Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: individuazione dei criteri di scelta e tutela applicabile
11 Settembre 2018
Massima
In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ravvisato nella soppressione di un posto di lavoro in presenza di più posizioni fungibili perché occupate da lavoratori con professionalità sostanzialmente omogenee, il datore di lavoro deve individuare il soggetto da licenziare secondo i principi di correttezza e buona fede e, in questo contesto la l. n. 223 del 1991, art. 5, offre uno "standard" idoneo ad assicurare una scelta conforme a tale canone. La violazione di tali criteri comporta la tutela indennitaria di cui all'art. 18 comma 5, St. lav. (minimo 12, massimo 24 mensilità). Il caso
La Corte di cassazione si è espressa in merito al caso di una lavoratrice licenziata per giustificato motivo oggettivo in seguito alla riduzione dell'appalto di pulizia alla quale era addetta.
L'appalto era stato ridotto per circa 60 ore lavorative settimanali in due stabili a cui erano adibite due lavoratrici addette alla pulizia degli immobili.
Il datore di lavoro aveva individuato la lavoratrice da licenziare in quanto addetta in via esclusiva allo stabile per il quale era stata effettuata la riduzione di orario lavorativo, nonostante questa vantasse un'anzianità di servizio maggiore rispetto alle altre dipendenti impiegate nel medesimo appalto e con mansioni fungibili.
La Corte di appello, riformando la sentenza di primo grado, aveva annullato il licenziamento e condannato il datore di lavoro alla reintegrazione nonché al pagamento dell'indennità risarcitoria pari a 12 mensilità per violazione delle regole di correttezza e buona fede ex art. 1175, c.c., nella scelta dei lavoratori da licenziare.
Dalla violazione della predetta regola ne discende, ad avviso della Corte territoriale, l'insussistenza del nesso causale tra il giustificato motivo oggettivo addotto alla base del licenziamento e il licenziamento stesso rendendo così il fatto manifestamente insussistente.
La Corte di cassazione ha riformato parzialmente la sentenza condividendo le argomentazioni della corte territoriale in ordine ai criteri di scelta, ma ha riconosciuto in caso del mancato rispetto dei criteri di scelta la tutela indennitaria ex art. 18, comma 5, St. lav. Le questioni
La Suprema Corte torna a pronunciarsi in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed, in particolare, sulla spinosa questione dell'individuazione dei criteri di scelta da applicare nel caso di soppressione di un posto cui sono addetti più lavoratori con mansioni fungibili.
Il secondo aspetto attiene all'individuazione delle tutele applicabili in caso di violazione dei criteri di scelta. Le soluzioni giuridiche
Come noto, stante l'assenza di una previsione legale che indichi quali siano i criteri in concreto da seguire nella scelta dei lavoratori dal licenziare nel caso di giustificato motivo oggettivo, è stata la giurisprudenza che ha provveduto alla loro individuazione.
In primo luogo, come ribadito anche dalla sentenza in esame, la scelta dei dipendenti da licenziare non può essere rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro. E ciò emerge ancor di più qualora si debba procedere a licenziamenti quantitativi per riduzione di personale omogeneo e fungibile ove risulta necessario individuare il personale da licenziare con il rispetto di criteri oggettivi e verificabili in concreto (così Cass., 28 marzo 2011, n. 7046, in Arg.dir.lav., 2011, 6, 1376).
Sul punto, nel corso degli anni, sono state elaborate diverse teorie.
Abbandonato l'orientamento, basato sulla diversità ontologica tra licenziamenti individuali e collettivi, che riteneva la piena discrezionalità di scelta datoriale nei soli limiti dei divieti di discriminazione, (in tal senso Cass., 27 novembre 1996, n. 10527, in Mass. giur. it., 1996; Cass., 13 ottobre 2008, n. 25043; Cass., 30 novembre 2010, n. 24235) le tesi ad oggi maggioritarie impongono il rispetto anche nel caso di licenziamento individuale di determinati criteri.
Un primo indirizzo interpretativo, infatti, richiede ai fini della selezione dei lavoratori, l'applicazione analogica dei criteri previsti dall'art. 5, l. n. 223 del 1991, escludendo così a monte il rischio di una scelta arbitraria da parte del datore di lavoro (Cass., 21 dicembre 2001, n. 16144, in Notiz. giur. lav., 2002, 352; Cass., 11 giugno 2004, n. 11124, in Dir. prat. lav., 2009, 30, 1760; Cass., 8 luglio 2016, n. 14021; Trib. Siena, 3 febbraio 2018, n. 23).
Con la prospettiva di valorizzare la discrezionalità imprenditoriale nella libera combinazione dei rapporti di lavoro e dei fattori produttivi ex art. 41, comma 1, Cost., la giurisprudenza ha iniziato a richiedere l'applicazione di criteri in linea con gli obblighi di correttezza e buona fede cui deve essere informato, ex art. 1175, c.c., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, a tal fine, afferma che la l. n. 223 del 1991 offre sicuramente uno standard idoneo a rispettare i principi di buona fede e di correttezza (Cass., 7 dicembre 2016, n. 25192, in Lav. giur., 2017, 3, 253; Trib. Milano, 23 giugno 2017, n. 1471; Cass., 27 ottobre 2017, n. 25653, Cass., 30 agosto 2018, n. 21438, inedita a quanto consta).
