Adesione psicologica a una ideologia estremista e partecipazione a una associazione di matrice terroristica jihadista
18 Dicembre 2017
Massima
La quinta Sezione della Corte di cassazione, con la sentenza n. 50189 del 3 novembre 2017, ha affermato il principio di diritto secondo cui, ferma la necessità di verificare l'offensività in concreto dell'azione della “cellula” terroristica, è configurabile il delitto di cui all'art. 270-bis c.p., nell'ipotesi di partecipazione ad un'associazione con finalità terroristiche caratterizzata da modalità di adesione “aperte” e “spontaneistiche” che non implicano un'accettazione formale del negozio sociale da parte dell'apparato del sodalizio, bensì propongono l'inclusione in progress di individui o “cellule” che condividono l'obiettivo terroristico e la sua dimensione di matrice religiosa estremista, attraverso il richiamo e l'ispirazione a disvalori di propaganda, proclamati su scala internazionale ed “attivizzati” mediante diffusione di video, immagini e comunicati diretti a tale scopo, potendosi prescindere da un qualsiasi atto di “investitura formale”. Il caso
La Corte di cassazione si è pronunciata sul ricorso avente a oggetto il provvedimento del tribunale del riesame di Venezia di rigetto dell'istanza proposta avverso l'ordinanza del Gip con la quale è stata applicata la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di tre persone, indagate in ordine al reato di cui all'art. 270-bis c.p. A costoro – si legge nella decisione in commento – è stato, infatti, contestato di «aver partecipato all'organizzazione terroristica internazionale (omissis), allo scopo di commettere atti con finalità di terrorismo sia in territorio siriano che nel territorio italiano, costituendo una “cellula” di soggetti radicalizzati e dediti al proselitismo della jihad antioccidentale combattuta dallo Stato islamico, attraverso la diffusione via Internet di video e messaggi di incitamento e propaganda, nonché attraverso l'addestramento e l'autoaddestramento, per commettere attentati anche in Italia (in particolare a (omissis)». Il nucleo fondamentale delle deduzioni difensive risiederebbe, essenzialmente, nella indebita sovrapposizione dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, in quanto, il giudice del riesame avrebbe ritenuto penalmente rilevanti condotte che, invece, costituirebbero mera adesione psicologica all'ideologia jihadista, per quanto estremista e non, piuttosto, partecipazione all'organizzazione terroristica attraverso una qualsiasi attività di supporto, anche solo propagandistico. La tesi difensiva della mera adesione psicologica si sostanzierebbe nella constatazione che la commissione di condotte finalizzate a una attività di proselitismo e indottrinamento sarebbe insufficiente a integrare il delitto di associazione, anche perché difetterebbe una struttura organizzativa, sia pure minima, e concretamente operativa. Non vi sarebbe nemmeno una qualsiasi distribuzione dei ruoli interni, né collegamenti con esponenti di rilievo del terrorismo internazionale. Nel senso della sussistenza della mera adesione psicologica, inidonea ai fini della configurabilità dell'ipotesi associativa, verrebbe anche in rilievo il dato per cu sui profili social dei ricorrenti non vi sarebbero post dal contenuto di incitazione e di concreta attività di proselitismo e propaganda ma si tratterebbe di messaggi inneggianti alle gesta dell'organizzazione terroristica, e non risulterebbero concrete azioni di addestramento o autoaddestramento alla guerra jihadista. Alla insussistenza del reato in esame, nell'ulteriore senso della mancanza di una condotta di istigazione pubblica al terrorismo, contribuirebbe l'elevato livello di privacy dei profili social che non consentirebbe al normale utente di accedere al materiale propagandistico. Ancora, e in relazione ad uno dei ricorrenti, si sostiene che la posizione di guida spirituale all'interno della “cellula” terroristica non integrerebbe la condotta di partecipazione all'associazione terroristica islamica di riferimento, non potendosi ipotizzare una modalità di affiliazione “orizzontale”, priva di effettivi riscontri sul legame con l'associazione di riferimento e in assenza di qualsiasi rito di iniziazione. La questione
