La “porta in faccia” della Cassazione all’impugnazione dell’ordinanza di rigetto del reclamo avverso il provvedimento di archiviazione
08 Giugno 2018
Massima
L'ordinanza di rigetto del reclamo, proposto avverso il provvedimento di archiviazione, non è impugnabile in sede di legittimità – mai e in nessun caso – anche quando il giudice monocratico abbia dato luogo alla propria decisione in violazione delle garanzie del contradditorio: l'unico rimedio esperibile, in tali casi, è quello della istanza di revoca, proponibile allo stesso giudice. Il caso
Il giudice per le indagini preliminari, in seguito all'opposizione della persona offesa, emette decreto di archiviazione. Il difensore della persona offesa impugna il decreto di archiviazione dinanzi al tribunale in composizione monocratica, formulando reclamo ex art. 410-bis c.p.p. Il giudice monocratico, senza dar luogo agli adempimenti previsti dalla legge in merito alle formalità preliminari alla propria decisione, rigetta il reclamo dichiarandolo inammissibile in quanto «non si confronta, se non del tutto genericamente, con le argomentazioni poste dal Gip a base della decisione e dell'inconferenza degli accertamenti istruttori richiesti». Propone ricorso per cassazione la difesa della persona offesa articolando due motivi, il primo dei quali avente a oggetto la violazione di legge (art. 178, comma 1, lett.c), c.p.p.) derivante nell'omesso avviso sia della fissazione dell'udienza per la decisione del reclamo che della comunicazione della facoltà di presentare memorie fino a cinque giorni prima della celebrazione della stessa. La difesa sottopone al vaglio dei giudici di legittimità anche la questione di legittimità costituzionale dell'art. 410-bis c.p.p. «nella parte in cui non prevede la possibilità di proporre impugnazione in presenza di una palese violazione del diritto di difesa […] in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.». La questione
La legge 103 del 23 giugno 2017 ha introdotto l'art. 410-bis c.p.p. con la finalità, allo stesso tempo, di dare una disciplina uniforme e coerente ai provvedimenti di archiviazione, sotto il profilo dei vizi della loro formazione, e di ripensarne totalmente il regime della impugnabilità. Si è, pertanto, dapprima, racchiuso sotto la denominazione provvedimenti di archiviazione – in tal senso la rubrica della stessa norma – sia quelli adottati dal giudice per le indagini preliminari (con decreto) de plano che quelli assunti all'esito dell'apposita udienza camerale (con ordinanza) per poi articolare relativamente ad essi il variegato profilo delle nullità. Per quanto riguarda, invece, il regime dell'impugnabilità di tali decisioni si è aderito a una drastica impostazione deflazionistica con la previsione del divieto di accedere al ricorso per cassazione, “compensando” il venir meno di tale garanzia con la creazione di un ibrido mezzo d'impugnazione (quello del reclamo) dinanzi ad un giudice di merito («può proporre reclamo innanzi al tribunale di composizione monocratica»). Mentre nel primo comma dell'art. 410-bis c.p.p. il legislatore detta tutti i motivi formali che possono determinare la nullità del decreto di archiviazione nel secondo, che si occupa dell'ordinanza, li circoscrive a quelli individuati dall'art. 127, comma 5, c.p.p. sulla scia di quanto disposto dall'art. 409, comma 6, c.p.p. ora abrogato. Alcun dubbio può esservi sul fatto che una volta ricevuto il reclamo (la cui prima valutazione attiene alla tempestività) il tribunale in composizione monocratica deve provvedere alla fissazione dell'udienza, (da svolgersi in camera di consiglio ma senza partecipazione delle parti), dandone avviso agli interessati e, contestualmente, comunicando loro la facoltà di presentare memorie «non oltre il quinto giorno precedente l'udienza». Se lo scopo del Legislatore è stato quello di sbarrare la strada all'accesso in sede di legittimità di tale materia, - scopo perseguito a mezzo della previsione che qualsiasi decisione assunta (con ordinanza) dal tribunale in composizione monocratica, a seguito di reclamo, non (è) impugnabile –, occorre chiedersi cosa avviene quando le garanzie del contraddittorio sono violate dal giudice del reclamo. Nella pronuncia in esame i giudici di legittimità non solo ripercorrono le argomentazioni poste a fondamento della sostenibilità “costituzionale” di uno sbarramento dell'impugnazione in Cassazione, – anche nel rispetto dei principi sovranazionali –, ma ritengono di avere trovato il rimedio adatto a superare eventuali lesioni delle garanzie del contradditorio nell'istanza di revoca al giudice (monocratico) che ha deciso il reclamo, attesa la natura non definitoria del provvedimento assunto.
