Condanna comminata da A.G. di un paese aderente al CAAS e fungibilità della pena
30 Novembre 2016
Massima
Quando si è riportata condanna in un Paese aderente alla Convenzione di applicazione dell'Accordo di Shengen, non è ammissibile la richiesta formulata per la fungibilità della pena espiata per fatti di reato differenti a livello naturalistico, oltre che differenti come nomen juris, da quelli per i quali si è subita condanna in Italia. Il caso
In qualità di giudice dell'esecuzione, il tribunale di Trento rigettava la richiesta di S.V. di fungibilità della pena carceraria patita in altro Paese a seguito di condanna per fatti che, pur se differenti da quelli per cui era stato condannato in Italia, erano indicati dall'istante come fatti medesimi sotto il profilo naturalistico (nello specifico il S.V. era stato condannato in Svizzera per tentato furto con la circostanza aggravante di essersi associato ad una banda intesa a commettere furti mentre in Italia era stato condannato con sentenza del Gup di Trento per riciclaggio di autoveicolo e partecipazione ad un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti). Avverso il rigetto, S.V. proponeva ricorso insistendo sul principio del fatto medesimo sussistente anche oltre la diversità formale in rubrica; il P.G. chiedeva il rigetto del ricorso evidenziando che la fungibilità è concedibile quando la detenzione sofferta all'estero riguarda un fatto di reato per cui si è proceduto in Italia o la cui esecuzione è stata portata a compimento almeno parziale in Italia ma non quando, come nel caso di specie, i fatti erano storicamente differenti. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso ritenendolo infondato. La questione
I giudici di legittimità, nella sentenza in commento, affrontano il tema processuale del ne bis in ideme il tema della fungibilità della condanna riportata e interamente scontata all'estero nel computo esecutivo con la condanna riportata in Italia. Le soluzioni giuridiche
La dottrina individua differentemente la ratio di compensazione dell'art. 657 c.p.p.: alcuni Autori la interpretano come un'esigenza finalizzata ad evitare che il prevenuto sconti due volte una pena senza motivo, anche se relativamente ad altro fatto; altri ritengono che con tale norma si dia prevalenza al favor libertatis, al quale deve (n.d.a.: dovrebbe) essere improntata l'intera legislazione; altri, infine, ritengono che tale esigenza di compensazione serva in particolare nel computo della c.d. carcerazione preventiva. Senza dubbio, comunque, tale istituto rappresenta un tipico esempio di come e quanto possa mutare la fase esecutiva con il trascorrere del tempo e le modifiche apportate dall'evoluzione giurisprudenziale. Il principio ne bis in idem, invece, è riconosciuto quale diritto individuale da tutti gli strumenti giuridici internazionali per la protezione dei diritti dell'uomo e da tutti i sistemi giuridici che si ispirano al concetto del rispetto e della protezione delle libertà fondamentali. Nel quadro convenzionale comunitario detto principio è espressamente contemplato dalla Convenzione tra gli Stati Membri della Comunità europea, firmata a Bruxelles il 25 maggio 1987; dalla Convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985, firmata il 19 giugno 1990; nell'ambito della cooperazione giudiziaria prevista dal Titolo VI del trattato sull'Unione europea, dalla Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee del 26 luglio 1995 (articolo 7) e dalla Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione di funzionari delle Comunità Europee o degli Stati membri dell'Unione europea del 26 maggio 1997 (articolo 10). Nel sistema di diritto penale internazionale, inoltre, questo principio è espressamente sancito nella Convenzione del Consiglio d'Europa sulla efficacia internazionale delle sentenze penali del 28 maggio 1970 (articoli 53-55); nella Convenzione del Consiglio d'Europa sul trasferimento dei procedimenti penali del 15 maggio 1972 (articoli 35-37); nella Convenzione tipo delle Nazioni Unite sul trasferimento dei procedimenti penali adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella risoluzione 45/118 del 14 dicembre 1990; negli statuti costitutivi del tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia del 17 maggio 2002 (articolo 10), del tribunale penale internazionale per il Ruanda dell'8 novembre 1994 (articolo 9), della Corte penale internazionale di Roma del 17 luglio 1998 (articolo 20). Tale principio generale, però, soffre di alcune limitazioni, inserite negli strumenti pattizi sopra citati, relative alla riaffermazione del criterio di territorialità e/o allo status particolare rivestito dall'autore del reato o dalla persona offesa e/o ora alla tutela degli interessi essenziali dello stato. Con nota pronuncia sul principio ne bis in idem, le Sezioni unite, con la sentenza della Cassazione. del 28 giugno 2005, n. 34655, si erano espresse favorevolmente circa l'ammissibilità della pronuncia di non doversi procedere perché l'azione penale non doveva essere promossa, nelle ipotesi di litispendenza, anche in assenza di un provvedimento irrevocabile, poiché (…) rende la duplicazione dello stesso processo incompatibile con le strutture fondanti dell'ordinamento processuale e ne permette la rimozione con l'impiego dei rimedi enucleabili dal sistema; inoltre, le Sezioni unite avevano statuito che (...) l'art. 649 costituisce un singolo, specifico, punto di emersione del principio del ne bis in idem, che permea l'intero ordinamento dando linfa ad un preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull'identica res judicanda, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturate al sistema. A