È evidente, dunque, che i motivi di ricorso richiamino l'attenzione del collegio sul delicato e dibattuto profilo dell'individuazione delle condotte materiali idonee ad integrare la condotta di partecipazione all'associazione di cui all'art. 270-bis c.p. e che, evidentemente, determinano il collegio a fornire un quadro completo e riepilogativo delle pronunzie della giurisprudenza di legittimità, dell'ultimo ventennio, proprio sul tema degli elementi oggettivi caratterizzanti l'associazione in esame; di una «fattispecie senza dubbio di complessa natura e suscettibile di svariate declinazioni pratiche». In primo luogo, pongono in risalto quelle decisioni nelle quali si afferma che il delitto è integrato dalla presenza di una struttura organizzativa tale da rendere possibile l'attuazione del programma criminoso, anche in assenza della predisposizione di un progetto di azioni terroristiche concrete; e ancora, quelle in cui si ritiene che ad integrare «la cifra del carattere terroristico», idonea a rendere l'ipotesi di cui all'art. 270-bis, c.p. speciale rispetto a quella di cui all'art. 270 c.p. sarebbe sufficiente la natura terroristica della violenza che il sodalizio intende esercitare o che si prefigura di attuare. Basterebbe, inoltre, una struttura anche soltanto rudimentale, purché capace di concretezza ed effettività di azione ed una condotta di adesione meramente ideologica ma connotata da serietà, sia pure minima, di propositi criminali terroristici; e, data la natura di reato di pericolo presunto, non sarebbe necessario che si abbia l'inizio di materiale esecuzione del programma criminale (in tal senso, la Cass. pen., 25 maggio 2006, n. 24994, Bouhrama). In un'altra pronunzia (Cass. pen., 11 giungo 2008, n. 31389, Bouyahia), poi, si è ritenuto sufficiente che i modelli di aggregazione integrino il minimum organizzativo e si sono individuati i caratteri associativi in relazione a strutture “cellulari” proprie delle associazioni di matrice islamica, caratterizzate da estrema flessibilità interna, in grado di rimodularsi secondo le esigenze che di volta in volta si presentano e in condizione di operare contemporaneamente in più Stati, anche in tempi diversi; e ancora, con contatti fisici o telefonici e, comunque, a distanza tra gli adepti, spesso sporadici, trattandosi di sodali arruolati, spesso, di volta in volta, con una sorta di adesione progressiva ed entrano, comunque, a far parte di una struttura associativa, già costituita. Integrerebbe il delitto in esame (così, nella Cass. pen., 12 luglio 2012, n. 46308, Chabchoub) anche la formazione di un sodalizio flessibile e discontinuo nei contatti tra gli aderenti ma che realizzi anche una soltanto delle condotte di supporto funzionale all'attività terroristica di organizzazioni riconosciute ed operanti come tali; e tra tali condotte di supporto andrebbero ricomprese anche l'attività di proselitismo, di diffusioni di documenti di propaganda, di assistenza agli associati, di finanziamento, di predisposizioni o acquisizione di armi o documenti falsi, arruolamento e addestramento. La natura di reato di pericolo presunto, da cui necessariamente deriva l'anticipazione della soglia di punibilità ha, però, richiamato, di recente, l'imprescindibile necessità di guardare con maggiore attenzione le condotte caratterizzanti l'attività terroristica, sotto il profilo della loro concreta offensività. In relazione a un caso avente a oggetto una mera attività di proselitismo e indottrinamento, finalizzata a inculcare una visione positiva del martirio per la causa islamica e ad acquisire una generica disponibilità a unirsi ai combattenti in suo nome, infatti, la Corte di cassazione non ha ritenuto configurabile il delitto di associazione terroristica. L'insussistenza dell'associazione, oltre che per la limitata operatività del gruppo è stata affermata alla luce dell'argomentazione secondo cui l'attività di indottrinamento e proselitismo costituirebbe una precondizione ideologica per la costituzione di un'associazione terroristica, perciò valutabile (solo) ai fini dell'applicazione di una misura di prevenzione (così, nella Cass. pen., 14 luglio 2016, n. 48001, Hosni). Le soluzioni giuridiche
