Grave infermità psichica e conseguente incompatibilità con il regime detentivo carcerario
27 Aprile 2018
Massima
Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1-terord. pen. nella parte in cui detta disposizione non include tra i presupposti della detenzione domiciliare “in deroga” l'ipotesi dell'infermità psichica sopravvenuta, contrastando la norma con i parametri costituzionali rappresentati dai contenuti degli articoli 2, 3, 27, 32 e 117 Cost. Il caso
Il tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava l'istanza, proposta da un soggetto sottoposto a detenzione in carcere, volta ad ottenere il differimento dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 147 c.p.: in particolare, il Collegio rilevava come il detenuto fosse affetto esclusivamente da un disturbo di natura psichica, inquadrato in termini di «grave disturbo misto di personalità, con predominante organizzazione border line in fase di scompenso patologico», con conseguente non applicabilità della sospensione ai sensi dell'art. 147 c.p., in quanto normativa che prende in esame unicamente la condizione di infermità fisica e non quella di infermità psichica. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il detenuto interessato, rilevando, da un lato, come la particolare gravità della sua patologia avesse già in passato determinato l'applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47-ter, comma 1, ord. pen., e, dall'altro, che il caso avrebbe dovuto essere inquadrato nella previsione di legge di cui all'art. 148 c.p., trattandosi di infermità psichica sopravvenuta tale da impedire l'esecuzione della pena; veniva chiesto, in alternativa, il ricovero in luogo esterno di cura. Infine, il ricorrente lamentava la mancata esecuzione di una perizia, e rilevava che la gravità della patologia psichica avrebbe dovuto indurre il tribunale di sorveglianza a ritenere probabili le ricadute sul piano fisico, e che, in ogni caso, la prosecuzione della detenzione avrebbe determinato una condizione contraria al senso di umanità. La questione
I giudici della Suprema Corte affrontano la problematica relativa al trattamento normativo del detenuto affetto da grave infermità psichica sopravvenuta nel corso dell'esecuzione, ribadendo, in primo luogo, un consolidato indirizzo giurisprudenziale in virtù del quale «il soggetto portatore di infermità esclusivamente di tipo psichico – sopravvenuta alla condanna – non può accedere, […] agli istituti del differimento obbligatorio o facoltativo della pena previsti dagli articoli 146 e 147 c.p.». Quindi, esaminando il tema, sollevato dal ricorrente, relativo all'omessa pronunzia da parte del tribunale di sorveglianza di Roma in ordine all'applicabilità o meno della previsione di legge di cui all'art. 148 c.p., sul presupposto dell'intervenuta implicita abrogazione della norma di cui all'art. 148 c.p. a opera del d.l. 52/2014, convertito dalla legge 81/2014, e della inesistenza nel sistema dell'esecuzione penale di strumenti alternativi idonei ad assicurare la conformità del trattamento del soggetto ai principi costituzionali ed a quelli contenuti nella Convenzione Edu, rilevano come non sia conforme ai parametri costituzionali la mancata previsione, ad opera dell'art. 47-ter comma 1-ter,ord. pen., della possibilità che anche il differimento dell'esecuzione della pena a causa di infermità psichica grave e sopravvenuta si attui con le modalità della detenzione domiciliare. Le soluzioni giuridiche
Nel caso in esame, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in materia di differimento dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 147 c.p. in ipotesi di grave infermità psichica e ha ribadito, come sopra indicato, un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui non è ammessa la sospensione della pena di carattere facoltativo nei confronti di chi sia affetto da sofferenza o patologia psichiatrica che non comporti altresì uno stato di grave infermità fisica (ossia gravi ricadute organiche) non fronteggiabile in ambiente carcerario o tale da rendere l'espiazione della pena contraria, per le eccessive sofferenze, al senso di umanità (da ultimo Cass. pen., Sez. I, 28 gennaio 2015, n. 37615); diversamente, la sopravvenienza di una grave infermità psichica o di una patologia psichiatrica nella persona condannata costituisce evenienza disciplinata dall'art. 148 c.p., che impone al giudice l'obbligo di ordinare il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia del condannato