Dibattimento a distanza e imputato in 41-bis: la videoconferenza è ammissibile solo se il regime detentivo speciale è attuale
02 Luglio 2018
Massima
In tema di partecipazione a distanza dell'imputato, l'espressione sono state applicate le misure di cui all'art. 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, così come ribadita nell'art. 146-bis, comma 1-ter, disp. att. c.p.p. di recente introduzione, deve essere interpretata in senso contestuale e cioè per cui tale modalità di partecipazione permane per i soli casi in cui la disciplina penitenziaria sia in atto e non anche quando l'imputato sia stato sottoposto a tale regime in passato ma non lo sia più al momento della celebrazione del processo. Il caso
La vicenda giudiziaria giunge alla Corte di cassazione con ricorso dell'imputato formulato avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Messina con la quale si confermava, se pur parzialmente, la condanna inflitta in primo grado e si riteneva, altresì, infonda l'eccezione sollevata relativamente all'applicazione dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p. Più precisamente, in fase dibattimentale, i difensori dell'imputato avevano eccepito, alla prima udienza utile, l'omessa comunicazione a uno dei due del decreto con cui il tribunale di Messina disponeva la partecipazione a distanza del loro assistito; accolta l'eccezione, il tribunale aveva rinviato ad altra udienza per rinnovare la comunicazione del decreto al difensore. Durante l'udienza di rinvio, i difensori eccepivano ex novo la mancanza delle condizioni di cui all'art. 146-bis disp. att. c.p.p. stante il fatto che il processo in corso riguardasse un reato non ricompreso tra quelli di cui agli artt. 51, comma 3-bis, e 407, n. 4, c.p.p.: il tribunale, quindi, rigettava quest'ultima eccezione ritenendo tardiva la formulazione e, comunque, interpretando come possibile l'applicazione della partecipazione a distanza anche per reati comuni e nei confronti di soggetti detenuti al quale erano state applicate in passato le misure ex art. 41-bisord. pen. Anche la Corte di appello, come già visto, rigettava la medesima eccezione riproposta con atto di gravame, ritenendola infondata in quanto, si diceva, la parte era decaduta dal diritto di formulare l'eccezione essendo intempestiva e, comunque, la misura dell'art. 41-bis ord. pen. inflitta precedentemente forniva un giudizio di pericolosità utile a motivare l'emissione del decreto ex art. 146-bis disp. att. c.p.p. La questione
La questione affrontata nel corso del processo, superato l'aspetto della proposizione intempestiva su cui si tratterà più avanti, riguarda l'applicazione della video conferenza per imputato non più sottoposto al regime detentivo ex art. 41 bis ord. pen. La Corte di appello, in linea con il tribunale, riteneva infondata l'eccezione relativa all'applicazione della video conferenza ex art. 146-bis disp. att. c.p.p. a carico di imputato sottoposto a processo per un delitto diverso da quelli indicati nell'art. 51, comma 3-bis, e nell'art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p.; la Corte, infatti, interpretava l'art. 146-bis, comma 1-bis, disp. att. c.p.p. riferendosi alla formulazione precedente la riforma operata con la legge 103/2017 che consentiva di disporre la partecipazione a distanza anche quando l'imputato fosse stato sottoposto in passato al regime penitenziario di cui all'art. 41-bis ord. pen., valido, quindi, come un giudizio di pericolosità. Su questo punto, la Suprema Corte ritiene, tuttavia, corretta la doglianza difensiva (anche se, come si vedrà avanti, senza alcun successivo effetto di annullamento). Per chiarire il passaggio, la Corte di cassazione anzitutto richiama la norma precedente alla modifica con art. 1, commi 77 e 81, l. 103/2017, che prevedeva «Fuori dai casi previsti dal comma 1, la partecipazione al dibattimento avviene a distanza anche quando si procede nei confronti di detenuto al quale sono state applicate le misure di cui all'art. 41-bis, comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché, ove possibile, quando si deve udire, in qualità di testimone, persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario, salvo, in quest'ultimo caso, diversa motivata disposizione del giudice». In base al vecchio tenore della norma, insomma, era possibile applicare la videoconferenza anche per una situazione soggettiva di tipo detentivo (il regime del 41-bis ord. pen.) subìto in passato e anche oltre la previsione dei reati per i quali si procedeva. Oggi, evidenzia la Corte di cassazione, con il nuovo art 146-bis, comma 1-ter, disp. att. c.p.p. la formula sono state applicate le misure di cui all'art 41-bis equivale alla necessità di una verifica di contestualità o meno della medesima misura detentiva che, solo se in atto, sarà motivo per disporre la videoconferenza processuale, non anche se subìta in passato, condividendo l'assunto difensivo del motivo di impugnazione. Tuttavia, la Corte di cassazione affronta in sentenza anche l'aspetto preliminare, che poi determina il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza di merito: viene, infatti, confermata l'intempestività della proposizione dell'eccezione di nullità del decreto che disponeva la partecipazione a distanza, stante la carenza di condizioni di cui all'art. 146-bis disp. att. c.p.p., perché proposta alla seconda udienza dibattimentale mentre, ricorda la Suprema Corte, si tratta di una nullità di ordine generale ma a regime intermedio e, quindi, necessariamente eccepibile alla prima udienza utile e prima della definitività del provvedimento eccepito. Le soluzioni giuridiche