La descrizione, sia pure sintetica, dei principali arresti cui la giurisprudenza della Corte di cassazione è pervenuta sulla configurabilità dell'associazione di cui all'art. 270-bis c.p. è parsa opportuna perché significativa del rischio, peraltro avvertito nella sentenza in commento, di sovrapporre i confini tra attività lecite di manifestazione del pensiero e condotte illegittime, esercitate anche in forma collettiva, integranti le differenti ipotesi di reato di istigazione o apologia previste dall'art. 414 c.p. e la condotta di partecipazione all'associazione con finalità terroristica. Tale preoccupazione è fortemente avvertita dal collegio secondo cui, per non travalicare «la sottile linea di confine fenomenologica» tra le anzidette ipotesi è necessario condurre un'analisi rigorosa con riferimento alle peculiarità caratterizzanti il fenomeno associativo terroristico, che non risponde più alle consuete fasi della ideazione, programmazione ed esecuzione di un attentato stragista, ma che, invece, vede «l'intervento di “cellule, più o meno ricollegabili, direttamente o indirettamente, alla propaganda islamica estremista ed antioccidentale, ma sicuramente ad essa ispirati». Piuttosto, la struttura organizzativa criminale di tipo terroristico si propone flessibile, limitata nel numero, priva di regole formali, così da renderla snella e improntata ad una propaganda di adesione caratterizzata da un modello spontaneo di inclusione. Le moderne organizzazioni terroristiche di matrice islamica radicale, a avviso del collegio, «propongono una formula di adesione alla struttura sociale che può definirsi “aperta” e “in progress”, sempre disponibile ad accogliere vocazioni criminali provenienti da singoli e gruppi». Sulla base della prospettata descrizione del fenomeno associativo terroristico di matrice islamica, il Collegio respinge le doglianze difensive, ritenendo che il percorso motivazionale del giudice del riesame sia affidabile e privo di vizi logici in relazione alla configurabilità del reato di cui all'art. 270-bis c.p. In particolare, i giudici di legittimità giungono a ritenere compiutamente assolto l'obbligo motivazionale là dove il tribunale del riesame non abbia ritenuto sussistente tra gli indagati un «consesso velleitario di uomini, incapaci di assumere iniziative incidenti sul mondo esterno e legati solo dal comune sentire ideologico per quanto estremista» ma piuttosto il reato di cui all'art. 270-bis c.p. La condotta associativa sarebbe consistita nel costituire una “cellula” organizzativa di matrice jihadista, attraverso uno schema di aggregazione minimo e avulso da modelli associativi ordinari, in relazione alla quale emergono, non soltanto l'ideologia eversiva di ispirazione ma anche l'adozione della violenza terroristica come metodo di lotta e l'effettiva possibilità di attuare anche una sola delle condotte di supporto funzionale all'attività terroristica di organizzazioni riconosciute ed operanti come tali; tra queste la realizzazione di attentati terroristici contro obiettivi nel territorio dello Stato, la propaganda ed il proselitismo, l'addestramento e l'autoaddestramento dei sodali alla guerra. Pertanto, nel caso di specie – concludono i giudici di legittimità – la cellula di ispirazione jihadista non soltanto costituisce di per sé un'autonoma e sufficiente struttura idonea a configurare il reato di cui all'art. 270-bis c.p. ma realizza anche la condotta di partecipazione all'associazione terroristica di riferimento. Con la sentenza in commento, si afferma, dunque, la possibilità di partecipare a una associazione con finalità terroristiche caratterizzata da modalità di adesione aperte e spontaneiste «che non implicano un'accettazione formale del negozio sociale da parte dell'apparato del sodalizio, bensì propongono l'inclusione in progress di individui o “cellule”», ferma la necessità di verificare l'offensività in concreto dell'azione della “cellula” terroristica. Osservazioni
