Circonvenzione del contraente menomato. La Cassazione lascia ancora qualche ombra sul concetto di induzione
23 Novembre 2017
Massima
Per ritenere sussistente il delitto di circonvenzione di persona ritenuta incapace al momento in cui ha partecipato alla stipula di un contratto a prestazioni corrispettive, quale quello di espletamento di attività professionale difensiva, occorre sia provato l'elemento della induzione; prova che tuttavia potrebbe essere raggiunta in forma indiretta, sulla base di elementi indiziari e di carattere logico, avendo riguardo alla natura dell'atto, all'oggettivo pregiudizio da esso derivante al contraente debole ovvero, tramite questi, a terzi e di ogni altro accadimento connesso alla vicenda giuridica sostanziale. Il caso
Vicenda processuale alquanto tormentata. In margine ad un giudizio tributario promosso dal contribuente, mediante ricorso avverso un avviso di accertamento fiscale per un importo di circa € 800.000, assistito e difeso dai due professionisti indagati con esito favorevole, su impugnazione della Agenzia delle entrate gli stessi indagati ricevevano analogo mandato difensivo dalla sorella quale erede del contribuente nelle more deceduto . Per l'assistenza, consulenza ed espletamento di tale difesa i due professionisti concordavano ed ottenevano dalla nuova cliente a titolo di compenso la complessiva somma di € 61.250,79 che assoggettata ad Iva costituiva oggetto di una regolare fattura fiscale per € 77.715,00 che la stessa versava eseguendo la corrispondente operazione di pagamento in uscita sul proprio conto bancario. L'atto di disposizione così operato veniva ritenuto dannoso per il patrimonio della solvente, avendolo costei, persona ottantacinquenne priva di parenti prossimi, compiuto in condizioni di menomazione psichica. Nel corso del procedimento penale a carico dei due difensori iscritto per il reato di cui all'art. 643 c.p. commesso in danno di una donna molto anziana ritenuta affetta, al momento della disposizione patrimoniale, da deficit psichico, è venuta ad innestarsi una complessa fase subprocedimentale di natura cautelare reale attraverso un provvedimento di sequestro preventivo per equivalente, disposto ed eseguito a carico degli indagati per un importo pari alla somma di cui infra percepito a titolo di compensi ed accessori ed esattamente riportata nella fattura professionale acquisita. La impugnazione cautelare che ne è seguita ha finito per registrare, ancor prima della sentenza in commento, plurimi interventi dei giudici di legittimità attraverso altrettante decisioni di annullamento con conseguenti rinvii al medesimo tribunale del riesame (sentenze nn. 12896, 12897 e 38419/2016) sino ad approdare al più recente con cui la Corte di cassazione ha ritenuto di circoscrivere il tema giuridico residuale cristallizzandolo in quello espresso nella massima redazionale sopra evidenziata. L'ultimo provvedimento emesso dal tribunale l'11 gennaio 2017 ancora in sede di riesame da rinvio per annullamento del precedente è stato fatto oggetto di distinti e contrapposti ricorsi del pubblico ministero e dei difensori di entrambe le persone fisiche sottoposte alle indagini. La questione
Partendo dall'insegnamento di legittimità ormai consolidato, con la decisione in esame vengono in primo luogo ribaditi gli elementi oggettivi e soggettivi che debbono congiuntamente sussistere per configurare il delitto di cui all'art. 643 c.p. Occorre che tali elementi siano individuabili nella ricorrenza accertata delle seguenti concomitanti situazioni: a) la minorata condizione di autodeterminazione del soggetto passivo (minore, infermo psichico e deficiente psichico) in ordine ai suoi interessi patrimoniali; b) l'induzione a compiere un atto che comporti, per il soggetto passivo e/o per terzi, effetti giuridici dannosi di qualsiasi natura, che deve consistere in un'apprezzabile attività di pressione morale e persuasione che si ponga, in relazione all'atto dispositivo compiuto, in rapporto di causa ad effetto; c) l'abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo, che si verifica quando l'agente, ben conscio della vulnerabilità del soggetto passivo, ne sfrutti la debolezza per raggiungere il fine di procurare a sé o ad altri un profitto (in tali precisi termini, prima della decisione in esame, Cass. pen., Sez. II, 20 giugno 2013, n. 39144). Ciò nonostante, la stessa giurisprudenza di legittimità non ha mancato di ribadire le premesse generali della fattispecie astratta: la comprovata certezza della infermità o della grave menomazione psichica al momento del compimento dell'atto e la oggettiva riconoscibilità della minorata capacità (Cass. pen., Sez. II, 13 dicembre 2013, n. 1419, Pollastrini). Tra queste puntualizzazioni, la operazione ricostruttiva che sul piano della prova continua a rappresentare serie “criticità” nella elaborazione giurisprudenziale di legittimità, attiene alla consistenza dell'elemento della induzione attesa la indiscutibile centralità della relativa condotta. Le soluzioni giuridiche
