Ed adesso abbiamo anche il “sindaco di fatto”…
30 Giugno 2016
Massima
L'invalidità della delibera sociale di conferimento dell'incarico di componente del collegio sindacale – ovvero la sopravvenuta mancanza dei requisiti di legge per l'esercizio del medesimo incarico – non incide, una volta accettato l'incarico, sulla insorgenza in capo al soggetto nominato, ancorché illegittimamente per il predetto vizio, della relativa posizione di garanzia ai sensi del capoverso dell'art. 40 c.p. in relazione agli illeciti societario fallimentari realizzati da altri soggetti nell'ambito della gestione della medesima persona giuridica. Il caso
Nell'ambito di un procedimento per bancarotta fraudolenta, in sede di merito venivano condannati per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, accanto gli amministratori della società, anche i componenti del collegio sindacale. Questi ultimi ricorrevano per cassazione censurando le decisioni che le ricordavano in particolare perché le stesse non avevano considerato che la loro imputazione nella qualità di componente del collegio sindacale era giuridicamente errata per il fatto che gli stessi da tempo non ricoprivano più ricoperto la qualifica di revisore contabile e dunque non potevano neanche rivestire l'incarico di sindaco, cosicché essendo nulla la deliberazione sociale della sua nomina, non potevano neanche considerarsi formalmente investiti della posizione di garanzia e come tale non erano imputabili ai sensi dell'art. 40, cpv, c.p. Le questioni giuridiche
Come è noto, la figura dei soggetti di fatto ha trovato una attenta e compiuta elaborazione nell'ambito del diritto penale commerciale, sia con riferimento agli illeciti societari che in relazione ai reati di bancarotta, avendo sostenuto tanto la dottrina che la giurisprudenza che la responsabilità penale per la suddetta tipologia di reati deve riguardare anche coloro che, senza essere investiti formalmente da nessuna delle cariche e qualifiche societarie descritte e considerate dagli artt. 2621 ss. c.c.. e art. 216 ss. r.d. 267 del 1942, esercitino di fatto le relative funzioni (Cass. pen., Sez. V, 11 novembre 2009, in Fall., 2010, 679; Cass. pen., Sez. V, 17 gennaio 1996, Giumento, in Cass. pen. 1997, p. 547; Cass.pen., Sez. V, 22 aprile 1998, Galimberti, ivi, 2000, p. 3451). A sostegno di tale tesi sono state richiamate numerose ragioni, incentrate tutte, essenzialmente, sulla circostanza che il cosiddetto amministratore di fatto, a prescindere dall'inesistenza della nomina, dall'irregolarità della stessa o dalla cessazione dalla carica, è in grado comunque, in relazione alle funzioni in concreto svolte, di avere con il bene protetto dalla disposizione quella medesima tipologia di rapporto considerata dalla norma penale, ed è quindi in grado di arrecare all'interesse protetto quel danno che la sanzione penale vuole reprimere: come è stato detto, se il soggetto si trova a svolgere effettivamente le funzioni previste dalla legge, esso si può ritenere in relazione con la norma incriminatrice. Poche sono state nel tempo le voci contrarie a tali conclusioni. In proposito, alcuni autori, nel contrastare le su esposte affermazioni, richiamavano la natura sanzionatoria del diritto penale societario e fallimentare rispetto alla correlativa disciplina civilistica, e la conseguente dipendenza esegetica delle disposizioni penalistiche dalle relative qualificazioni del diritto commerciale. Sulla base di tali presupposti si è argomentato, in primo luogo, che le definizioni di amministratore, sindaco, direttore generale ecc., richiamate dalle norme penali sarebbero esclusivamente quelle fatte proprie dalle corrispondenti disposizioni civili, ed in particolare dall'art. 2382 c.c.; queste definizioni del diritto commerciale non sarebbero a loro volta suscettibili di applicazione o interpretazione analogica stante il principio di tassatività vigente in materia penale. Di conseguenza, riconosciuto che il contenuto delle diverse figure di soggetti attivi presenti nelle fattispecie del diritto penale societario andava ricavato solo ed esclusivamente sulla base della interpretazione delle norme di natura privatistica presupposte, si riteneva che l'assenza della qualifica richiamata dalla disposizione sanzionatoria facesse venire meno la stessa tipicità del fatto, venendone a mancare un elemento essenziale e fondante. Accanto a tali considerazioni, di carattere generale, si sosteneva che proprio l'esistenza di una pluralità di qualifiche soggettive nell'ambito del diritto societario precludeva la possibilità di riconoscere una rilevanza penale alla figura