tale divieto va attribuito, pertanto, il ruolo di principio generale dell'ordinamento dal quale, a norma del secondo comma dell'art. 12 delle Preleggi, il giudice non può prescindere quale necessario referente dell'interpretazione logico-sistematica. Alle questioni interpretative e applicative interne, tuttavia, al fine di comprendere la sintetica motivazione della sentenza oggetto di commento, occorre sommare l'analisi delle questioni emerse in sede sovra nazionale con l'Accordo di Schengen e la successiva Convenzione di Applicazione dell'Accordo medesimo (CAAS). Con il Trattato di Schengen del 1985, successivamente integrato nel Diritto dell'Unione europea a seguito del Trattato di Maastricht (firmato il 7 febbraio del 1992 ed entrato in vigore il 1° novembre del 1993) e del Trattato di Amsterdam (firmato il 2 ottobre del 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio del 1999), e la successiva Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen (CAAS), si rinviene ampio riferimento al ne bis in idem. Per l'esattezza, tutto il terzo capitolo della CAAS è dedicato specificamente alla applicazione del principio ne bis in idem e l'art. 54, richiamato nella sentenza che si commenta, indica che Una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un'altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita. Di recente, la suprema Corte di giustizia, Sezione quarta, in data 5 giugno 2014, aveva statuito il seguente principio: L'articolo 54 della convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990, deve essere interpretato nel senso che una decisione di non luogo a procedere che osta, nello Stato contraente in cui tale decisione è stata emessa, a un nuovo procedimento penale per i medesimi fatti contro la stessa persona che ha beneficiato di detta decisione, salvo sopravvenienza di nuovi elementi a carico di quest'ultima, deve essere considerata una decisione che reca una sentenza definitiva, ai sensi di tale articolo, e che preclude pertanto un nuovo procedimento contro la stessa persona per i medesimi fatti in un altro Stato contraente (CGE, M., C. 398-12). Risulta, quindi, che sia in sede interna sia in sede sovra nazionale, al fine di valutare correttamente un'eventuale ripetizione del processo penale e/o della relativa pena comminata e, poi, attribuire il pieno favor alla persona interessata, è essenziale verificare la sussistenza di fatto medesimo. Su tale concetto, la suprema Corte di Cassazione ha dettato talune regole di ordine generale: per fatto medesimo deve intendersi il fatto in senso naturalistico e non il fatto-reato in senso giuridico, sia perché la differenza tra le legislazioni dei vari Paesi difficilmente consente una compiuta definizione di termini tra le varie figure criminose dei distinti ordinamenti, sia perché nell'ambito della stessa giurisdizione italiana l'inizio del procedimento con una data contestazione è situazione valutabile allo stato degli atti, e non obbliga il giudice ad una definizione conforme, potendo, nel corso del procedimento, operarsi qualificazioni giuridiche diverse (Cass. pen., 2 marzo 1995, Monteleone). Inoltre, è necessario che via sia identità cronologica e materiale tra gli elementi del fatto già giudicati e quelli del fatto attribuito alla medesima persona nel nuovo procedimento, con la conseguenza che non può sussistere l'identità del fatto in caso di diversità anche di uno solo degli elementi materiali del reato, ossia condotta, evento e rapporto di causalità (Cass. pen., 1 giugno 1992, Di Carlo); mentre, non è necessario, ai fini del riconoscimento, che il reato riceva analogo o identico trattamento sanzionatorio nell'ordinamento italiano ed in quello straniero. Infine, si deve segnalare che anche le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno optato per una soluzione ermeneutica incentrata sul criterio dell'identità del fatto, affermando, sia pure sul piano del diritto interno, che ai fini della preclusione connessa al principio ne bis in idem, l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass. pen., Sez. un., 28 giugno 2005, n. 34655) D'altronde, per la suprema Corte non rileva neppure l'applicazione dell'istituto della continuazione che, sul punto, ricorda che, con precedente statuizione, si è affermato che l'art. 81 cpv è (…) volto a mitigare l'entità della pena complessivamente inflitta in relazione a reati costituenti espressione di un medesimo disegno criminoso, ciascuno dei quali, però, conserva la sua autonomia fenomenologica (Cass. pen., Sez. I, 4 luglio 2008 n. 31943). Si ribadisce, quindi, come funzionale all'applicabilità del principio ne bis in idem con procedimenti stranieri la medesimezza del fatto di reato, sotto il profilo di tempo, luogo, soggetti e condotta. Viene, quindi, conclusivamente ribadito il seguente principio di interpretazione sistemica: La diversità dei fatti di reato commessi costituisce mancanza di un presupposto indispensabile per l'accoglimento dell'istanza di fungibilità della pena patita in un Paese aderente al CAAS e la pena comminata in Italia. Osservazioni
Su tale tematica, non deve sfuggire la lettura di una sentenza del tribunale di Milano, Ufficio del giudice per le indagini preliminari, Dott.ssa Curami, emessa il 6 novembre 2011, con la quale si è motivato, con estrema dovizia di riferimenti normativi nazionali e sovra-nazionali, sulla diretta applicabilità nel nostro ordinamento della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e, in particolare, dell'art. 50 sul principio ne bis in idem, con l'effetto di travolgere le riserve che lo Stato italiano aveva formulato in sede di ratifica della Convenzione per l'Attuazione dell'Accordo di Schengen. |