Le soluzioni giuridiche
I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, hanno affermato i seguenti principi di diritto :
Osservazioni
L'impostazione dei giudici di legittimità, nella decisione in commento, ribalta, in modo chiaro e netto, il piano della discussione preferendo partire, nella propria minuziosa analisi, dalla conformità della nuova disciplina dell'art. 410-bisc.p.p. ai principi costituzionali e sovranazionali per porre, sullo sfondo, – ove del resto rimarrà confinata –, la questione, lamentata nel ricorso, della lesione delle garanzie del contraddittorio. Non si mette in discussione che quest'ultima si sia verificata ma la si pospone nel bilanciare gli interessi in gioco, “sacrificandola” sull'altare della non impugnabilità, in forza dell'argomentazione, tanto chiara quanto spiazzante, che «ritenere violato il diritto di difesa […] solo perché avverso una decisione in “seconda battuta” non sia previsto un ulteriore controllo significa prefigurare come costituzionalmente necessaria la proponibilità di impugnazioni tendenzialmente all'infinito». Se l'intero percorso argomentativo della Corte appare sostanzialmente condivisibile quel che convince di meno è il precipitato finale dello stesso laddove si propone di rimediare l'eventuale lesione del diritto di difesa – la “suprema” violazione di legge, affidata alla sede naturale della legittimità – alla richiesta di revoca del provvedimento di rigetto assunto dal giudice del reclamo. Ma andiamo per ordine. Senz'altro decreti ed ordinanze di archiviazione non possono, per loro natura, essere pienamente equiparabili alle sentenze, ed alle garanzie per esse previste dal comma 7 dell'art. 111 della Costituzione, – («contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giudiziari ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso per violazione di legge») -, tant'è che le numerose decisioni della Consulta in ordine alla legittimità costituzionale dell'art. 409, comma 6, c.p.p. (ora abrogato) sono sempre state in tale solco «stante l'intrinseca differenza fra le sentenze e altri provvedimento sforniti di uno specifico valore decisorio che non sia quello “rebus sic stantibus”, come l'ordinanza o il decreto di archiviazione». Anche il richiamo alla «elaborazione della giurisprudenza civile in ordine alla nozione “costituzionale” di “sentenza”» appare pertinente, soprattutto tenendo in considerazione che lo strumento del reclamo è mutuato proprio da tale sede, ma anche in questo caso il piano del ragionamento resta fondato sul tipo di provvedimento cui è connessa la garanzia e non su quest'ultima, e sull'effettiva “rivoluzione” processuale che è intervenuta con l'introduzione dell'art. 410-bis c.p.p. Mentre, in precedenza, si ragionava sul limite dell'impugnabilità relegando, con equilibrio, quest'ultima, ai soli casi di nullità previsti dall'art. 127, comma 5, c.p.p. – così come era sancito dall'art. 409, comma 6, c.p.p. –, con la nuova disciplina, introdotta dalla legge 103/2017, l'accesso alla sede di legittimità non solo è stato del tutto sbarrato ma si è affidata la cura della violazione di legge ad un giudice di merito. Se, pertanto, può essere condivisibile l'affermazione che l'ordinanza di reclamo «non può avere una più ampia efficacia di accertamento sui fatti oggetto di investigazione», per cui eventuali impugnazioni aventi ad oggetto valutazioni di “merito”possono trovare il suggello finale in quella sede, senza cioè potere accedere alla sede di legittimità, ben più difficilmente ciò può essere sostenuto riguardo a vizi di formazione della decisione assunta che