dell'amministratore di fatto: sul piano dell'esercizio di fatto di una funzione gestoria, la moltiplicazione delle qualifiche suonerebbe superflua ed equivoca … se davvero fosse decisiva la funzione esercitata di fatto, non si spiegherebbe che una parte soltanto delle incriminazioni concernenti gli amministratori sia applicabile ai direttori generali, le cui funzioni nella pratica si differenziano ancora meno che nella legge; se la figura avesse consistenza il direttore generale sarebbe un tipico amministratore di fatto. A queste argomentazioni giurisprudenza e dottrina hanno sempre più spesso replicato che anche ammettendo che in sede penale dovessero recepirsi, senza modifica alcuna, le definizioni civilistiche di amministratore, direttore generale ecc., non sarebbe stato comunque possibile affermare che la normativa civilistica non considera la figura dell'amministratore di fatto, ovvero, più in generale, che essa non riconosce rilevanza al concreto esercizio di funzioni di gestione e controllo delle persone giuridiche, pur in assenza di una regolare e vigente investitura formale (In tal senso conclude anche la giurisprudenza civile: cfr. Cass. civ., 12 gennaio 1984, in Giur. Comm. 1985, II, p. 182; Cass. civ., sez. I, 6 marzo 1999, n. 1925.). Inoltre, più in generale, soprattutto la giurisprudenza, per ragioni di migliore e più intensa tutela del bene giuridico, ha riconosciuto assoluta rilevanza al momento effettuale dello svolgimento delle funzioni, sostenendo che la norma penale si riferisce non già all'aspetto formale delle qualifiche bensì alle funzioni inerenti a tali qualifiche, che pongono il soggetto, in relazione all'interesse protetto dalla legge, nella particolare effettiva situazione personale e sociale, da cui scaturisce l'obbligo della lealtà e della correttezza nell'espletamento delle funzioni medesime. In conclusione, dunque, che l'attribuzione di un rilievo penale all'esercizio di fatto di determinate funzioni all'interno della impresa societaria rappresentasse un approdo necessario per evitare pericolosi vuoti di tutela nella protezione degli interessi considerati dal legislatore era una acquisizione pacifica: posto che scopo di una disposizione sanzionatoria è la protezione dei beni che possono essere offesi nel corso dell'esercizio dell'attività imprenditoriale, appariva assolutamente necessario prevedere la responsabilità di tutti i soggetti che quei beni potessero aggredire secondo le modalità descritte dalle norme penali (così, SANTORIELLO). L'affermazione della rilevanza penalistica allo svolgimento di fatto funzioni di amministrazione all'interno dell'impresa ha oggi un riconoscimento anche a livello normativo, posto che l'art. 2639 c.c. prevede espressamente l'equiparazione al soggetto qualificato anche di quanti, in assenza di formale investitura, esercitino comunque in modo continuativo i poteri tipici inerenti la qualifica e le funzioni considerate nella previsione della fattispecie: è così normativamente fissato il principio in base al quale vanno considerati destinatari dei nuovi precetti penali societari, oltre ai soggetti formalmente titolari delle qualifiche richiamate dalle diverse disposizioni, anche quanti risultino esterni alla compagine sociale – ovvero rivestano all'interno della stessa ruoli diversi – ma di fatto assumano o svolgano le stesse mansioni in ragione dei poteri in concreto a loro disposizione. La disposizione del codice civile peraltro indica anche quali sono gli estremi e gli indici in presenza delle quali si può ritenere si sia in presenza di un amministratore di fatto: in particolare, occorre da un lato che i poteri in fatto esercitati si palesino come significativi e tipici, dall'altro è necessario che l'esercizio degli stessi sia svolto in modo continuativo. Con la prima previsione si intende far riferimento alla circostanza che i poteri esercitati in via di fatto devono corrispondere a quelli che la normativa civilistica attribuisce ai soggetti forniti della relativa qualifica societaria, anche considerando le diverse qualificazioni soggettive scaturite dalla nuova disciplina civilistica entrata in vigore con il decreto legislativo 17 gennaio 2003 n. 6. Con il secondo profilo, invece, la norma intende impedire che possa ravvisarsi l'assunzione fattuale di una funzione amministrativa anche in comportamenti di estemporanea ingerenza non potendosi ritenere che chiunque svolga una qualche attività gestoria all'interno di una società commerciale debba invariabilmente divenire amministratore di fatto. Dal dettato normativo sopra indicato, che si ritiene pacificamente applicabile anche