affetto da infermità psichica tale da impedire l'esecuzione della pena (Cass. pen., Sez. I, 15 ottobre 1996, n. 5220; Cass. pen., Sez. I, 27 maggio 2008, n. 26806). Ciò posto, la Suprema Corte ha evidenziato come l'ordinanza impugnata avesse omesso di considerare l'applicabilità o meno, nel caso di specie, della norma di cui all'art. 148 c.p., che testualmente prevede: «Se, prima dell'esecuzione di una pena restrittiva della libertà personale o durante l'esecuzione, sopravviene al condannato un'infermità psichica, il giudice, qualora ritenga che l'infermità sia tale da impedire l'esecuzione della pena, ordina che questa sia differita o sospesa e che il condannato sia ricoverato in un ospedale psichiatrico giudiziario, ovvero in una casa di cura e custodia. Il giudice può disporre che il condannato, invece che in un ospedale psichiatrico giudiziario, sia ricoverato in un ospedale psichiatrico civile, se la pena inflittagli sia inferiore a tre anni di reclusione o di arresto, e non si tratti di delinquente o contravventore abituale o professionale o di delinquente per tendenza. Il provvedimento di ricovero è revocato, e il condannato è sottoposto all'esecuzione della pena, quando sono venute meno le ragioni che hanno determinato tale provvedimento». E ciò alla luce dell'orientamento sopra riportato, secondo cui l'art. 148 c.p. è unica norma applicabile in caso di infermità psichica che determini incompatibilità delle condizioni di salute con il regime detentivo. La Corte di cassazione, con l'ordinanza in esame, ha affermato che tale disposizione di legge è divenuta inapplicabile per effetto di abrogazione implicita derivante dal contenuto degli interventi legislativi succedutisi tra il 2012 e il 2014, che hanno determinato la “chiusura” degli ospedali psichiatrici giudiziari: da un lato, non può ipotizzarsi, rileva la Suprema Corte, il subingresso delle Rems nelle precedenti funzioni svolte dagli O.P.G. e di cui all'art. 148 c.p., in quanto le residenze, per definizione legislativa, sono luoghi di esecuzione delle sole misure di sicurezza; dall'altro, non assume rilevanza la previsione di cui alla lettera d) del comma 16, della legge delega 103/2017, che prevede l'assegnazione alle Rems anche dei soggetti portatori di infermità psichica sopravvenuta durante l'esecuzione, in quanto trattasi, appunto, di delega non ancora attuata. Al contempo, la Suprema Corte ha evidenziato come non sussistano, nel sistema dell'esecuzione penale, alternative alla detenzione carceraria per il soggetto che stia espiando una pena superiore a quattro anni, ovvero per reato ricompreso nell'elencazione di cui all'art. 4-bis ord. pen., stante l'impossibilità di usufruire della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1, ord. pen., ma soprattutto della detenzione domiciliare c.d. in deroga di cui all'art. 47-ter,comma 1-ter, ord. pen., disposizione che prevede che «Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre l'applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare» e che non richiama espressamente la norma di cui all'art. 148 c.p. Allo stato attuale, osserva la Corte, l'unica risposta dell'ordinamento nei confronti del soggetto affetto da grave infermità psichica è il mantenimento della condizione detentiva e l'affidamento esclusivo al servizio sanitario reso in ambito penitenziario, mediante l'allocazione presso una delle Articolazioni per la tutela della Salute Mentale, dedicate all'accoglienza dei detenuti appartenenti a specifiche categorie giuridiche in precedenza ospitate negli O.P.G., allocazione che non sarebbe il frutto di un provvedimento giurisdizionale (come accadeva in precedenza per il collocamento in O.P.G.), quanto di una decisione dell'Amministrazione penitenziaria, che, oltre a non essere sottoposta ad alcuna previa verifica di idoneità del trattamento da parte della magistratura di sorveglianza, e pur non totalmente discrezionale, potrebbe essere ostacolata da “fattori non dominabili”, quali ad esempio il sovraffollamento delle strutture. Pertanto, tale essendo il regime normativo applicabile, la disposizione dell'art. 47-ter, comma 1-ter, ord. pen. si pone, a giudizio della Suprema Corte, in contrasto con i parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 27, 32 e 117 Cost. In primo luogo, vi sarebbe disparità di trattamento tra i soggetti in esecuzione pena portatori di una patologia psichica sopravvenuta – al più collocabili in una delle Articolazioni per la tutela della Salute Mentale