La sentenza in commento coinvolge numerosi temi delicati e, tra questi, senz'altro spicca quello, da sempre oggetto di posizioni contrastanti in dottrina e in giurisprudenza, concernente i limiti dell'anticipazione della soglia di punibilità, in relazione ai reati di pericolo presunto, di cui, come oramai pacificamente riconosciuto, il reato associativo fa parte. Il principio affermato dai giudici della V Sezione della Corte di cassazione, in ordine ai caratteri del delitto di associazione terroristica, costituisce un ulteriore contributo nel senso del consolidamento della giurisprudenza già citata ma, soprattutto, concorre a delineare una definizione “innovativa” di associazione con finalità di terrorismo. Nella consapevolezza della impossibilità di approfondire, in tale sede, l'esame dei temi coinvolti ci si limiterà a porre in rilievo, da un lato, come la pronunzia in commento sia la “conseguenza” di delicate scelte legislative in materia sanzionatoria penale e, dall'altro, come possa incidere e conciliarsi con alcuni principi cardine del diritto sostanziale penale. Nel corso dell'ultimo ventennio la Corte di legittimità ha, via via, “tradotto” nelle proprie pronunzie, in punto di qualificazione giuridica, il “divenire” delle condotte integranti il reato di cui all'art. 270-bis c.p. che, come è ben noto, allo specifico fine di reprimere condotte finalizzate al terrorismo internazionale di stampo islamista, è stato introdotto, nell'attuale formulazione, dal decreto legge del 18 ottobre 2001, n. 347, convertito con modificazioni, dalla legge del 15 dicembre 2001, n.2001, n. 438, così sostituendo l'originaria formulazione prevista dall'art. 270-bis c.p., come introdotto dall'art. 3 del decreto legge del 15 dicembre 1979 n. 625, convertito, con modificazioni, dalla legge del 6 febbraio 1980, n. 15. Prima della novella legislativa, infatti, l'associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico era sì ricompresa nella fattispecie di cui all'art. 270-bis c.p. ma solo nell'ipotesi in cui gli atti di violenza fossero realizzati sul territorio italiano o che fossero, comunque, diretti contro l'ordine democratico italiano. La stringente necessità di reprimere condotte associative sul territorio italiano, consistenti in “cellule” che svolgessero solo attività preparatoria e logistica del gruppo terroristico di matrice islamica di riferimento, è confluita nella nuova formulazione dell'art. 270-bis c.p. che, al comma 1, punisce, con la pena da sette a quindici anni, chiunque promuova, costituisca, organizzi, diriga, finanzi, associazioni che si proponganoatti di violenza con finalità di terrorismo e, al comma 2, con la pena da cinque a dieci anni chiunque partecipi a tali associazioni. L'allarme derivato, poi, dai drammatici fatti dell'11 settembre 2001 ma già, certamente, avvertito a seguito degli attentati alle ambasciate statunitensi che colpirono, nel 1998, le sedi diplomatiche degli Stati uhniti, in Kenya e in Tanzania, e nel 2000, la nave statunitense USS Cole, ha determinato, sede di conversione del decreto legge, l'inserimento del terzo comma nell'art. 270-bis il quale prevede che «ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale». Attraverso tale previsione il Leegislatore ha inteso risolvere i problemi applicativi derivanti dalla impossibilità di includere nella fattispecie incriminatrice, secondo la formulazione precedente alla conversione del decreto legge, organizzazioni che svolgessero attività di violenza con finalità terroristica nei confronti di Stati esteri o organismi internazionali.