attengano alla lesione del contraddittorio. Affermare, dapprima, la non impugnabilità dell'ordinanza emessa in sede di reclamo e poi inferire da quest'ultima cosa accade della violazione di legge legata alla omessa garanzia del contraddittorio vuol dire, come sostenuto nella premessa di queste osservazioni, scindere indebitamente la stretta attinenza delle questioni spostandole su di un piano già predeterminato e, per ciò solo, di evidente ripiego - (più che di rimedio effettivo ed efficace). Anche qui, nella soluzione “inventata”, c'è un certo squilibrio dei valori in campo e, soprattutto, nessuna certezza che lo strumento processuale individuato sia di effettiva efficacia. Prendere atto che «l provvedimento di controllo è stato pronunciato, come accaduto nella specie, con violazione del diritto al contraddittorio dell'istante”, ritenere “doveroso esaminare se siano ipotizzabili rimedi”, sostenere che “se la legge prevede un rimedio avverso una decisione, il soggetto al quale il mezzo è attribuito deve poterne effettivamente fruire», evidenziare che «siccome l'art. 410-bis c.p.p. prevede che le parti debbono essere avvisate dell'udienza fissata per decidere sul reclamo almeno dieci giorni prima della stessa e, pur non avendo facoltà di intervenirvi, possono presentare memorie fino a cinque giorni prima della data stabilita, è necessario assicurare al reclamante la possibilità di interloquire con memoria prima che il giudice adito avverso il provvedimento di archiviazione assuma la decisione richiesta” e, soprattutto, sottolineare che “la violazione del diritto al contraddittorio nel procedimento di cui all'art. 410-bis c.p.p. comporta una nullità di ordine generale, la quale, in caso di rigetto o dichiarazione di inammissibilità del reclamo, e in assenza di rimedi esperibili, non potrebbe essere mai dedotta” finiscono per apparire come mere, e vuote, petizioni di principio laddove la conclusione di tutto questo argomentare si risolve nella “richiesta di revoca del provvedimento adottato dal giudice del reclamo in difetto di contraddittorio, invocata sul presupposto di tale vizio». Ebbene, al di là del fatto che appare alquanto paradossale che si suggerisca un rimedio nella consapevolezza che esso è stato per situazione del tutto analoghe – revoca del decreto di archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari nella accertata violazione del contraddittorio –, ritenuto abnorme dagli stessi giudici di legittimità, sulla base del fatto che prima era previsto il ricorso per cassazione mentre ora, invece, esso è stato abrogato, non può non evidenziarsi che, come il dispositivo della decisione assunta rende evidente, limitandosi a dichiarare inammissibile il ricorso senza poter dar luogo ad alcun rinvio al giudice gravato, alcuna cogenza nasce dal principio affermato potendo tutt'al più attribuirglisi la valenza di mera persuasione deontologica. Inoltre, è lecito, retoricamente, chiedersi, – nel silenzio adottato sul punto dalla Corte - cosa avviene se l'istanza di revoca della decisione di rigetto assunta con il reclamo avverso il provvedimento di archiviazione, “invocata sul presupposto di tale vizio” viene rigettata dal giudice monocratico? E, ad essere ancor più pessimisti, cosa avviene quando la medesima lesione trova compimento, dapprima, nella fase decisoria del giudice per le indagini preliminari e, poi, viene disattesa dal giudice del reclamo il quale alla prima lesione del diritto al contraddittorio “aggiunge” anche la sua? Guida all'approfondimento
C. PANSINI, Il reclamo avverso il provvedimento archiviativo, in ilPenalista.it. |