Intercettazioni su whistleblowing: fonte anonima o documento riservato?
14 Marzo 2018
Massima
È pienamente utilizzabile ai fini della integrazione del requisito della gravità indiziaria di cui all'art. 267 c.p.p. la segnalazione interna all'ufficio, inoltrata mediante il c.d. canale whistleblowing all'ufficio del Responsabile per la prevenzione della corruzione (R.P.C.), di possibili violazioni commesse sul luogo di lavoro da dipendenti pubblici. Tale segnalazione non può essere considerata documento proveniente da fonte anonima ex art. 203 c.p.p., come richiamato dall'art. 333 del medesimo codice di rito, in quanto, ai sensi dell'art. 54-bis, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nella formulazione vigente ratione temporis, il sistema del whistleblowing, che prevede l'utilizzo di una casella di posta elettronica interna e delle credenziali personali, garantisce, in ambito diverso dal processo penale, solo la riservatezza delle generalità del segnalante, che è soggetto individuabile, seppur protetto. Il caso
Con ordinanza del 31 luglio 2017 il tribunale della libertà di Napoli confermava la sussistenza del grave quadro di gravità indiziaria, tra gli altri reati, per numerosi episodi di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio realizzati dall'indagato in qualità addetto al servizio di ispezioni e certificazioni ipotecarie presso l'Agenzia del Territorio. Nella specie, i dipendenti segnalati effettuavano visure telematiche o manuali o consultazioni dei volumi dell'Ufficio per conto degli utenti, intascando personalmente il denaro da questi versato, così consentendo loro di evadere il pagamento dei diritti dovuti. A tal fine, gli accessi al sistema per le visure venivano falsamente fatti figurare come eseguiti per ragioni d'ufficio ovvero "esenti". Avverso l'ordinanza con ricorso la difesa dell'indagato deduce, tra le altre censure, la inutilizzabilità delle intercettazioni disposte con decreto di convalida del Gip, oltre che sotto il profilo dell'assoluta indispensabilità di tale mezzo di ricerca della prova (potendo essere il fatto provato per via di acquisizione documentale), sotto quello del requisito della gravità indiziaria, assumendo che la segnalazione del whistleblower ha natura di esposto in forma anonima, la cui "potenzialità processuale" deve essere circoscritta a valore di spunto di un'attività investigativa, secondo «una lettura garantista del nuovo sistema di segnalazione anonima degli illeciti». La questione
Il quesito in esame può essere articolato nei seguenti termini: ai fini della legittimità e utilizzabilità delle intercettazioni, la segnalazione del pubblico dipendente di condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro, indirizzata nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (R.P.C.) di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione (Anac), ai sensi all'art. 54-bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, costituisce un documento da fonte anonima o il c.d. canale whistleblowing, realizza un sistema che garantisce solo la riservatezza del segnalante? In altri termini, la segnalazione interna al R.P.C., che rende sempre individuabile – seppur protetto – il denunciante, per l'utilizzo di una casella di posta elettronica interna e di credenziali personali, è estranea alla sfera di operatività dell'art. 203 c.p.p.? Le soluzioni giuridiche
Con le due coeve sentenze in commento (Cass. pen., Sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 9041, Gagliardi; Cass. pen., Sez. VI, 31 gennaio 2018, n. 9041, Castaldo), relative alla medesima vicenda processuale, si propongono le prime soluzioni applicative in materia penale riguardo all'uso del cd. canale whistleblowing, misura anticorruzione mutuata dagli ordinamenti dei paesi anglosassoni. Giova accennare, sul piano della ricostruzione storico—comparata, che in U.S.A. l'istituto trova una compiuta disciplina nel Whistleblower Protection Act (WPA) del 1989, che istituì idonei meccanismi di protezione per gli impiegati federali che intendano denunciare atti illegali o gravi irregolarità mantenendosi al riparo da possibili ritorsioni. A esso è seguito il Government Performance and Results Act (GPRA) del 1993, orientato al miglioramento della gestione dei programmi governativi attraverso l'introduzione di sistemi di misurazione e valutazione delle performance degli uffici federali, e, quindi, il GPRA Modernization Act (GPRAMA) del 4 gennaio dell'anno 2010 (la codificazione dell'istituto è aggiornata attraverso l'attività di revisione a cura