L'assenza di una nozione definitoria di associazione di cui all'art. 270-bis c.p.Nonostante i numerosi interventi legislativi sulla norma in questione, l'individuazione, in concreto, delle condotte attraverso cui possa affermarsi che le associazioni si propongano atti di violenza con finalità eversive e terroristiche è stata, nel tempo, opera dell'interprete e, certamente, della Corte di legittimità, attraverso le numerose pronunzie che hanno affrontato il fenomeno terroristico nelle sue molteplici e mutevoli declinazioni pratiche. L'associazione in esame, infatti, pur configurando uno dei tanti reati di tipo associativo, non riceve alcuna indicazione definitoria, nemmeno attraverso l'art. 270-sexies, c.p., il quale nel fornire una definizione di condotte con finalità di terrorismo, le indica, soltanto, in quelle che per la loro natura o contesto possono arrecare grave danno a un Paese o a un'organizzazione internazionalenonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia. A eccezione dell'ipotesi del reato in tema di divieto di costituzione di associazioni militari (d.lgs. 14 febbraio 1948, n. 43) e in parte, di quella del divieto di associazione segrete (l. 25 gennaio 1982, n. 17),non sembra che il Legislatore abbia avvertito la necessità o l'opportunità, di definire il concetto di associazione, rilevante sul piano penale. Una nozione in tal senso manca non solo con riferimento al reato di associazione con finalità terroristica ma anche in relazione alle associazioni di cui agli artt. 305, 306, 416 e 416-bis, c.p. e ancora in relazione a quella di cui all'art. 74 del d.P.R. 309 del 1990. Di ciò prese già atto la Corte di cassazione quando, con riferimento ai reati di cui agli artt. 416 e 416-bis c.p. e art. 74 del d.P.R. 309 del 1990, affermò che non vi erano nozioni definitorie delle associazioni che dette norme intendevano reprimere, con la conseguenza che «rimandano l'interprete a concetti socialmente diffusi sia per percepire l'essenza dell'associazione sia per delinearne la distinzione […] dal concorso di persone in genere e dal reato continuato» (sentenza n. 10725 del 25 settembre 1998, Villani J). L'assenza di una norma definitoria sembra rispondere, anche con riferimento all'associazione con finalità di terrorismo a una scelta del Legislatore che, forse, con uno sguardo rivolto al futuro, nell'esercizio della propria discrezionalità in tema di configurazione delle fattispecie criminose, ha ritenuto, a tal fine, sufficiente individuare la finalità illecita dell'associazione, con la conseguenza che la realizzazione di qualsiasi azione causale, (recte: idonea) al perseguimento dello scopo illecito, possa essere apprezzata al fine di ritenere integrato il reato associativo, di cui all'art. 270-bis c.p. In tal senso significativa è la sentenza n. 737 del 24 febbraio 1999 (Abdaoui) che, sebbene riferita all'art. 270-bis c.p. nella formulazione vigente prima del 2001, ha espressamente affermato come la mancanza, in quel caso, del fine eversivo dell'ordinamento costituzionale italiano rilevasse non solo sotto il profilo soggettivo ma anticipatamente anche sotto il profilo dell'elemento materiale «poiché l'associazione, non avendo la finalità richiesta dalla legge, non integra il reato di cui all'articolo 270-bis c.p.»
Riflessi in punto di tassatività e offensività, in astratto. Tale tipo di impostazione certamente ripropone il dibattuto tema, in punto di tassatività e offensività, della “legittimità” del ricorso a criteri interpretativi di tipo “teleologico”, per la configurabilità della fattispecie illecita. Si tratta di paradigmi ermeneutici adottati con riferimento al reato di associazione finalizzata al traffico di sostanza stupefacente e che, in parte, hanno comportato il superamento di criteri interpretativi di tipo “strutturale”, seguiti, ad esempio, in tema di associazioni di tipo mafioso, concentrati sull' esistenza di una organizzazione stabile e strutturata. Il Legislatore, di fronte alle specificità del fenomeno terroristico, nella ritenuta impossibilità o inopportunità di selezionare ex ante le condotte di associazione, sembra aver optato per la formulazione del precetto penale fornendo una descrizione normativa della fattispecie, per così dire, “semplice”, nel senso di punire chiunque partecipa a tali associazioni cioè a quelle associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità terrorismo. La scelta effettuata, nel senso di fornire una descrizione “semplice” o “minima” ha, di fatto, delegato all'elaborazione