La Cassazione precisa nuovamente la differenza fra truffa e insolvenza fraudolenta
21 Marzo 2018
Massima
Si realizza il delitto di truffa e non quello di insolvenza fraudolenta nel caso in cui la parte lesa sia stata tratta in errore mediante la creazione di una situazione artificiosa da parte dell'imputato, il quale non si sia limitato semplicemente a nascondere il proprio stato d'insolvenza ma abbia rappresentato, in un ampio arco di tempo, circostanze inesistenti e sia ricorso ad artifizi per farsi credere solvibile. Il caso
La vicenda concreta sottoposta all'esame della Suprema Corte, che ha fornito l'occasione per ribadire il principio di diritto sopra riportato, attiene ad un giudizio nell'ambito del quale l'imputato era stato riconosciuto responsabile, tra l'altro, del delitto di truffa per avere dato in pagamento alla persona offesa degli assegni risultati privi di provvista; in particolare nel giudizio di merito era stato accertato che l'imputato aveva inizialmente assicurato la persona offesa circa la copertura degli assegni e successivamente aveva fatto venire meno la stessa, ritirando dal conto corrente le somme depositate. La questione
La questioni sottoposte all'esame della Suprema Corte attengono, da un lato, alla ritenuta integrazione, da parte dei giudici di merito, degli elementi costitutivi del delitto di truffa, con particolare riguardo alla sussistenza degli artifizi e raggiri e alla valutazione della loro idoneità ingannatoria: a questo riguardo il ricorrente sosteneva doversi ravvisare una semplice ipotesi di inadempimento civilistico determinato dall'impossibilità per lo stesso, in conseguenza della crisi economica, di fare far fronte alle obbligazioni assunte con la persona offesa. Da un altro lato, era stato posto il problema della qualificazione giuridica del fatto, assumendosi che la condotta accertata nel giudizio dovesse essere inquadrata nell'ambito del diverso delitto di insolvenza fraudolenta previsto dall'art. 641 c.p., risultato poi non procedibile per tardività della querela; in proposito si sosteneva che l'imputato si era limitato a dissimulare il proprio stato d'insolvenza, perseguendo la finalità di differire i pagamenti che, in realtà, non era in condizione di effettuare, essendo del tutto mancata la simulazione di circostanze non vere.
Le soluzioni giuridiche
Quanto al primo profilo affrontato nella decisione in commento, la Cassazione, pur rilevando l'assenza di qualsiasi elemento di supporto in ordine alle asserite difficoltà economiche in cui si sarebbe trovato l'imputato, ha evidenziato come l'induzione in errore dovesse essere ricollegata alla valenza causale degli artifizi e raggiri e non invece, come assumeva il ricorrente, alla situazione di fatto che aveva determinato la condotta posta in essere; in sostanza il movente che aveva portato l'imputato a porre in essere la condotta ingannatoria in danno della persona offesa resta fuori dalla fattispecie tipica prevista dalla norma incriminatrice e può rilevare solo ai fini della prova del reato ed, eventualmente, della determinazione della pena. Con riguardo poi all'invocata natura civilistica della vicenda, la Corte ha considerato irrilevante, ai fini della ritenuta integrazione del delitto di truffa, la circostanza che la persona offesa fosse un esperto commerciante, rappresentando come gli assegni bancari costituissero un normale mezzo di pagamento conforme alla prassi commerciale e privo di qualsiasi elemento di grossolanità o di abnormità; inoltre veniva evidenziato come nel giudizio di merito fosse stato accertato che le prestazioni iniziali fossero andate a buon fine, essendosi create, per entrambe le parti, una situazione di apparente normalità, della quale aveva poi approfittato l'imputato. Passando poi al secondo profilo affrontato dalla Corte, attinente alla qualificazione giuridica del fatto, la Cassazione ha avuto occasione di ribadire il principio sopra riportato in ordine ai tratti distintivi del delitto di truffa rispetto a quello di insolvenza fraudolenta (Cass. pen., Sez. II, 29 novembre 1985, n. 3395). Ed in altra pure datata ma ancora valida, decisione si era pure affermato che sussiste l'ipotesi della truffa e non dell'insolvenza fraudolenta, o del mero illecito civile, quando l'inadempimento contrattuale sia l'effetto di un precostituito proposito fraudolento, come nel caso in cui vengano rilasciati assegni con asserita sussistenza della copertura e successivamente questa venga fatta venire meno con il ritiro delle somme depositate, poiché proprio in questo consiste l'artifizio e il raggiro per trarre in inganno la persona offesa (Cass. pen., Sez. II, 9 dicembre 1986, n. 6256). A questo fine la Corte ha valorizzato i dati fattuali emersi nel giudizio di merito e del tutto trascurati nell'atto d'impugnazione in base ai quali era stato accertato che l'imputato aveva posto in essere una serie di comportamenti volti a simulare la sua buona fede ed il suo futuro adempimento dell'obbligazione assunta con la persona offesa, creando di fatto l'apparenza di una situazione non vera con la finalità di indurre in errore la persona offesa al punto da determinarla a compiere la sua prestazione in favore dell'imputato stesso. Osservazioni