con riferimento al diritto penale commerciale, discende che non si possa parlare di amministratore di fatto con riferimento alla posizione del singolo che si intrometta nella gestione dell'azienda per il compimento di singole attività ma occorre un esercizio continuativo e significativo dei relativi poteri secondo quanto indica l'art. 2639 c.c., anche se non è necessario che il singolo eserciti tutti i poteri dell'organo di gestione, essendo sufficiente l'esercizio di una apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale (Cass.pen., Sez. V, 29 dicembre 2015, n. 51091; Cass. pen., Sez. V, 28 maggio 2015, n. 22896). Ne consegue che la prova della posizione di amministratore di fatto si traduce nell'accertamento di elementi sintomatici dell'inserimento organico del soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttivo commerciale dell'attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori e clienti ovvero in qualsiasi settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (sul tema insiste particolarmente in Cass. pen., Sez. V, 22 febbraio 2016, n. 6813, secondo cui la qualifica di amministratore di fatto non può essere fatta derivare dalla semplice circostanza che il soggetto privo della qualifica formale abbia avuto solo un significativo coinvolgimento nell'operazione di bancarotta per quanto tali condotte delittuose possono risultare complesse significative). Peraltro, il soggetto che assume la qualifica di amministratore di fatto è gravato dell'intera gamma di doveri che competono all'amministratore di diritto, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, fra i quali vanno ricomprese le condotte dell'amministratore di diritto, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia di fronte a tali condotte, in applicazione della regola di cui all'art. 40 c.p., con la conseguenza, per l'appunto, che all'amministratore di fatto compete anche un obbligo di vigilanza sul comportamento dell'amministratore di diritto (Cass. pen., Sez. V, 30 marzo 2016, n. 12793; Cass. pen., Sez. V, 18 marzo 2015, n. 11405). Alla luce delle ultime riflessioni, non pare dunque sostenibile la tesi, avanzata da alcuni, secondo cui non sarebbe possibile riconoscere la presenza di un amministratore di fatto nei casi in cui le relative funzioni siano espletate, all'interno della società considerata, dai soggetti titolari anche in senso formale delle relative qualifiche, essendo necessario, perché possa operare la previsione di cui all'art. 2639, comma 1, c.c., che questi ultimi siano assenti o comunque omettano di svolgere i compiti loro assegnati dalla legge. Quest'ultima affermazione ci pare non condivisibile, posto che in alcun modo il ricorrere della figura di amministratore di fatto richiede l'assenza o comunque una condotta omissiva da parte del soggetto formalmente titolare di tale posizione apicale: nulla esclude infatti che la gestione operativa della società possa essere rimessa a più soggetti, dei quali solo alcuni formalmente investiti dei relativi poteri. Il carattere significativo dell'esercizio dei poteri gestori non implica la totale sostituzione ai soggetti formalmente titolari delle cariche sociali ma è circostanza che va valutata in concreto, a secondo del contesto complessivo entro il quale si inserisce il contegno del soggetto privo di formale investitura e quindi, anche l'esercizio continuativo di una delle funzioni proprie degli amministratori, coordinata con altre, potrebbe indurre ad equiparare il soggetto di fatto alla corrispondente figura formale, purché tuttavia quella porzione funzionale rivesta la suddetta pregnanza e non si riduca a contributo qualitativamente marginale e trascurabile. Chiaramente, nella gran parte dei casi, il problema sarà di verificare l'ambito di responsabilità da riconoscere tanto al legittimo amministratore, che al soggetto che di fatto esercita le medesime funzioni ma trattasi di profilo che attiene il merito della concreta vicenda e non il tema della possibilità di configurare la presenza di un amministratore di fatto anche laddove operi, nell'ambito della medesima azienda, un soggetto formalmente titolare della posizione direttiva (in proposito in giurisprudenza, Cass., sez. v, 25 marzo 2004, Sappracone, in Guida Diritto, 2004, 35, 72, nonché Cass. pen., Sez. V, 14 aprile 2003, Sidoli, in Riv. Trim. Dir. Pen. ec., 2004, 925, con nota di MERENDA). Le considerazioni in tema di rilevanza penale dell'esercizio di fatto di poteri riconnessi alla titolarità di determinati posizione funzioni giuridica all'interno dell'azienda non investivano tuttavia il ruolo di componente del collegio