Sul problema giuridico relativo all'applicabilità o meno della videoconferenza per chi è stato sottoposto in passato al regime detentivo previsto dall'art. 41-bis ord. pen., la Corte afferma: «Ad avviso del Collegio sono state applicate le misure di cui all'art. 41-bis equivale a dire, nella previsione attuale come in quella previgente risultano applicate. Il riferimento, in altri termini, è a una situazione in atto e non, come ritengono i giudici siciliani di primo e secondo grado, anche ad una situazione relativa al passato. […] diversamente opinando, si produrrebbe un'interpretazione estensiva della norma che non pare corrispondere alla ratio legis, quasi a creare un “marchio” di pericolosità permanente per tutti coloro cui sia stata applicata, anche in passato, la misura in questione, anche se poi revocata» Osservazioni
Inutile negare che nella c.d. riforma Orlando le modifiche relative alla partecipazione a distanza siano scaturite da esigenze di rafforzamento del c.d. doppio binario. Come ampiamente segnalato da diversi autori, però, pare che si sia andati anche oltre la logica del doppio binario in quanto il processo in corso in cui si effettua la videoconferenza non deve essere più necessariamente in materia di criminalità organizzata: ciò che è essenziale, quindi, è che lo stato detentivo dell'interessato sia per uno dei reati di grave allarme sociale, tanto da poter disporre la partecipazione a distanza nel caso in cui il detenuto sia imputato anche “a piede libero” oppure se lo stesso debba essere sentito come testimone in udienze penali o civili. Non si può che condividere, quindi, la tesi di chi afferma che «È così stato delineato quello che potemmo definire uno statuto processuale del detenuto – in attesa di giudizio o condannato, non necessariamente in via definitiva – per reati in materia di criminalità organizzata, spostando l'accento dall'oggetto del procedimento in corso [...] alla causa della detenzione» e ancora che in questo modo si sono mutuati «[…] espandendoli, i parametri fino ad oggi presupposto per il dibattimento a distanza nei soli casi di procedimenti in materia di criminalità organizzata per allargare a dismisura la portata dell'istituto, destinato evidentemente – a volere scrutare la voluntas legis – a diventare sempre più la “normalità” nei dibattimenti che vedono coinvolti soggetti non in libertà, qualunque sia la natura del procedimento che ha originato lo status detentionis». (S. LORUSSO, Dibattimento a distanza vs. autodifesa?, in rivista Dir. pen. cont., 17 maggio 2017). I princìpi dell'oralità e del contraddittorio e l'esercizio del diritto di difesa, nella riforma introdotta con la legge 103 del 23 giugno 2017, paiono quasi dissolversi tra le molteplici esigenze di economia e rapidità processuale, imponendo un binario processuale diverso da quello ordinario che conduce a «[…] una dimensione quasi surreale» (G. SPANGHER, La riforma Orlando della giustizia penale: prime riflessioni, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 1/2016). Solo fuori dai casi previsti nei primi tre commi dell'art. 146-bis disp. att. c.p.p., con il comma 1-quater la norma rientra nell'antica oggettività che, riferendosi in generale a qualunque processo, attribuisce al giudice la possibilità di disporre la partecipazione a distanza «qualora sussistano ragioni di sicurezza, qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, ovvero quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario». Decisamente diversa e, tuttavia, come abbiamo letto, dirimente rileva la questione sulla tardività dell'eccezione di nullità proposta. Per quanto il ragionamento del Supremo Collegio sia basato sulla lettura puntuale delle norme codicistiche previste in tema di nullità, ad avviso di chi scrive è necessario evidenziare un gap esistente nella prassi processuale: si confonde, infatti, la natura di conoscenza degli atti quale componente del diritto di difesa con la natura di conoscenza quale presupposto alla preparazione tecnica della difesa. Nel caso in commento, i difensori alla prima udienza utile avevano eccepito la mancata corretta notifica a uno degli stessi del decreto che disponeva la partecipazione a distanza dell'imputato; il tribunale aveva accolto e disposto rinvio e, solo all'udienza di rinvio, la difesa aveva eccepito la nullità del decreto sulla video conferenza. Si può sostenere, in questo caso, che essendo la difesa composta da due difensori ed avendo, uno dei due, ricevuto il decreto in esame, essi avevano avuto tempo e modo per esaminarlo e preparare la relativa eccezione; ma immaginiamo una difesa monopersonale: come può il difensore argomentare correttamente un'eccezione di nullità senza aver avuto tempestivamente e correttamente notizia del provvedimento eccepibile e, quindi, senza averlo potuto esaminare e studiare precedentemente all'udienza? Un tema, questo, ancora più gravido di effetti processuali, per quanto, duole segnalare, carente di approfondimenti dottrinari, solo che si pensi a quella pronuncia delle Sezioni unite che ha statuito come l'intervento del difensore sia un'attività di partecipazione e non di mera assistenza, avendo egli pari facoltà tecnico-processuali del pubblico ministero, così che l'effettività della difesa non può essere ridotta ad una mera formale presenza senza alcun diritto a padroneggiare adeguatamente il materiale di causa (Cass. pen., Sez. unite, 21 luglio 2016, n. 41432).
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