Inoltre, il richiamo ai predetti criteri è comunque parziale, dovendosi considerare inoperante (oltre ai criteri di fonte collettiva) il criterio delle esigenze tecnico-produttive e organizzative, proprio in virtù della identità delle posizioni lavorative, per cui la selezione dovrebbe avvenire unicamente in base all'anzianità e ai carichi di famiglia.
Ciò, tuttavia, non esclude la possibilità di adottare criteri ulteriori e diversi rispetto a quelli individuati dalla l. n. 223 del 1991 purché non arbitrari, ma improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati (Cass., 20 settembre 2016, n. 18409; Trib. Milano, 23 giugno 2017, n. 1471; Cass., 27 ottobre 2017, n. 25653), valorizzando altresì parametri che tengano conto delle condizioni personali, sociali e familiari dei lavoratori (Cass., 10 agosto 2016,n. 16897) ed anche alle esigenze dell'organizzazione del lavoro (Cass., 7 agosto 2015, n. 16571).
La sentenza in esame, dopo aver ribadito con chiarezza questo principio, passa ad individuare le tutele applicabili.
Come noto, l'art. 18, St. lav., prevede almeno tre forme differenziate di tutela: al comma 4 è prevista una tutela reintegratoria attenuata, al comma 5 una tutela meramente indennitaria e al comma 6 una tutela indennitaria debole dedicata ai soli casi di illegittimità c.d. formale (vizi di motivazione e procedurali). Il discrimine per l'applicazione del comma 4 o del comma 5 è indicato al comma 7 per cui la tutela reintegratoria attenuata di cui al quarto comma (reintegrazione più indennità risarcitoria fino ad un massimo di 12 mensilità) è applicabile solo nei casi in cui il Giudice accerti la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento. In tutti gli altri casi e comunque nell'ipotesi in cui non ricorrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo, trova applicazione la tutela indennitaria del comma 5 (indennità omnicomprensiva tra le 12 e le 24 mensilità).
La Suprema Corte, sul punto, cassa la sentenza della Corte d'Appello e afferma l'applicabilità della tutela indennitaria di cui al comma 5 (Trib. Bologna, 23 luglio 2013; contra solo isolate pronunce di merito, ad esempio App. Cagliari, 25 novembre 2014, che ritiene debba essere analogicamente applicato il sistema sanzionatorio previsto dalla l. n. 223 del 1991).
La Cassazione conferma la propria interpretazione secondo la quale l'intenzione del legislatore, pur tradottasi in un incerto testo normativo, sia stata quella di riservare il ripristino del rapporto di lavoro ad ipotesi residuali che fungono da eccezione alla regola della tutela indennitaria in materia di licenziamento individuale per motivi economici (Cass., 19 gennaio 2018, n. 1373; Cass., 08 luglio 2016, n. 14021; Cass., 27 ottobre 2017, n. 25653).
Ciò posto il Collegio reputa che nella specie la Corte di appello abbia correttamente inquadrato la fattispecie concreta di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ritenuto illegittimo per violazione dei criteri di scelta, che però non può ricondursi a quella peculiare ipotesi della manifesta insussistenza del fatto, posto che al momento del licenziamento l'impedimento sussisteva ed era in connessione con la disposta riduzione dell'appalto. Osservazioni
La sentenza in commento si inserisce in quel filone giurisprudenziale che impone in capo al datore di lavoro nel caso di licenziamento per g.m.o. di individuare il soggetto da licenziare secondo i principi di correttezza e buona fede.
Come detto, la giurisprudenza fa derivare l'utilizzo degli artt. 1175 e 1375, c.c., dalla supposta diversità ontologica tra licenziamenti individuali e collettivi, che impedirebbe di applicare ai primi l'art. 5, l. n. 223 del 1991.
Tuttavia, merita precisare che con specifico riguardo alle ipotesi di riduzione o di cessazione del contratto di appalto la Corte di Cassazione ha individuato una sorta di doppio binario, specificato anche nella sentenza oggetto di commento (ribadito da ultimo nella sentenza Cass., 30 agosto 2018, n. 21438, inedita a quanto consta).
Per vero, nella giurisprudenza si tende a distinguere tra cessazione integrale dell'appalto e una mera riduzione dello stesso.
Nel primo caso, ove si sia proceduto al licenziamento di tutti i dipendenti addetti al servizio soppresso non deve effettuarsi una valutazione comparativa con il restante personale impiegato in azienda (e adibito alle medesime mansioni) in quanto la sussistenza del nesso di causalità tra ragione organizzativa e produttiva e posizione lavorativa soppressa è sufficiente a rendere legittimo il licenziamento (Cass., 10 agosto 2016, n. 16897).
Al contrario, ed è questo il caso oggetto della pronuncia, qualora le ragioni dell'impresa implichino un riassetto dell'organizzazione aziendale che riguardi più lavoratori con prestazioni di lavoro fungibili, non è sufficiente per il datore fornire la prova della sussistenza delle ragioni e del nesso di causalità, ma è tenuto, altresì, a dimostrare che la selezione tra i vari lavoratori interessati sia avvenuta con il rispetto dei canoni di correttezza e buona fede, i quali in tal modo costituiscono condizioni intrinseche della validità del medesimo diritto. |