sindacale, perché si riteneva sostanzialmente inconfigurabile un esercizio di fatto, cioè non giustificato dalla presenza di una formale nomina accettata dall'interessato, delle funzioni di controllo attribuite normativamente al sindaco. Questa considerazione – della cui infondatezza nel corso degli anni non si era mai dubitato – era posta a fondamento dei ricorsi per cassazione avanzati dai diversi imputati, i quali come detto sostenevano che la loro condanna per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale andava annullata proprio perché si fondava sulla considerazione che essi di fatto avevano svolto funzioni di sindaco di società, senza essere in possesso della relativa qualifica – o meglio, come vedremo, posto che si tratta di un profilo centrale nella decisione della cassazione, senza essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge per il corretto svolgimento di tale funzione. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione ha rigettato i diversi ricorsi pervenendo, per certi aspetti, ad una soluzione che presenta profili di novità – anche se, come vedremo in sede di conclusione, meno sorprendente di quanto si possa a prima vista pensare – giacché per certi aspetti riconosce rilievo penale anche l'esercizio in via di fatto delle funzioni riconnessi all'appartenenza collegio sindacale della società. In particolare, secondo la Corte di legittimità la circostanza che diversi imputati non rivestissero più, al momento dei fatti di bancarotta, la qualifica di revisori dei conti – qualifica il cui possesso è previsto come obbligatorio per ricoprire la carica di componente del Collegio sindacale – è assolutamente irrilevante al fine di escludere la valenza penale della condotta di tali soggetti e ciò in quanto la mancanza di una qualità soggettiva per rivestire la carica di componente del collegio sindacale può al più rilevare come causa di invalidità della delibera sociale di conferimento dell'incarico (per l'eventuale dedotta violazione di legge) ovvero porsi come fonte di responsabilità contrattuale del sindaco nei confronti della società nel cui seno si esercita la detta funzione, ma non può certo incidere, una volta accettato l'incarico, sulla insorgenza in capo al soggetto nominato, ancorché illegittimamente per il predetto vizio, della relativa posizione di garanzia e dunque per l'eventuale imputazione a titolo omissivo improprio ai sensi del capoverso dell'art. 40 cod. pen. In sostanza, anche nei confronti dei componenti del collegio sindacale, la cui nomina presenti profili di irregolarità o invalidità deve ritenersi operante la tesi giurisprudenziale secondo cui è configurabile il concorso dei sindaci nei reati commessi dall'amministratore della società, anche a titolo di omesso controllo sull'operato di quest'ultimo o di omessa attivazione dei poteri loro riconosciuti dalla legge, posto che il controllo deputato a tali soggetti non si esaurisce in una mera verifica formale, quasi a ridursi ad un riscontro contabile nell'ambito della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma comprende il riscontro tra la realtà e la sua rappresentazione (Cass., sez. V, 22 aprile 1998, n. 8327, Bagnasco, in Mass. Uff., n. 211368; Cass., sez. V, 1 luglio 2011, n. 31163). Osservazioni
Alla luce di questa decisione della Cassazione può dunque sostenersi che, nell'ambito del diritto penale commerciale, accanto alla figura dell'amministratore di fatto deve trovare cittadinanza anche la corrispondente posizione del sindaco di fatto? Sì e no, nel senso che a ben vedere, nonostante le aperture manifestate dalla Cassazione, residuano differenze non irrilevanti sul punto. Va infatti ricordato che con riferimento all'amministratore di fatto possono ipotizzarsi tre ipotesi in cui tale situazione ricorre, giacché si può parlare di esercizio fattuale di funzioni gestori all'interno dell'impresa 1) richiamando il caso in cui un soggetto, senza mai essere stato nominato e senza mai aver assunto una posizione formale all'interno dell'azienda, diriga comunque la stessa; 2) facendo riferimento all'ipotesi in cui l'amministratore legale sia decaduto da tale carica, ma ciò nonostante continua esercitare i poteri connessi alla stessa; 3) considerando la posizione del soggetto formalmente nominato amministratore ma in virtù di una delibera assembleare irregolare per una qualsiasi ragione. Orbene, leggendo la decisione della Cassazione pare evidente che i giudici di legittimità non ipotizzino nemmeno in astratto la possibilità che ricorra l'ipotesi sub 1) ovvero il caso in cui un soggetto, senza mai essere stato insediato