dell'Office of the Law Revision Counsel, ufficio parlamentare amministrativo della Camera dei Rappresentanti). Nel nostro ordinamento il sistema whistleblowing è stato introdotto, solo per il pubblico impiego, dall'art. 54-bis del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, poi successivamente modificato dalla legge 30 novembre 2017 n. 179, contenente disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell'ambito di un rapporto di lavoro. La ratio normativa dell'art. 54-bis d.lgs. 165/2001 è di matrice tipicamente giuslavoristica e disciplinare in quanto risponde all'esigenza di assicurare una tutela da misure ritorsive per il pubblico dipendente che intende segnalare in via riservata al Responsabile anticorruzione ovvero all'Autorità anticorruzione illeciti che si verificano sul luogo di lavoro. Nella specie, il comma 1 della norma vieta che il segnalante possa «essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione». L'istituto richiama la prassi del c.d. «sicofante», molto diffusa nel diritto del lavoro, e la norma è collocata, infatti, all'interno delle disposizioni giuslavoriste vigenti per il settore del pubblico impiego (l'art. 3 dello Statuto dei lavoratori consente al datore di lavoro di acquisire da propri dipendenti notizie relative all'inadempimento di altri colleghi, proprio al fine di prevenire il pericolo del diffondersi di casi di delazione all'interno dell'ambiente lavorativo). Tale collocazione esprime una precisa scelta del Legislatore di non realizzare una autonoma disciplina del whistleblowing. Come osservato dalla Suprema Corte nelle sentenze in commento, alla tutela da ritorsioni di carattere disciplinare o paradisciplinare nei confronti del whistleblower corrisponde, nella lettura del comma 2 dell'art. 54-bis d.lgs. 165/2001, sin dalla originaria formulazione (vigente all'epoca dei fatti-reato in contestazione nel caso di specie) non la garanzia di anonimato del denunciante ma la semplice riservatezza delle sue generalità, non ostensibili nell'ambito di procedimenti disciplinari, se non per la tutela del propalante, salvo ovviamente il consenso dell'interessato alla divulgazione dei propri dati identificativi. Il divieto di divulgazione dell'identità del segnalante è in ogni caso subordinato al fatto che la contestazione «sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione», poiché, ove detta contestazione si basi, in tutto o in parte, sulla segnalazione stessa, «l'identità può essere rivelata ove la sua conoscenza sia assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato». Nel caso di segnalazione di gravi condotte corruttive, ad esempio, la diposizione è finalizzata a evitare che il dipendente, che in qualsiasi modo sia venuto a conoscenza di condotte illecite di un suo collega o superiore, ometta di segnalarle per il timore di subire conseguenze pregiudizievoli. Nella nuova formulazione del comma 2 dell'art. 54-bis d.lgs. 165/2001, come modificato dalla recente legge 179 del 2017, che ha esteso l'applicazione dell'istituto anche ai dipendenti di enti pubblici economici e degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, nonché « ;ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi» per la P.A., la funzione in via esclusiva di garanzia di una efficace tutela del dipendente denunciante è ancor più evidente, atteso che, in contrapposizione alla tutela disciplinare, «nell'ambito del procedimento penale, l'identità del segnalante è coperta dal segreto nei modi e nei limiti previsti dall'articolo 329 del codice di procedura penale». Inoltre, la legge 179 del 2017 (art. 2) ha esteso anche al settore privato, attraverso la modifica l'art. 6 del d.lgs. 231 del 2001, le garanzie di riservatezza del whisteblower, prevedendo che i modelli di organizzazione, gestione e controllo dell'ente devono contenere canali che consentano ai denuncianti di presentare segnalazioni circostanziate di condotte illecite o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell'ente ed al codice etico, nell'ambito dell'obbligo per il dipendente di informare con tempestività il proprio responsabile diretto dell'insorgenza di dinamiche che possano interferire con la corretta gestione dell'attività lavorativa. A tal fine sono realizzati canali appositamente dedicati ;tramite i quali tutti coloro che vengano a conoscenza di eventuali comportamenti di qualsiasi natura (anche omissivi) posti in essere in violazione del codice etico riferiscono, liberamente, direttamente ed in maniera riservata, a un apposito organismo di Vigilanza.