di cui si è detto – e i soggetti portatore di infermità psichica tale da escludere la capacità di intendere e di volere al momento del fatto, in ipotesi di accertata pericolosità sociale, in quanto questi ultimi sono sottoponibili al trattamento riabilitativo presso le REMS e, quindi, diversamente dai primi, verrebbero tutelati sul piano delle prevalenti necessità terapeutiche. Ulteriore ragione di contrasto viene ravvisata nella compromissione della tutela del bene primario della salute (art. 32 Cost.), con conseguente sussistenza, in ipotesi di mantenimento della condizione detentiva nonostante la presenza di gravi patologie, di un trattamento contrario al senso di umanità (art. 27, comma 3, Cost.) o inumano o degradante (art. 3 Convenzione Edu): la impossibilità di garantire al condannato la cura della salute mentale, per i limiti di applicabilità della detenzione domiciliare c.d. in deroga, determinerebbe, dunque, il dubbio di legittimità costituzionale con riferimento ai parametri costituzionali sopra indicati, «sia in virtù della indebita contrazione dei poteri giurisdizionali che per quanto attiene il bisogno di effettività dei diritti inviolabili della persona umana». Infine, sussiste, a giudizio della Corte, contrasto anche con riferimento all'art. 117 Cost., in rapporti ai contenuti dell'art. 3 Convenzione Edu, secondo cui nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti, atteso che «lì dove la protrazione del trattamento detentivo, per la particolare gravità della patologia riscontrata, per la inadeguatezza delle cure prestate, per la assenza delle condizioni materiali idonee, risulti contraria al senso di umanità e rischi di dar luogo ad un trattamento degradante, è preciso dovere della autorità giurisdizionale provvedere all'interruzione della carcerazione»; diversamente, «la protrazione della detenzione del soggetto affetto da grave infermità psichica si espone a rischio concreto di violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti», divenuto, ormai anche nell'ordinamento italiano (artt. 35-bis e 35-ter ord. pen.), regola fondante del sistema della tutela dei diritti dei detenuti e degli internati. Osservazioni
È ampiamente consolidato, come detto, e ormai pacifico, l'indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo cui non è ammessa la sospensione della pena di carattere facoltativo (art. 147 c.p.) nei confronti di chi sia affetto da sofferenza o patologia psichiatrica che non comporti altresì uno stato di grave infermità fisica, ragion per cui il meccanismo di differimento previsto dalla norma non può trovare applicazione nei casi di condannato affetto da una grave infermità psichica che ne determini la incompatibilità con il regime detentivo ordinario. L'unica norma applicabile, in caso di infermità psichica sopravvenuta, è individuabile nell'art. 148 c.p., che prevede la possibilità per il magistrato di sorveglianza (il relativo procedimento è di esclusiva competenza dell'organo monocratico cfr. art. 69, comma 8, ord. pen.), all'esito del periodo di osservazione psichiatrica previsto dall'art. 112 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, di ordinare il ricovero del condannato in «ospedale psichiatrico giudiziario ovvero in una casa di cura e custodia» qualora «l'infermità sia tale da impedire l'esenzione della pena». Tale norma, invero, sembra trovare un residuo spazio di applicabilità laddove è possibile disporre la collocazione del condannato in una delle Articolazioni per la tutela della Salute Mentale, presenti negli Istituti di pena ordinari, con conseguente superamento dei dubbi prospettati dalla Suprema Corte in ordine al carattere non giurisdizionale di tale provvedimento, ma non anche delle forti perplessità relative non soltanto alla possibilità che “fattori non dominabili” possano ostacolare in concreto la sua attuazione, quanto soprattutto alla constatazione che poco o nulla muta in tal caso con riferimento al trattamento sanitario, dato che comunque persiste il regime detentivo carcerario, con tutti gli inevitabili limiti che esso comporta con riferimento ai possibili interventi terapeutici attuabili in questi casi. D'altro canto, anche volendo convenire con la ipotizzata intervenuta tacita abrogazione della norma di cui all'art. 148 c.p., potrebbe risultare percorribile – al fine di assicurare la necessaria tutela al detenuto affetto da infermità psichica sopravvenuta – la strada interpretativa alternativa prospettata dal tribunale di