all'interno del collegio sindacale, eserciti le funzioni attribuite componenti dello stesso. Piuttosto, la tesi della Cassazione è nel senso, assolutamente condivisibile, che chiunque sia stato formalmente nominato – seppure la delibera di nomina possa essere censurabili e soggetta ad annullamento per i più diversi profili o possa addirittura ritenersi nulla – in seno al collegio sindacale deve, a pena di responsabilità civile e penale, esercitare i poteri connessi a tale carica non potendo giustificare la sua eventuale inerzia richiamando i vizi inerenti la sua posizione all'interno dell'impresa e cessando gli obblighi sullo stesso gravanti solo nel momento in cui viene formalizzata invalidità della nomina e quindi espressamente indicato che lo stesso non riveste più alcun ruolo all'interno del collegio sindacale. Fino al momento in cui tale estromissione dal collegio sindacale non viene formalmente deliberata dall'assemblea – o sanzionata con un provvedimento giurisdizionale – chi è sindaco di una società rimane titolare di tutti i poteri, e corrispondenti doveri, normativamente connesse al possesso di tale qualifica. Sulla configurablità della responsabilità penale in capo ai c.d. soggetti di fatto: ABRIANI, Gli amministratori di fatto delle società di capitali, Milano 1998; CONTI, I soggetti, in Di Amato (diretto da), Trattato di diritto penale dell'impresa, Padova 1992, 231; CANESTRARI, I soggetti responsabili. La delega di funzioni e la responsabilità a titolo di concorso di persone nei reati tributari, in Corso –Stortoni (a cura di), I reati in materia fiscale, in Bricola – Zagrebelsky (a cura di), Giurisprudenza sistematica di diritto penale, Torino 1990, 130; CAPIROSSI, Legem non curat praetor. Responsabilità civili e penali dell'amministratore di fatto, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2005, p. 766; CONTI - BRUTI LIBERATI, Esercizio di fatto dei poteri di amministrazione e responsabilità penali nell'ambito delle società irregolari, in Diritto penale delle società commerciali, Milano 1971, 123; FLORA, I soggetti penalmente responsabili nell'impresa societaria, in Studi in memoria di Pietro Nuvolone, Milano 1991, 545; MUCCIARELLI, Responsabilità penale dell'amministratore di fatto, in Società, 1989, 121; PRICOLO, Brevi note sulla figura dell'amministratore di fatto quale soggetto attivo dei reati fallimentari, in AA.VV., La riforma del diritto fallimentare, Piacenza 1986, 105; SANTORIELLO, I reati di bancarotta, Torino 2000, 162; TETTO, Gli evanescenti profili di responsabilità penale dell'amministratore di fatto di società di persone dichiarata fallita, in Fall., 2010, 679. VENEZIANI, Art. 2639 c.c., in AA.VV., I nuovi reati societari, a cura di LANZI –CADOPPI, Padova 2006, 299. Contra: GIUNTA, Lineamenti di diritto penale dell'economia, II^ ed., Torino 2004, 155; PEDRAZZI, Gestione d'impresa e responsabilità penali, in Riv. Soc., 1962, p. 224; PEDRAZZI, Società commerciali (disciplina penale), in Dig. Disc. Pen., vol. XIII, Torino 1998, p. 351
Sui rapporti tra ambito civile e penale: CAPIROSSI, Legem non curat praetor. Responsabilità civili e penali dell'amministratore di fatto, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2005, p. 766
Sugli indici in presenza delle quali si può ritenere si sia in presenza di un amministratore di fatto: ALESSANDRI, I soggetti, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di Alessandri, Milano 2002, 37; CASTELLANA, L'equiparazione normativa degli autori di fatto agli autori di diritto per i reati del riscritto titolo XI libro V c.c., in Ind. Pen., 2005, 1067; DI GIOVINE, L'estensione delle qualifiche soggettive (art. 2639), in AA.VV., I nuovi reati societari: diritto e processo, a cura di Giarda –Seminara, Padova 2002, 5; GIUNTA, Reati societari e qualifiche soggettive: questioni normative ed interpretative, in Dir. Prat. Soc., 2004, 19, 31; GULLO, Il reato proprio. Dai problemi “tradizionali” alle nuove dinamiche d'impresa, Milano 2005, p. 185; MARRA, Legalità ed effettività delle norme penali. La responsabilità dell'amministratore di fatto, Torino 2002; PEDRAZZI, Corporate governance e posizioni di garanzia, in AA.VV, Scritti giuridici per Guido Rossi, II, Milano 2002, 1367; ROSSI, La responsabilità penale dei componenti degli organi di amministrazione e di controllo. Brevi considerazioni generali sulla fattispecie concorsuale nei reati societari, in AA. VV., I reati societari, a cura di A. ROSSI, Torino 2005, 62;
MERENDA, “Esercizio dei poteri tipici” ed amministrazione ‘di fatto' nel nuovo diritto penale societario, in Riv. Trim. Dir. Pen. ec., 2004, 925 |