisprudenza di legittimità (prima piuttosto ondivaga in proposito) – non può [più] addurre ragioni di urgenza nel caso di imminente spirare del termine decadenziale dell'azione accertativa di cui all'art. 57 del d.P.R. 633/1972, essendo suo dovere attivarsi tempestivamente per consentire il dispiegarsi del contraddittorio procedimentale (da ultimo v. Cass. civ., Sez. VI-T, 10 aprile 2018, n. 8749, che ha escluso la rilevanza, ai fini della deroga, dell'irreperibilità del contribuente, stante il generale principio di scissione soggettiva nel perfezionamento delle notifiche; Cass. civ., Sez. trib., 16 marzo 2016, n. 5149; Cass. civ., Sez.VI-T, 9 novembre 2015, n. 22786; Cass. civ., Sez. trib., 5 febbraio 2014, n. 2592; contra Cass. civ., Sez. trib., 13 luglio 2012, n. 11944). Perché l'accertamento anticipato sia legittimo, debbono ricorrere circostanze fattuali – come ricorda succintamente anche il dictum odierno – che fuoriescono dalla sfera di azione (e, soprattutto, di inerzia) dell'ente impositore e che riguardino la persona del contribuente ovvero il rapporto tributario controverso. Osservazioni
L'onere di provare l'esistenza di tali ragioni di urgenza ricade come detto sull'Amministrazione finanziaria ma – si badi, è questo il punto più delicato – ciò non significa che l'Ufficio sia tenuto ad enunciare rigorosamente nel corpo dell'atto impositivo i motivi che lo hanno indotto ad anticiparne l'emissione in ossequio al generale obbligo di motivazione di cui all'art. 21-septies della l. 241/1990 e all'art. 7, comma 1, della stessa L. n. 212/2000 (con conseguente eventuale vizio di omessa, inesistente o apparente motivazione). Come statuito dal massimo Consesso, non è determinante la manifestazione (cioè l'esternazione in parte motiva) delle ragioni di urgenza perché ciò che vizia è (solamente) l'effettiva assenza del requisito esonerativo dall'osservanza del termine la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'Ufficio in sede giudiziale, sempreché sia stata attivata dal contribuente. In altre parole – secondo l'orientamento mediano abbracciato dalla Cassazione – a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell'enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine: spetterà, quindi, all'Ufficio l'onere di provare la sussistenza (all'epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale, stabilire l'esistenza di una valida e particolare – cioè non generica ma specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, idonea a giustificare l'anticipazione dell'emissione del provvedimento. |