*** La sezione Sesta della Suprema Corte, nel valutare l'eccezione di illegittimità delle operazioni di intercettazione disposte e convalidate dal Gip napoletano sulla base della segnalazione di illeciti perpetrati da dipendenti infedeli addetti al servizio di ispezioni e certificazioni ipotecarie dell'Agenzia del Territorio, pur confermando la correttezza del giudizio del tribunale del riesame sul presupposto cautelare della gravità indiziaria, ha puntualizzato la rilevanza e la natura dell'atto di segnalazione interna all'ufficio del R.P.C. Sul punto ha osservato, infatti, che impropriamente il Gip, convalidando il mezzo istruttorio, ha considerato la segnalazione inoltrata alla stregua di un documento proveniente da fonte anonima ai sensi dell'art. 203 c.p.p., per poi consentirne di fatto il “recupero” del contenuto, al fine della possibilità di disporre le intercettazioni, attraverso la (successiva) nota della Direzione Centrale Audit dell'Agenzia e l'informativa di P.G. contenente i riscontri investigativi. In tal modo ha ricondotto agli atti investigativi e non alla segnalazione da canale whistleblowing,, poiché estraneo alla sfera di operatività del suddetto art. 203 e dell'art. 333 del codice di rito, la piena utilizzabilità ai fini dell'integrazione del requisito della gravità indiziaria. Giova richiamare la più recente prassi seguita dalla giurisprudenza nell'interpretazione dell'art. 203 c.p.p., circa l'utilizzo di documenti da fonte anonima in tema di intercettazioni. La S.C., in particolare, ha escluso che lo sola fonte anonima o l'informazione confidenziale possa essere utilizzata per la valutazione dei gravi indizi di reità ex art. 267 c.p.p. Si afferma, nella specie, che i risultati delle intercettazioni di conversazioni disposte sulla base di siffatte fonti, acquisite dalla polizia giudiziaria, sono utilizzabili a condizione che queste ultime non siano gli unici elementi posti a supporto della valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di reato e che le operazioni siano state autorizzate anche sulla base di altri elementi emersi che le integrino (Cass. pen., Sez. VI, 26 giugno 2013, n. 42845, Raddusa). Inoltre, in una fattispecie che presenta tratti comuni a quella del canale whistleblowing, ai fini della valutazione della gravità indiziaria in sede di autorizzazione delle intercettazioni, si è affermato che l'utilizzo delle informazioni fornite da agenti di polizia giudiziaria operanti sotto copertura, la cui identità non sia disvelata, è condizionato al rispetto della procedura autorizzativa prevista dalla legge, non essendo equiparabili le stesse alle informazioni di fonte confidenziale o anonima indicate nell'art. 203 c.p.p. (Cass. pen., Sez. IV, 3 maggio 2016, n. 25247, Catalano; Cass. pen., Sez. IV, 14 novembre 2013, n. 6778, Filippi). Peraltro, il citato divieto di utilizzazione, a fini della valutazione del quadro indiziario, delle notizie acquisite dalla polizia giudiziaria presso informatori ex art. 267 comma 1-bis in relazione all'art. 203, comma 1-bis,c.p.p. non opera quando la stessa polizia giudiziaria abbia indicato negli atti le generalità complete dell'informatore ed abbia precisato in una relazione di servizio il contenuto delle notizie riferite da quest'ultimo (Cass. pen., Sez. IV, 15 dicembre2011, n. 6844, Damiano). L'analisi della prassi giurisprudenziale evidenzia che in realtà nel caso del whistleblowing nessuna preclusione sussiste alla piena utilizzabilità ai fini delle intercettazioni della denuncia del whistleblower, inoltrata con le forme istituzionali “riservate” previste dal comma 1 del citato art. 54-bis d.lgs. 165/2001. Il sistema introdotto dal d.lgs. 165 del 2001, infatti, garantisce la riservatezza del segnalante, in quanto prevede che il dipendente utilizzi una casella di posta elettronica interna al fine di segnalare eventuali abusi e, pur se non è necessario apporre una firma, l'utilizzo delle proprie credenziali rende in ogni momento individuabile il whistleblower, seppure protetto. Il testo del comma 2 dell'art. 54-bis, d.lgs. 165/2001 come rimodellato in modo più chiaro dalla legge 179 del 2017, non lascia spazio alcuno all'anonimato in caso di utilizzo della segnalazione nel procedimento penale, e, tanto meno, alla tutela della riservatezza delle generalità del denunciante. Al fine di evitare dubbi sulla possibile qualificazione della denuncia come documento da fonte anonima, il comma 1 dell'art. 54-bis, d.lgs. 165/2001 anche nella versione antecedente, fa espressamente salvi, in via di eccezione alla riservatezza delle generalità del denunciante, i casi in cui la denuncia integri gli estremi dei reati di calunnia o diffamazione, o provochi un danno ingiusto ovvero qualunque lesione di interessi tutelati dall'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 2043 c.c. Dalla segnalazione di comportamenti illeciti perpetrati sul luogo di