La semplice richiesta rivolta al soggetto ritenuto incapace di compiere un atto giuridico dispositivo è da considerarsi pur sempre un dato neutro (sin da Cass. pen., 19 novembre 1999, n. 13308; Cass. pen., 18 novembre 2004, n. 44869; Cass. pen., 1 luglio 2008, n. 31320). Perché trasmodi in re illicita è necessario che la condotta del soggetto richiedente sia connotata da un quid pluris, che sul piano probatorio può anche non emergere con diretta evidenza ma può desumersi per via indiziaria partendo da una base di induzione logica. Posto che secondo la comune accezione circonveniresignifica raggirare, insidiare, circuire con artifici, il sostantivo adoperato dal Legislatore penale è correlato alla particolare condizione di minorazione psichica del soggetto passivo della azione insidiosa e raggirante . È sul punto della condotta induttiva che la pronuncia mostra incompletezza quanto al profilo di diritto, non mancando tuttavia di precisare che se si è di fronte alla conclusione da parte del soggetto passivo di un contratto a prestazioni corrispettive sorto come nel caso di specie, nel campo della prestazione d'opera intellettuale, l'eventuale «squilibrio tra prestazione professionale e compenso erogato» e, quindi, tra «il danno ed il vantaggio […], in tanto rilevano in quanto costituiscono elementi sulla base dei quali, unitamente ad una valutazione complessiva di tutte le circostanze del caso di specie, debba inferirsi la sussistenza di una attività di induzione posta in essere nei confronti della vittima funzionale a farle compiere l'atto di per sé pregiudizievole». Osservazioni
Anche se il dettato normativo espresso dall'art. 643 c.p. chiarisce, quanto all'evento, che al compimento dell'atto da parte della persona incapace, allorché indotta a porlo in essere per effetto di una condotta abusiva dell'agente, debbono far seguito conseguenze giuridiche dannose a svantaggio anche di persone diverse dalla vittima del reato, resta pur sempre prevalente la patrimonialità della tutela apprestata al soggetto debole, venendo quasi sempre in luce in tal tipo di delitto la allegazione di un pregiudizio di natura economica, utilizzata soprattutto per caratterizzare l'ingiustizia dell'evento medesimo. È perciò naturale, sul piano essenzialmente logico, che un evento siffatto debba risultare con certezza quale effetto di un atto dispositivo che la persona incapace ha compiuto non spontaneamente, ma solo perché persuasa dalla condotta abusiva del soggetto attivo il quale, pienamente consapevole della oggettiva condizione di inferiorità psichica del disponente, ne approfitta. In presenza di un atto dispositivo ad effetto svantaggioso per l'autore “debole” o per un terzo, se si prova a rimuovere mentalmente la condotta abusiva del soggetto attivo e l'effetto che ne residua dimostra che l'atto sarebbe stato comunque posto in essere, il reato viene meno, mancando il collegamento dell'atto stesso e, quindi, dell'evento pregiudizievole ad un abuso. Può perciò ritenersi sussistente l'abuso allorché il soggetto attivo, ben consapevole della condizione di inferiorità psichica del soggetto passivo, non si limiti a prendere atto, ciò nonostante, della disponibilità di quest'ultimo a compiere l'atto ad effetti potenzialmente dannosi per sé o per altri, ma in assenza di una determinazione spontanea risulti mosso da intento frodatorio ponendo conseguentemente in essere sulla persona incapace una apprezzabile attività di suggestione, di pressione morale, di persuasione (ad esempio mediante consigli, esortazioni, promesse, lusinghe) finalizzata a condizionare la volontà minorata del soggetto passivo sino a determinarla al compimento dell'atto pregiudizievole (dolo specifico). È questo il risultato che può considerarsi frutto della induzione. Sicché non può ritenersi configurato l'elemento induttivo nella condotta a carico di chi semplicemente si giovi delle menomate condizioni psichiche del soggetto passivo (così sin da Cass. pen., 29 luglio 1978, CED 139861). Per sforzarsi di superare ogni equivoco interpretativo, la centralità dell'elemento della induzione deve configurarsi all'interprete alla stregua di un sostanziale nesso di causalità intercorrente tra l'abuso dell'agente sulla psiche della vittima ed il compimento dell'atto da parte di questa; atto che deve comunque connotarsi come dannoso per la stessa nei sensi evidenziati infra e, al contempo, risultare a valenza ingiustificatamente vantaggiosa per l'agente (aspetto, quest'ultimo, caratterizzante la specificità dell'elemento psicologico doloso). Si finirebbe invece per cadere in una perniciosa contraddizione in termini se, in relazione agli effetti dell'atto concluso dal minorato, si affermasse la ricorrenza del reato sulla base di un profitto non ingiusto in capo al soggetto attivo in presenza, allo stesso tempo, di una offesa al patrimonio del soggetto indotto; non potendo lo squilibrio conseguente essere ascritto a titolo negativo al primo perché il vantaggio da questi conseguito non è qualificabile come contrario al diritto. In tali sensi appare possibile colmare il deficit motivazionale che affiora dalla sentenza in esame in punto di tipizzazione del modello legale della condotta di induzione, al fine di contribuire ad un più rassicurante percorso interpretativo di siffatto elemento costitutivo essenziale del reato di circonvenzione di persone incapaci. ANTOLISEI, Manuale di Diritto Penale, 2002, Milano, Parte Speciale, vol. I, pp. 380 ss.; FERRANTE, La circonvenzione di persone incapaci, Torino, 1999; MARINI, Incapaci (circonvenzione di), di Dig. Pen.,Torino, 1992, vol. VI, pp. 308 ss.,; PEZZANO, Circonvenzione di incapaci e “depatrimonializzazione” del bene tutelato, ivi, 1993, pp. 415 ss.; PISAPIA, Circonvenzione di persone incapaci, in Novissimo Digesto Ital., 1959, vol. III, pp. 254 ss.; SINISCALCO Circonvenzione di persone incapaci, in Enciclopedia del Diritto, vol. VII, 1960, pp. 45 ss. |