Induzione indebita a dare o promettere utilità e violenza sessuale: è configurabile il concorso tra i due delitti?
31 Marzo 2016
Massima
Il delitto di induzione indebita di cui all'art. 319-quater c.p. può concorrere con il reato di violenza sessuale per induzione di cui all'art. 609-bis, comma 2, n. 1, c.p., essendo diversi i beni giuridici protetti e differendo sul piano strutturale le condotte poste in essere dal soggetto agente. Il caso
La Corte di appello di Genova confermava la sentenza emessa dal Gup della medesima città in seguito a rito abbreviato e condannava l'imputato a quattro anni e otto mesi di reclusione per i delitti di concussione ex art. 317c.p. e di violenza sessuale, uniti dal vincolo della continuazione. Gli episodi contestati risalivano agli ultimi mesi del 2010, quando un comandante dei carabinieri, durante alcuni controlli nei confronti di cittadine extracomunitarie che esercitavano la prostituzione, persuadeva una di esse a tenere gratuitamente rapporti sessuali con lui. Per convincere la donna, il pubblico ufficiale le prospettava la possibilità di segnalare all'Autorità talune irregolarità rispetto alla sua posizione sul territorio nazionale. La vittima, intimorita dalle conseguenze negative di un eventuale rifiuto e in stato di forte soggezione dinanzi al pubblico ufficiale, acconsentiva per due volte alle richieste sessuali di quest'ultimo. Avverso le condanne ricevute nei due gradi di giudizio precedenti, fondate quasi esclusivamente sulle attendibili dichiarazioni della persona offesa, il carabiniere, tramite il proprio difensore, proponeva un articolato ricorso per Cassazione. L'imputato si doleva in particolare dell'erronea qualificazione giuridica della condotta ascrittagli, che avrebbe dovuto essere sussunta nella nuova figura di cui all'art. 319-quater c.p., introdotta dalla legge 190/2012 nelle more del giudizio d'appello. Nella tesi difensiva si sosteneva come la ricostruzione fattuale svolta dai giudici di merito non evidenziasse alcun comportamento costrittivo, minaccioso o violento da parte del pubblico ufficiale, che si era limitato a persuadere la donna, prospettandole dei vantaggi qualora avesse acconsentito alle sue richieste sessuali. Alla luce di ciò, il ricorrente chiedeva la derubricazione della condotta concussiva nella meno grave ipotesi di induzione indebita. La questione
La questione posta all'esame dei giudici di legittimità è la seguente: la condotta dell'imputato, qualora integri gli estremi di una induzione ex art 319-quaterc.p., potrebbe concorrere con il delitto di violenza sessuale? Le soluzioni giuridiche
Per rispondere a tale quesito, la suprema Corte analizza preliminarmente la distinzione tra la nozione di concussione e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità, ripercorrendo il ragionamento svolto dalle Sezioni unite nella celebre pronuncia del 2013 (cfr. Cass.pen., Sez. un., 24 ottobre 2013, n. 12228). La fattispecie ex art. 317 c.p. si caratterizza per un abuso costrittivo da parte del pubblico ufficiale, che si attua alternativamente con una violenza fisica ovvero, nella maggior parte dei casi, con una minaccia, implicita o esplicita. La vittima subisce quindi una grave limitazione della propria libertà di autodeterminazione, tant'è che è posta dinanzi a un'alternativa secca: subire certamente un danno contra ius oppure evitarlo cedendo alla costrizione altrui. Ben diverso il caso previsto dall'art. 319-quaterc.p., laddove la condotta del pubblico funzionario non integra gli estremi della violenza o minaccia ma si configura come una mera persuasione, un'allusione o una qualsiasi pressione morale di minore intensità, che lascia un significativo margine decisionale in capo al privato, il quale agisce non tanto per evitare un danno ingiusto quanto per ottenere un tornaconto personale. La regola generale sancita dalle Sezioni unite – che può trovare applicazione nella gran parte delle situazioni, ad eccezione di quelle ambigue o borderline – è chiara: minaccia e danno ingiusto sono i requisiti richiesti dall'art. 317 c.p., mentre non minaccia e indebito vantaggio del privato integrano il reato di cui all'art. 319-quaterc.p. (principio di diritto seguito in numerose pronunce successive: cfr., ex plurimis, Cass.pen., Sez. VI, 15 luglio 2014, n. 47014; Cass.pen., Sez. III, 7 luglio 2014, n. 37839). Ricostruito così il quadro normativo e giurisprudenziale, i giudici della III Sezione analizzano le peculiarità del caso in esame. Dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, si evincono alcuni aspetti fondamentali per l'accoglimento del motivo di ricorso e la conseguente sussunzione della condotta nell'alveo del meno grave illecito di induzione indebita: manca, infatti, una costrizione vera e propria da parte del carabiniere, che non ha posto in essere neanche un comportamento larvatamente minaccioso. A seguito della riqualificazione del fatto, la Cassazione si sofferma – ed è questo l'aspetto maggiormente interessante della pronuncia – sulla compatibilità o meno del reato ex art. 319-quaterc.p. con quello di violenza sessuale. Con una puntuale ed esaustiva motivazione, i giudici rigettano la tesi prospettata nel ricorso difensivo, secondo la quale vi sarebbe un'automatica inconciliabilità tra i due delitti, data l'assenza della costrizione, richiesta dall'art. 609-bis, comma 1, c.p. Per giungere a tale risultato, la suprema Corte ritiene necessario “rimodulare” anche la condotta di violenza sessuale originariamente contestata nella diversa figura disciplinata dal comma 2, n. 1, del medesimo art. 609-bisc.p., che punisce, sempre con una reclusione da cinque a dieci anni, l'induzione mediante l'abuso delle altrui condizioni di inferiorità fisica o psichica. Nel caso de quo, infatti, la donna non era stata costretta compiere l'atto sessuale, ma era stata indotta a cedere alle proposte del pubblico ufficiale proprio perché si trovava in uno stato di forte soggezione. Così riformulati, gli illeciti di induzione indebita e di violenza sessuale per induzione sono conciliabili e possono tranquillamente concorrere tra loro poiché posti a tutela di beni giuridici diversi: l'art. 609-bisc.p. salvaguarda la libertà di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale, a differenza dell'art. 319-quaterc.p. che garantisce il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione. Non solo: le stesse condotte dei reati, seppure accomunate da un nucleo centrale di induzione nei confronti della persona offesa, si differenziano strutturalmente per ciò che concerne la nozione di abuso. Tale requisito – si legge in uno dei passi più significativi della sentenza – è riferibile, per ciò che concerne l'induzione indebita, al soggetto agente, il quale abusa delle proprie qualità o dei propri poteri, mentre nel caso della violenza sessuale si ricollega alle condizioni della persona offesa. Quest'ultima, trovandosi in una posizione di inferiorità o debolezza per le ragioni più disparate, viene difatti convinta ad aderire ad atti sessuali che non avrebbe altrimenti compiuto (cfr., sulla nozione di abuso delle condizioni di inferiorità, Cass.pen., Sez. III, 14 aprile 2010, n. 20766; Cass.pen., Sez. III, 5 giugno 2007, n. 35878). Osservazioni
La sentenza in commento è di particolare interesse perché afferma a chiare lettere la possibilità di concorso formale tra il delitto di cui all'art. 319-quaterc.p. e quello di violenza sessuale, nella forma di induzione mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della persona offesa. I giudici della III Sezione si sono profusi in un pregevole sforzo argomentativo, nel quale hanno sottolineato le differenze esistenti tra i due reati, sia sul piano del bene giuridico protetto sia dal punto di vista delle condotte. In precedenza, la giurisprudenza si era occupata solamente del rapporto tra il delitto di concussione e quello ex art 609-bis c.p., giungendo alla medesima conclusione (cfr. Cass.pen., Sez. VI, 9 gennaio 