giurisprudenziale il compito di delineare l'oggettività giuridica dell'associazione con finalità di terrorismo, di individuare, quindi, le condotte che per loro natura o per il contesto possono arrecare grave danno ad un Paese o a un'organizzazione internazionale. Ciò nonostante non sembra che il principio di tassatività, implicante la necessità costituzionale per cui la fattispecie raggiunga un grado di determinatezza sufficiente a consentire al giudice di individuare il tipo di fatto dalla norma disciplinato, sia inciso negativamente. È evidente però come il frutto dell'elaborazione giurisprudenziale debba necessariamente,rientrare nell'alveo del principio offensività, atteso che l'anticipazione della soglia di punibilità, propria dei reati di pericolo, non può mai essere tale da ritenere rilevanti sul piano penale la mera ideazione o adesione psicologica a una ideologia pur violenta ed estrema. Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 333 del 1991, con specifico riferimento alla configurazione di fattispecie criminose strutturate in relazione a un evento di pericolo astratto, l'individuazione, sia delle condotte alle quali collegare una presunzione assoluta di pericolo, sia della soglia di pericolosità' alla quale fare riferimento, è riservata al Legislatore; in particolare «l'offensività deve ritenersi di norma implicita nella configurazione del reato e nella sua qualificazione di illecito da parte del Legislatore» (in tal senso anche sentenze n. 99 del 2017 e 109 del 2016). Pertanto, l'introduzione della previsione incriminatrice ad hoc, tale da ricomprendere le (tante) possibili modalità attuative di perseguimento della finalità terroristica, sembra costituire lo strumento affinché i beni da proteggere – individuati in quelli fondamentali della personalità dello Stato, dell'ordine democratico, della sicurezza mondiale o internazionale (a seconda della tesi a cui si intenda aderire) ma anche, in quelli, parimenti essenziali, della incolumità personale, della libertà personale e della vita – siano anticipatamente e, si ritiene, incisivamente, tutelati dalle differenti e molteplici possibilità fattuali di una loro esposizione a pericolo, da parte di condotte attuate attraverso la strategia del terrorismo Si tratta del principio di offensività “in astratto” che costituisce un limite per il Legislatore circa l'individuazione dei fatti a cui attribuire rilevanza penale, limite che può ritenersi superato – come affermato dal giudice delle leggi nella citata sentenza - solo se si tratti di scelte irrazionali, allorquando cioè esse non siano collegabili all' “id quod plerumque accidit”.
La singolare natura dell'associazione con finalità terroristica, come individuata nella sentenza n. 50189 del 3 novembre 2017; «la partecipazione all'associazione terroristica per adesione». L'individuazione degli aspetti caratterizzanti il delitto in questione risente, quindi, della peculiare natura dell'associazione di cui all'art. 270-bis c.p., conseguente alla multiforme tipologia di manifestazione dell'attività terroristica, di matrice islamica. Il fenomeno associativo terroristico – come efficacemente posto in rilievo nella sentenza in commento – non risponde più, infatti, alle “ordinarie” fasi della ideazione, programmazione ed esecuzione di una condotta associativa criminale e non si fonda, sempre, sulla sussistenza di un accordo in ordine alle singole condotte, agli specifici ruoli e di tempi di esecuzione, né, di regola, si avvale più di armi convenzionali. Numerosi sono gli aspetti che, nel tempo, hanno posto in risalto, il “punto di forza criminale” del sodalizio terroristico: l'imprevedibilità dell'attività illecita; l'estrema semplicità dei mezzi di aggressione, che spesso si identificano con il sacrificio della vita dei sodali, sicché, di regola, la loro morte rende le attività di indagine molto più complesse; l'individuazione di obiettivi facili da colpire; la possibilità di agire in un numero limitato di persone, riunito in mini - formazioni, le “cellule”, il cui raccordo, anche a livello internazionale, è reso più facile dai “nuovi” strumenti di comunicazione e di diffusione del pensiero, riconducibili a tutti i generi del web, la individuazione dei quali è, invece, particolarmente complessa; ancora, la volontà di rivendicare, pubblicamente, gli episodi delittuosi in nome dell'organizzazione di riferimento, attuando in tal modo la strategia propria del terrorismo. Le modalità di attuazione delle strategie del terrorismo rendono