La Cassazione ha costantemente ritenuto, e la decisione in commento non si discosta da questo indirizzo, che il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e condizioni non vere ed artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell'insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell'agente (Cass. pen., Sez. II, 23 gennaio 2001, n. 10792; Cass. pen.,Sez. II, 11 novembre 2009, n. 45096). E con specifico riferimento a fattispecie concrete, come quella ricorrente nella sentenza in commento, di pagamento di merci effettuato con assegni privi di copertura, si è affermato che, di regola, un pagamento di tal fatta non è sufficiente a integrare il raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto passivo e a indurre alla conclusione del contratto, ma concorre a realizzare la materialità del delitto di truffa quando sia accompagnato da un quid pluris, come ad esempio un malizioso comportamento dell'agente idoneo a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sull'apparente onestà delle intenzioni del soggetto attivo e sul pagamento degli assegni (Cass. pen., Sez. II 6 dicembre 2011, n. 46890). E analogamente si è ritenuto integrare il delitto di truffa nella consegna in pagamento, all'esito di una transazione commerciale, di un assegno di conto corrente postdatato, qualora vengano contestualmente fornite al prenditore rassicurazioni circa la disponibilità futura della necessaria provvista finanziaria (Cass. pen., Sez. II, 21 luglio 2015, n. 33441). Anche in relazione ad altre fattispecie concrete la Cassazione aveva avuto occasione di delineare, nella medesima direzione di cui alle decisioni in precedenza citate, le distinzioni fra la truffa e l'insolvenza fraudolenta; in particolare era stata ravvisata la ricorrenza del delitto di truffa in un caso concreto di utilizzazione di una carta di credito ben oltre i limiti di solvenza nel quale l'imputato si era avvalso di un complesso di modalità frodatorie costituite da artifizi e raggiri (Cass. pen., Sez. II, 29 marzo 2007, n. 16629). Nello specifico la Corte aveva ritenuto corretta la qualificazione giuridica di truffa prescelta dai giudici di merito, in luogo di quella di insolvenza fraudolenta, prospettata dall'imputato in sede di ricorso per cassazione, avendo rilevato che la condotta posta in essere dall'imputato si era caratterizzata, da un punto di vista oggettivo, non già per la mera dissimulazione di uno stato di insolvenza, ma per il ricorso ad un complesso di modalità frodatorie e, da un punto di vista soggettivo, per essere originariamente orientata dal fine specifico dell'ingiusto profitto con altrui danno. E ancora si è ritenuto che non integra il delitto di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che, trattenendo la caparra ricevuta dall'acquirente, non adempie l'obbligo di vendere assunto sulla base di un contratto preliminare di compravendita, la cui stipula può peraltro risultare sufficiente alla configurabilità del diverso reato di truffa, ove sostenuta dal precostituito proposito di non adempiervi (Cass. pen., Sez. II, 26 febbraio 2010, n. 14674). Ciò, in quanto, come già in precedenza affermato, nel delitto di insolvenza fraudolenta l'obbligazione, assunta dall'agente con il proposito di non adempierla, deve avere ad oggetto una prestazione di dare e non quella di svolgere una specifica attività in favore dell'altra parte, in quanto uno degli elementi costitutivi del delitto è la dissimulazione del proprio stato d'insolvenza (Cass. pen., Sez. II, 23 gennaio 2001, n. 10792); ne consegue, quindi, che non può configurarsi il delitto di insolvenza fraudolenta con riferimento all'inadempimento dell'obbligo di contrarre sulla base di un contratto preliminare di compravendita. Deve, infine, evidenziarsi che è stata esclusa la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso in cui il giudice di merito, nel valutare la condotta dell'imputato, il quale non aveva, in modo preordinato, adempiuto l'obbligazione contratta, abbia qualificato l'originaria imputazione di insolvenza fraudolenta come truffa, ritenendosi che, in entrambi i reati la condotta tenuta dall'agente consiste in un comportamento fraudolento tale da ingenerare errore nella vittima (Cass. pen., Sez. II, 16 giugno 2015, n. 29507). |