lavoro dal dipendente pubblico, al fine di accertare la fondatezza della denuncia raccolta e la responsabilità del denunciato, deriva l'attivazione in via autonoma e parallela (art. 55-ter del d.lgs. 165 del 2001, introdotto dal d.lgs. 150 del 2009 e poi modificato dall'art. 14 del d.lgs. 75 del 2017) del procedimento disciplinare e di quello amministrativo dell'Audit interno o dell'Autorità di vigilanza, oltre all'eventuale procedimento penale nei casi in cui siano segnalati fatti-reato (ad esempio, casi di corruzione, come nel caso di specie). I rapporti tra i vari procedimenti è improntato al principio della autonomia. Sulla base dell'interpretazione letterale e sistematica del citato art. 54-bis d.lgs. 165/2001, la Suprema Corte ha, dunque, chiarito che, al di là del riferimento improprio del Gip alla disciplina del documento da fonte anonima, il contenuto delle rivelazioni del whistleblower sulle condotte corruttive inviata mediante segnalazione via mail interna al R.P.C., non costituisce mero spunto investigativo, ma “assurge al rango di vera e propria dichiarazione accusatoria”, alla quale sono destinate ad aggiungersi le eventuali risultanze dei successivi accertamenti compiuti a riscontro dalla Direzione Centrale Audit (nella specie, gli accessi ingiustificati al sistema da parte dei dipendenti denunciati), come probante conferma della generale veridicità della segnalazione. Osservazioni
La segnalazione da canale istituzionale whistleblowing è da ritenersi, dunque, un documento pienamente utilizzabile ai fini della configurabilità del presupposto della gravità indiziaria ex art. 267 c.p.p. per disporre le intercettazioni e, venendo meno la tutela della riservatezza nel procedimento penale, assume valore processuale tipico in relazione al suo contenuto (nel caso di specie qualificata dalla S.C. in termini di dichiarazione accusatoria a tutti gli effetti, proveniente da fonte qualificata ed individuabile). In tali termini il whistleblowing si rivela un valido strumento per contrastare i fenomeni corruttivi, purtroppo ancora diffusi. La scelta normativa muove nel senso non solo della repressione ma anche della prevenzione della corruzione, valorizzando le garanzie di riservatezza della identità della fonte sul piano disciplinare e, al contempo, consentendo un pieno utilizzo probatorio nel processo della segnalazione interna. Restano, tuttavia, al di fuori dallo spettro della decisione in commento le ipotesi di segnalazioni non processate attraverso il sistema previsto per il pubblico impiego dal d.lgs. 165 del 2001, pur se di derivazione interna e destinate al R.P.C., che non prevedano l'utilizzo di un canale telematico riservato e l'uso di credenziali del segnalante e, dunque, una sua piena possibilità di identificazione; ovvero ancora le segnalazioni che vengano inviate, in alternativa al canale interno, direttamente all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) o le denunce all'autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile priva di sottoscrizione o di elementi di certa identificabilità del denunciante. L'art. 54-bis, nella scarna disciplina risultante dalla riformulazione del 2017, non contiene una espressa previsione di strumenti o istituti, alternativi al canale istituzionale, finalizzati alla promozione ed all'incentivo del whistleblowing, né una specifica disciplina in relazione alle cd. segnalazioni anonime, fenomeno ampiamente diffuso nel contesto lavorativo. Applicando il principio espresso dall'arresto in commento, nel richiamo alla giurisprudenza in tema di documenti da fonte anonima (ex multis, Cass. pen., Sez. VI, 26 giugno 2013, n. 42845, Raddusa, cit.), le segnalazione non processate mediante canale whistleblowing o mezzi che garantiscano l'individuabilità dell'autore sono utilizzati ai fini della gravità indiziaria per disporre le intercettazioni a condizione che non siano gli unici elementi posti a supporto di tale valutazione di ammissibilità del mezzo di ricerca della prova, necessitando di essere integrate sulla base di altri elementi acquisiti od emersi a seguito della segnalazione indiziante. R. CANTONE, La tutela del whistleblower. L'art. 54-bis del d.lg. n. 165/2001 (art. 1, comma 51), in B. G. MATTARELLA - M. PELLISSERO, La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, Giappichelli, 2013, p. 244 ss.; F. GANDINI, Il whistleblowing negli strumenti internazionali in materia di corruzione, in G. FRASCHINI - N. PARISI - D. RINOLDI (a cura di), Il whistleblowing nuovo strumento di lotta alla corruzione, , Catania, 2011, p. 89 ss.; F. GANDINI, La protezione dei whisteleblowers, in F. MERLONI - L. VANDELLI (a cura di), La corruzione amministrativa. Cause, prevenzione e rimedi, Passigli, Firenze, 2010, p. 167 ss.; R. LATTANZI, Prime riflessioni sul c.d. whistleblowing: un modello da replicare « ;ad occhi chiusi ;», in Riv. it. dir. lav., 2010, p. 335 ss. |