del tutto peculiare il fenomeno criminoso e non possono che essere alla base degli orientamenti della giurisprudenza, non solo di legittimità e della dottrina volti “a farsi carico” della individuazione dei confini di applicazione della condotta di partecipazione all'associazione terroristica internazionale. E la sentenza in commento è, certamente, espressione di tale indirizzo perché introduce un concetto di partecipazione per adesione a una associazione terroristica internazionale, sulla spinta dell'«attivismo spontaneista» delle singole cellule; delinea, cioè, un'associazione per delinquere le cui modalità di adesione sono “aperte”, non richiedono cioè un “rito di iniziazione”, né un legame concreto della “cellula” o mini-formazione, con l'organizzazione terroristica internazionale di riferimento. Essa concentra l'attenzione sulla natura aperta dell'associazione, sulla finalizzazione di questa all'acquisizione di nuovi associati e sulla capacità di rimanere inalterata nonostante l'avvicendarsi degli adepti, perché ciò che le conferisce “staticità”, nonostante la evidenziata flessibilità, è il vincolo, di tipo politico/ideologico e religioso che lo rende spiccatamente allarmante. Per integrare il delitto di partecipazione all'associazione diviene sufficiente che il partecipe si metta “a disposizione” della rete per attuare il disegno terroristico o che, più semplicemente, segnali ad essa i propri progetti criminosi affinché questa li possa rivendicare (in tal senso, si è espressa la Corte diassise diMilano,con la sentenza del 25 maggio 2016, Birki), condividendone il programma criminoso, non richiedendosi un'accettazione formale del negozio sociale da parte del sodalizio. È, però, evidente, come la modalità di partecipazione all'associazione terroristica per adesione richieda che non ci si trovi di fronte un «consesso velleitario di uomini, incapaci di assumere iniziative incidenti sul mondo esterno», in quanto, come ribadito dai giudici di legittimità, è da escludere la rilevanza penale di mera adesione psicologica ad una ideologia estremista. La sentenza in commento, pertanto, contribuisce a enucleare una “nuova” modalità di partecipazione ad una associazione terroristica internazionale, quella per adesione o in progress o, ancora, aperta ma senza smentire, in punto di offensività, gli approdi cui la Corte di cassazione è finora pervenuta; (indicati nella decisione in commento, anche attraverso i richiami alle pronunzie Cass. pen., 14 luglio 2016, n. 48001, Hosni; Cass. pen., 15 dicembre 2015, n. 22126, El khalfi Abderrahid; e Cass. pen.,12 luglio 2012, n. 46308, Chabchoub). Certamente, attraverso il principio affermato in tale pronunzia, si conferma la tendenza a anticipare la soglia della partecipazione all'associazione terroristica, e, quindi, la soglia della tutela penale, e della punibilità. È, però, altrettanto certo che, nel delineare la partecipazione per adesione all'associazione terroristica, i giudici di legittimità non disgiungono, mai, tale possibilità dalla necessaria verifica della offensività della condotta realizzata in concreto.
Offensività in concreto e «partecipazione per adesione». I giudici della Cassazione, infatti, dopo aver posto in rilievo la coerenza della ricostruzione complessiva degli elementi oggettivi operata dal giudice di merito, hanno affermato come, proprio alla luce dei numerosi elementi indiziari – che, precisano, non devono in sede di legittimità essere riesaminati in fatto – sia emersa non una mera adesione psicologica alla ideologia estremistica ma una struttura di un vero e proprio reato associativo con finalità terroristica di matrice islamica costituito da «una cellula organizzata volta alla possibile, effettiva e concreta messa in atto di azioni terroristiche». La compatibilità delle argomentazioni sottese all' individuazione della partecipazione per adesione con la necessità della verifica, in concreto, della idoneità della stessa a porre in pericolo il bene giuridico tutelato sembra, peraltro, ben emergere dalla decisione in commento. La ricostruzione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato ha posto in luce una pluralità di dati oggettivi. È emerso che i tre indagati erano soliti abitare nella medesima abitazione, luogo di incontro e di preghiera anche per numerosi altri soggetti di religione islamica; che nei mesi da gennaio a marzo 2017, erano dediti a attività di addestramento e autoaddestramento per il compimento di atti terroristici, sia allenandosi fisicamente, sia