sorveglianza di Messina con ordinanza pronunciata in data 28 febbraio 2018 (inedita, pubblicata sul sito conams.it), con la quale è stata concessa la detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter, comma 1-ter, ord. pen. a un condannato a pena detentiva superiore ad anni quattro, affetto da grave infermità psichica (tale da determinare uno stato di incompatibilità con il regime detentivo carcerario). Tale decisione, sul presupposto dell'intervenuta abrogazione tacita dell'art. 148 c.p., ha ritenuto di poter colmare tale «vuoto normativo» con «il ricorso allo strumento dell'analogia e con la conseguente applicazione dell'istituto di cui all'art. 147 c.p. e/o di quello di cui all'art. 47 ter comma 1 ter O.P.»: ciò al fine, per il tramite di una interpretazione costituzionalmente (e convenzionalmente) orientata della norma, di assicurare la dovuta tutela alle condizioni di salute del detenuto affetto da grave infermità psichica sopravvenuta e di evitare possibili discrasie rispetto ai principi costituzionali di cui agli artt. 3, 27, 32 e 117 Cost. In sintesi, il principio che si afferma riguarda la possibilità di equiparare l'infermità fisica all'infermità psichica, al fine di tutelare anche nel secondo caso il diritto alla salute del condannato e di assicurargli la possibilità di ricevere cure adeguate mediante il differimento dell'esecuzione della pena, disposto eventualmente nelle forme della detenzione domiciliare. La complessità e problematicità del quadro normativo attuale è ben nota anche al legislatore, che, difatti, come richiamato anche dall'ordinanza che si commenta, con la legge 103 del 2017, all'art. 1, comma 16, lett. d), ha conferito delega al Governo avente ad oggetto la previsione della destinazione alle Rems in via prioritaria dei soggetti, dichiarati socialmente pericolosi, per i quali lo stato di infermità sia stato accertato come presente al momento del fatto, ma altresì dei soggetti per i quali l'infermità di mente sia sopravvenuta durante l'esecuzione della pena, oltre che degli imputati sottoposti a misura di sicurezza provvisoria e di tutti coloro per i quali occorra accertare le condizioni psichiche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari non siano idonee a garantire i necessari trattamenti terapeutico-riabilitativi. Lo schema di decreto legislativo A.G. n. 501, il cui iter di approvazione è tuttora in corso, in attuazione della delega di cui all'art. 1, comma 85, lettera l) della legge 103/2017, all'art. 1 ha previsto la possibilità di disporre il differimento dell'esecuzione della pena di cui all'art. 147, comma 1, n. 2) c.p. anche nell'ipotesi di grave infermità psichica, ed ha contestualmente abrogato l'art. 148 c.p.; all'art. 2, comma 1, lett. b) ha previsto l'introduzione del nuovo art. 11 bis ord. pen., che contempla la procedura di accertamento delle infermità psichiche ai fini dell'adozione, tra l'altro, del provvedimento di cui all'art. 147 c.p., contestualmente al comma 4 abrogando l'art. 112 d.P.R. 230/2000; all'art. 2, comma 1, lett. c) ha previsto che l'assegnazione alle Sezioni speciali di cui all'art. 65 ord. pen. - ad esclusiva gestione sanitaria – avvenga unicamente quando non sia applicabile una misura alternativa alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da infermità psichiche sopravvenute o per i quali non sia possibile disporre il rinvio dell'esecuzione della pena ai sensi dell'art. 147 c.p. Dunque, un contesto normativo rinnovato, che determinerebbe certamente il venir meno dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla Suprema Corte (data la piena equiparazione tra condannati affetti da grave infermità fisica e condannati affetti da grave infermità psichica ai fini del trattamento penitenziario), e che si completa con la previsione del nuovo art. 47-septies ord. pen. (art. 14, comma 1, lett. b)), che introduce la misura alternativa dell'affidamento in prova di condannati con infermità psichica, concedibile quando deve essere espiata una pena detentiva, anche se residua e congiunta a pena pecuniaria, non superiore a sei anni (o a quattro anni se trattasi di reato di cui all'art. 4-bis, comma, 1 ord. pen.), nei confronti di condannati a pena diminuita ai sensi degli artt. 89 e 95 c.p. ovvero affetti da grave infermità psichica, al fine di proseguire o intraprendere un programma terapeutico e di assistenza psichiatrica in libertà, concordato con il dipartimento di salute mentale o con una struttura privata accreditata. |