2009, n. 9528, ai sensi della quale il reato di violenza sessuale commesso mediante abuso della qualità e dei poteri del pubblico ufficiale può concorrere formalmente con il reato di concussione, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, posti a salvaguardia di distinti valori costituzionali, rappresentati dal buon andamento della pubblica amministrazione e dalla libertà di autodeterminazione della persona nella sfera sessuale; si veda anche Cass.pen., Sez. VI, 4 novembre 2010, n. 8894; Cass.pen., Sez. III, 20 novembre 2007, n. 1815). Per ciò che concerne la posizione del soggetto privato nella fattispecie di induzione indebita, è opportuno sottolineare come la riforma del 2012 ha introdotto la punibilità dello stesso: il comma 2 dell'art. 319-quaterc.p. sanziona con la reclusione sino a tre anni colui che, dopo essere stato persuaso o indotto, dà o promette denaro o altre utilità al pubblico funzionario. Nel caso in esame, tuttavia, la donna ha posto in essere la propria condotta prima dell'entrata in vigore della novella legislativa e dunque, per il principio di irretroattività della legge penale incriminatrice, non può essere punita (cfr., sulla nuova incriminazione per il privato, Cass.pen., Sez. VI, 3 dicembre 2012, n. 3251, la quale si sofferma anche sul problema della successione delle leggi penali nel tempo per quanto riguarda il soggetto pubblico che realizza una concussione per induzione, non più prevista dall'art. 317c.p. In tal caso, non vi è alcuna abolitio criminis ma solamente una successione modificativa:l'agente risponde per induzione indebita ex dell'art. 319-quaterc.p., norma più favorevole ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p.). Il Titolo II del Libro II del codice penale è stato oggetto di profonde modifiche negli ultimi anni, che hanno contribuito a riscrivere alcuni tra i più importanti delitti contro la pubblica amministrazione. La l. 190/2012, in particolare, ha operato il c.d. “spacchettamento” della concussione, introducendo ex novo la figura di induzione indebita a dare o promettere utilità, nella quale viene punito non solo il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, ma anche il soggetto privato. Per una più ampia analisi di tutte le novità introdotte si vedano, tra i tanti, MATTARELLA-PELISSERO (a cura di), La legge anticorruzione. Prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013; SPADARO-PASTORE, Legge anticorruzione (l. 6 novembre 2012, n. 190), Milano, 2012. A seguito della riforma, si è resa necessaria una più precisa delimitazione delle condotte di induzione e di costrizione, che integrano non più il medesimo reato ma le diverse fattispecie ex art. 319-quater e 317 c.p. Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite che, con la sentenza citata in precedenza, hanno dettato un principio di diritto valevole nella gran parte dei casi (cfr. Cass., Sez. Un., 24 ottobre 2013, n. 12228, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 1532, con nota di GATTA, La concussione riformata, tra diritto penale e processo. Note a margine di un'importante sentenza delle Sezioni Unite). Da ultimo, il legislatore ha modificato nuovamente alcuni delitti previsti nel Titolo II con la legge 27 maggio 2015, n. 69. Tale provvedimento ha operato un generale innalzamento delle cornici edittali e ha re-introdotto, nel novero dei soggetti attivi del delitto di cui all'art. 317 c.p., l'incaricato di pubblico servizio. Sul punto si rinvia a MILONE-PILOTTO, Gli interventi della l n. 69/2015 sui delitti contro la p.a. e l'associazione di tipo mafioso: “molto rumore per nulla”?, in www.lalegislazionepenale.eu, 11 gennaio 2016;PITTARO, Disposizioni penali per la prevenzione e repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione (l. 190/2012 e l. 69/2015), in PITTARO (a cura di), La normativa penale 2012-2015. La disciplina anticorruzione e le principali innovazioni alla parte generale del codice penale, Trieste, 2015, in particolare 107 ss. |