mediante la visione di video promozionali, diffusi dall'organizzazione terroristica internazionale, nei quali venivano fornite spiegazioni sulle tecniche di aggressione ed uccisione utilizzando armi da taglio e fornite istruzioni per la fabbricazioni di esplosivi; che nel corso degli incontri quotidiani gli indagati esprimevano la loro adesione all'ideologia jihadista, inneggiando al martirio, ed agli attentati realizzati nei paesi dell'occidente, ed ipotizzando in un'occasione la possibile commissione di un'azione terroristica proprio nel territorio italiano attraverso l'esplosione di una bomba con obiettivo il ponte di una città italiana; che, vi era una suddivisione di ruoli, «sia pure embrionale»: due di loro svolgevano attività di istigazione pubblica diretta ad emulare le gesta dei miliziani dell'organizzazione terroristica di riferimento, attraverso i profili dei social network a loro riferibili, nei quali venivano diffusi messaggi promozionali e immagini relative alla jihad violenta antioccidentale, condividendoli nelle finalità ed esprimendo la volontà di mettere in pratica quanto appreso e visionato; l'altro indagato fungeva da guida spirituale, diffondendo i sermoni degli imam sostenitori della jihad estremista violenta, fornendo loro istruzioni sull'addestramento fisico necessario e su tecniche di combattimento e contribuendo alla formazione religiosa di coloro che frequentavano l'abitazione. Congrua, è poi, ritenuta la motivazione sulla realizzazione dell'istigazione alla violenza stragista, della manifestazione di propositi di commettere attentati e di singoli omicidi di “infedeli”, ed ancora della sussistenza della volontà di distruggere le chiese per trasformarle in moschee, e della serietà dell' indicazione dell'Italia come obiettivo dell'attività terroristica anche attraverso la condivisione collettiva di video con istruzioni per la fabbricazione di esplosivi. A prescindere dalla fattispecie concreta sottesa alla sentenza in commento – che si è ritenuto di descrivere per completezza espositiva – è evidente che i giudici di legittimità abbiano ampiamente considerato il delicato contesto nel quale “inserire” il principio di diritto sulla configurabilità del delitto in esame attraverso la partecipazione per adesione, accordandolo con il principio di offensività, come declinato in materia di reati di pericolo. Nel delineare un modello di partecipazione all'associazione con finalità di terrorismo, caratterizzato da modalità di adesione “aperte” e spontaneistiche, tali da non implicare un'accettazione formale del negozio sociale da parte dell'apparato del sodalizio ma che, invece, propongono l'inclusione in progress di individui o “cellule”, che condividono l'obiettivo terroristico e la sua dimensione di matrice religiosa estremista, il Collegio, pur intervenendo in modo innovativo sui caratteri della associazione, non pare essersi discostato dagli approdi della giurisprudenza di legittimità e costituzionale. Resta da vedere come il giudice attui il suo giudizio sulla configurabilità del delitto di cui all'art. 270-bis c.p. quando debba valutare gli elementi fattuali a sua disposizione non più, soltanto, alla luce dei criteri interpretativi elaborati finora – quali quelli della presenza di una struttura organizzativa tale da rendere possibile l'attuazione del programma criminoso, della concretezza ed effettività di azione, dell'esistenza di un minimum organizzativo, della sussistenza di sodalizio flessibile e discontinuo, ed ancora della generica disponibilità ad unirsi ai combattenti in nome della guerra islamica, della esistenza di un progetto di azioni terroristiche concrete – ma, dopo la sentenza in esame, quando debba affermare se sia configurabile la partecipazione all'associazione terroristica, mediante la «modalità adesiva e spontaneistica», illustrata nella decisione. In conclusione, ancora una volta, si coglie in pieno come la valutazione della sussistenza degli elementi oggettivi costitutivi del reato richieda un'analisi rigorosa, da condurre attraverso tutti gli strumenti posti a disposizione dall' ordinamento penale; spetterà al giudice comune la verifica della idoneità a mettere a repentaglio i beni giuridici protetti, facendo leva – come affermato più volte dalla Corte costituzionale (ad esempio, nella sentenza n. 109 del 2006) - sulla figura del reato impossibile di cui all'art. 49 c.p., oppure, secondo altra prospettiva, tramite il riconoscimento del difetto di tipicità del comportamento oggetto di giudizio. |